
L'Intelligenza Artificiale è entrata nelle aule, e non è più solo una promessa futuristica, ma è la realtà di ogni giorno. Questo potrebbe cambiare o addirittura far scomparire alcune classiche abitudini scolastiche. In particolare, c'è un rito che sembra essere destinato a modificarsi in modo sostanziale: quello dei compiti per casa.
Secondo il docente e formatore Giovanni Morello, specialmente quelli scritti non hanno più alcun senso. E la ragione è semplice: gli studenti si rivolgono all'IA quasi solo per copiare o per avere suggerimenti pratici che rispondano ai quesiti al posto loro.
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La prova finale è l’orale
Di fronte a questo scenario, Morello spiega ai microfoni de 'La Tecnica della Scuola’ che: “Il rito della verifica dei compiti svolti a casa va rivisto, perché ciò che producono gli studenti sempre più spesso non è molto attendibile in termini di effettiva paternità. Quindi, non lo considero molto: l’elaborato scritto a casa, per me, non soddisfa in alcun modo il compito assegnato".
Questo è sintomo di una fiducia nei confronti del lavoro fatto fuori dalla classe che si riduce sempre di più. Inoltre l’esperto spiega: "Per quanto mi riguarda, la prova finale è diventata quella orale”, spostando l'attenzione sull'unica verifica che, per ora, sembra davvero autentica.
Ma la colpa di tutto questo non è solo degli studenti furbetti: molti docenti, infatti, non riescono ancora a riconoscere un testo prodotto dall'IA, nemmeno da un sistema "basilare" come ChatGpt.
L'allarme che arriva dalle cattedre
Il problema principale non è, dunque, l'IA come strumento ma la preparazione di chi dovrebbe gestirla. Secondo il Report sul futuro dell’istruzione 2025 di GoStudent, basato su un sondaggio che ha coinvolto ben 12mila persone tra studenti, genitori e insegnanti, l'allarme è chiaro: tre docenti su quattro “non ricevono ancora alcuna formazione relativa all’IA”.
E questo è gravissimo, perché il ruolo della scuola non dovrebbe essere solo quello di punire chi copia, ma di insegnare agli studenti come utilizzare l’IA in modo etico e costruttivo.
Su questo punto, stranamente, non sembrano esserci dubbi tra insegnanti e genitori: l'IA va insegnata, ma mancano gli strumenti per farlo.
Valditara risponde: un piano da 100 milioni per formare tutti
Nel frattempo, l’IA è entrata ufficialmente a scuola con il Ministero dell'Istruzione e del Merito che ha ratificato il tutto con il Decreto Ministeriale n. 166 del 9 agosto 2025, rendendo pubbliche le "Linee guida per l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale" nelle scuole.
Anche in vista dell'emergenza formazione, il MIM ha deciso di agire. Durante il Summit Internazionale sull’IA, il ministro Valditara ha annunciato l'avvio di un piano di formazione colossale, da ben 100 milioni di euro. Questo piano coinvolgerà sia i docenti che gli studenti di tutte le scuole, attraverso attività laboratoriali da realizzare insieme.
L'obiettivo è di insegnare ai professori a usare l’IA come un supporto, per non vederlo più come un nemico o un mezzo per copiare.
Paura e pregiudizi: siamo in ritardo?
Ma, nonostante le norme sull'IA a scuola siano arrivate, la domanda che si pongono in molti è: Non è forse un po' troppo tardi, visto che gli studenti la usano da un pezzo? A riflettere su questo tema è Aluisi Tosolini, ex dirigente scolastico e filosofo dell’educazione.
Secondo lui, di fronte alle nuove e "mirabolanti possibilità" dell'IA, siamo "sempre più preda della paura, della consapevolezza dei rischi". E cosa si fa quando si ha paura? “Per far fronte alla paura, convochiamo l’etica, la morale. Sperando che non sia troppo tardi”, ha dichiarato Tosolini a ‘La Tecnica della Scuola’.
Il sospetto è che il problema stia proprio nella diffidenza di chi educa. Il filosofo Cosimo Accoto, Research affiliate presso il MIT di Boston, invita tutti all'azione. Secondo Accoto, è fondamentale “non rimanere disinteressati, avvicinarsi e esplorare insieme ai ragazzi e ragazze i nuovi mondi digitali”.
E aggiunge un consiglio diretto a tutti gli educatori: “E magari, perché no, tenere a freno anche alcuni pregiudizi che talvolta sono presenti nei modelli mentali di genitori e educatori”.