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Accadde oggi, 80 anni dall'eccidio delle Fosse Ardeatine: cosa è successo il 23 e il 24 marzo 1944 articolo
Memoriale Fosse Ardeatine - Fonte foto: Roma Capitale

Nel 1944 la città di Roma – assediata dalle milizie naziste – fece da scenario a due degli eventi simbolo della Resistenza italiana. Il primo risale al pomeriggio del 23 marzo 1944, quando un gruppo di partigiani piazzò un ordigno esplosivo in via Rasella provocando la morte di 33 soldati tedeschi, in quel momento di passaggio.


 

La reazione tedesca fu violenta e feroce: a distanza di nemmeno 24 ore dall'attentato, l'undicesima Compagnia del terzo Battaglione del reggimento di polizia "Bozen" – guidata dal colonnello Herbert Kappler – trucidò 335 persone in segno di rappresaglia.

Oggi questo evento è noto come l'eccidio delle Fosse Ardeatine.

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L'attentato di via Rasella

L'attentato di via Rasella ha tenuto banco per molti anni. Secondo molti, infatti, si sarebbe trattato di un'azione illeggittima, nonostante l'Italia avesse dichiarato guerra un anno prima al Terzo Reich. I Gap (Gruppi di azione patriottica) che attaccarono l’11ª Compagnia del Polizeiregiment “Bozen” (formato da altoatesini) non erano un esercito regolare e anche se seguivano le direttive del CLN, spesso agivano in piena autonomia. Così l'attentato vide la partecipazione di un ristretto numero di partigiani che non facevano parte della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale. 

Durante l'occupazione tedesca, via Rasella era poco trafficata: a transitare quotidianamente la via era soltanto un plotone di soldati tedeschi che ogni volta cantavano provocatoriamente. A ideare l'attentato fu Giorgio Amendola, futuro sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Allo scoppio della bomba, sapientemente posizionata nei pressi di palazzo 'Tittoni', morirono 33 soldati tedeschi mentre altri 55 rimasero feriti.

 

La rappresaglia tedesca: l'eccidio delle Fosse Ardeatine

La risposta tedesca fu veemente. Come rappresaglia per quell'azione fu deciso che, entro un massimo di 24 ore, bisognasse trucidare dieci "criminali comunisti-badogliani" per ogni tedesco morto in via Rasella. Le vittime furono scelte principalmente tra i prigionieri già detenuti e condannati a morte o all'ergastolo nelle carceri di via Tasso e di Regina Coeli. A quelli si aggiunsero presto gli ebrei, altri antifascisti, uomini arrestati per oltraggio alle truppe tedesche o per movimenti clandestini, ma anche partigiani e civili. Si arrivò 335, cinque in più del “necessario”: "Fucilammo cinque uomini in più. Uno sbaglio, ma tanto erano tutti terroristi, non era un gran danno", disse l'ex capitano della Gestapo Erich Priebke a 'La Repubblica'  50 anni dopo.

Nella lista, compilata di fretta, e firmata dal questore Pietro Caruso e dal Ministro dell'Interno della Repubblica di Salò, Guido Buffarini Guidi, finirono più o meno tutti. Da straccivendoli a operai, da intellettuali a commercianti, passando per artigiani, attivisti e un prete. A questi vennero aggiunti 75 ebrei già incarcerati e in attesa di essere deportati. La strage, eseguita dal colonnello Herbert Kappler, dal capitano Priebke e dai loro uomini ebbe inizio meno di 24 ore dopo l'attentato e nessuno seppe nulla, tranne i coinvolti: mandanti, esecutori e condannati a morte.

I prigionieri, suddivisi in gruppi di cinque, vennero condotti a forza nelle gallerie delle Fosse Ardeatine, le antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina. All'entrata Priebke richiedeva il nome al condannato, controllava la lista, e poi lo faceva inginocchiare. Gli esecutori facevano il resto: un colpo di pistola dietro la nuca a distanza ravvicinata. La notizia della rapprseglia si sparse soltanto nella tarda serata del 24 marzo, per poi finire sui giornali del giorno seguente: "Il comando tedesco ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani siano fucilati" batteva l'agenzia 'Stefani' nella mattina del 25 marzo 1944. Per poi concludere: "Quest'ordine è già stato eseguito".

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