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Spartani, timorosi di un tradimento dell'intesa ellenica, la possibilità di un multiculturalismo non esiste, perché
Atene non tradirà mai l'HelIenikòn, che è di un solo sangue, di una sola lingua, e ha in comune i sacrifici agli dei
e l'identità dei costumi:
Il timore degli Spartani che noi ci accordassimo col barbaro era certo umano. Ma ci sembra vergognoso
che voi abbiate avuto questa paura dal momento che sapete benissimo come la pensano gli Ateniesi: che
al mondo non esiste tanto oro né paese tanto superiore agli altri per bellezza e fertilità che noi saremmo
disposti ad accettare per passare dalla parte dei Medi e rendere schiava la Grecia. Molti e gravi sono i
motivi che ci impedirebbero di farlo, anche se lo volessimo: il primo e il più importante sono le statue e le
dimore degli dei incendiate e abbattute, che noi siamo tenuti a vendicare (...) guardandoci bene dal venire
a patti con chi ne è responsabile. In secondo luogo vi è l’essere Greci (tò Hellenikón), la comunanza di
sangue e di lingua, i santuari e i sacrifici comuni, gli usi e costumi simili: tradire tutto ciò sarebbe
disdicevole per gli Ateniesi. Sappiate bene dunque, se per caso prima non ne eravate bene al corrente, che
sin quando resterà in vita anche un solo Ateniese, noi non verremo mai ad accordi con Serse.
Tra le ragioni che sarebbero di ineludibile impedimento per ogni accordo, vi sono quindi alcuni importanti
elementi che costituiscono l'unità etnico-culturale dei Greci, (l'Hellenikòn). Da tale dichiarazione emerge con
chiarezza la duplice identità dell'uomo greco, membro di una comunità ristretta e delimitata dal punto di vista
territoriale e giuridico-amministrativo, la pòlis con le sue istituzioni, e allo stesso tempo facente parte di una più
ampia comunità che si riconosce in un'unità linguistico-culturale, l'Hellenikon, appunto. La Grecia delle poleis, la
Grecia classica, rifiuta con questa risposta la possibilità stessa della coesistenza, al suo interno, di culture
diverse. Eppure proprio Erodoto, che coglie qui l'identità monolitica della Grecia, mostra nella sua opera quanto
la cultura greca fosse debitrice alIa cultura egizia e alle sue antichissime tradizioni e rivela interessi etnografici,
estranei agli autori successivi di storie puramente elleniche. Senofonte al contrario teme, per la purezza della
lingua e dei costumi ateniesi, la mescolanza con i meteci, che la politica marinara e commerciale di Atene
attraeva in grande numero nella città attica.
XÈNOS E BARBAROS
In un altro brano, Erodoto ritiene opportuno sottolineare che il termine “xeinoi” veniva usato dagli Spartani per
designare i barbaroi. Da questa specificazione si può notare come il mondo greco distingueva gli stranieri in due
xènos
categorie distinte. Mentre l'estraneità dello si esplica solo sul piano politico, ed è bilanciata in qualche
misura dall'omogeneità esistente sul piano etnico-culturale rispetto a quella propria di chi lo considera straniero,
barbaros barbaros
l'estraneità del appare totale e non temperata da alcun elemento di affinità. Il , insomma, si
contrappone in maniera simmetrica e completa alla duplice identità dell'uomo greco, rappresenta la sua
immagine negativa. Il termine “bàrbaros” è una parola onomatopeica che richiama a balbus (= colui che
balbetta). Il barbaro nell’eta’ arcaica non ha la connotazione negativa che acquisirà nel periodo classico,
Hellenikòn xènoi
ma si limita a rappresentare colui che non è greco. L’ è un mondo di reciproci , ovvero un’unità
culturale greca all'interno della quale l'alterità è connotata dal punto di vista politico-istituzionale, mentre il
bàrbaros xenos
è il diverso, in tutta la sua lontananza. Lo è colui che è fuori dalla ristretta comunità della polis,
barbaros
ma è comunque un interlocutore affine. Il è collocato ai margini, geograficamente e mentalmente, e
soprattutto costituisce la speculare alterità negativa dell'identità greca. Solo tra il VI e il V secolo a.C. però il
termine barbaros assume l’accezione di non greco per netta opposizione a tutto ciò che è greco e per formare un
Hellenes barbaroi
concetto asimmetrico, mediante la contrapposizione tra ed il generico . Diogene Laerzio
riferisce questa frase a Talete in forma quasi di motto sapienziale: “Ringrazio la sorte, per prima cosa perché
sono nato uomo e non bestia, poi perché sono nato maschio e non femmina ed infine perché sono nato greco
Hellen barbaros
, e non ", con una triplice e paradigmatica opposizione di concetti positivi e negativi
assolutamente eloquenti.
“SENZA GRECO NIENTE BARBARO”
Archeologia
Tucidide nella sua osserva che di questa distinzione (tra Greci e barbari) non vi è traccia nei poemi
omerici, dove si opponevano Achei e Troiani. Gli Elleni non si erano ancora caratterizzati con un unico termine
che si opponesse agli altri popoli. Una volta che l’identità culturale greca andò consolidandosi, si assistette ad
una più rigorosa individuazione degli "altri" e, soprattutto, ad una più profonda polarizzazione tra grecità e alterità
fondata sull'elemento principale e distintivo della cultura, ovvero la lingua. Il criterio linguistico apparve ai Greci
come il più adatto alla definizione di se stessi ed alla contrapposizione con i popoli stranieri, ma la definizione di
barbaroi
questi ultimi come indica chiaramente una concezione ellenocentrica che rifuggiva da ogni volontà di
distinguere le differenze e le specificità di ciascun popolo diverso per lingua, cultura e tradizioni da quello greco.
barbaroi
Si tendeva a creare una categoria indistinta di , nella quale erano compresi popoli differenti tra di loro e
riuniti, in senso negativo, solo per esclusione e dal fatto di non essere greci e di non parlare il greco.
Non è facile ricavare tanto la fisionomia di queste realtà ritenute dai Greci esterne, quanto piuttosto un'ulteriore
definizione, sia pure “in negativo”, della consapevolezza Greca della comune identità culturale, al di là e in
presenza della marcata frammentazione politica. L'appartenenza etnica si rivela quindi quando avviene il
contatto con i “diversi”, da qui l’espressione dello specialista in lettere classiche François Hartog: “Senza Greco
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niente Barbaro”. Se è vero che il barbaro è lo straniero in generale, è altrettanto vero, però, che per un Greco il
barbaro dal V secolo a.c. acquista una fisionomia sempre più nitida e precisa, fino ad assumere l'identità del
barbaros
Persiano, il per eccellenza. Tale politicizzazione del concetto antropologico-culturale del barbaro
avviene con le guerre persiane che contribuiscono a definire alcuni concetti basilari, tra i quali se ne possono
isolare alcuni. Dal punto di vista morale, il barbaro è caratterizzato dall'eccesso che si manifesta attraverso
determinati comportamenti, tutta quella gamma di atteggiamenti fuori misura, opposti al principio ellenico
dell'equilibrio e della misura. Per quanto riguarda la politica, il barbaro viene contrapposto al mondo greco in
quanto ignora la realtà delle assemblee ed è asservita ad un despota, ad un autocrate che detiene il potere.
Geograficamente il barbaro è circoscritto anche territorialmente, poiché l'Asia viene definita come il suo dominio
ybris
ed è la naturale del despota a portarlo tragicamente ad oltrepassare i confini, ma anche i limiti del giusto e
del lecito, e ad invadere l'Europa e la Grecia. Il linguaggio dei barbari è spesso assimilato al verso degli animali.
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Ciò è testimoniato da Erodoto, secondo il quale i Trogloditi Etiopi stridono come pipistrelli , in Eschilo, in
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Aristofane e in Pindaro il linguaggio dei popoli non greci è paragonato a quello delle rondini .
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barbaros
Aristofane utilizza il termine come sinonimo di ignorante , Euripide per esprimere la ferocia e la
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crudetà , Platone per indicare una parlata rozza.
LA CONTRAPPOSIZIONE GRECI - PERSIANI PER ISOCRATE
Nel grande discorso Panegirico, lsocrate prende spunto dal leit-motiv del proprio pensiero politico, la
contrapposizione compatta della Grecità al nemico persiano, per sviluppare una serie di riflessioni. Nel passo
che riporto di seguito l'oratore si appella al tema tradizionale dell'inferiorità dei Barbari, per qualificare come atto
d'insostenibile arroganza la pretesa della Persia di dominare su una metà del mondo a dispetto dei Greci.
È vergognoso pretendere di utilizzare i barbari come servi nelle nostre
ISOCRATE PANEGIRICO, 181-184
case, mentre come stato permettiamo che tanti nostri alleati siano loro schiavi. È una vergogna soprattutto se
pensiamo ai Greci dei tempi di Troia, che per il rapimento di una sola donna si indignarono tutti, solidali con
chi era stato oltraggiato, e combatterono fino alla distruzione della città che aveva dato i natali al colpevole:
[182] noi invece, ora che l'intera Grecia ha subito onta e violenza, non ne abbiamo preso alcuna vendetta tutti
insieme, anche se potevamo ottenere dei risultati degni dei migliori auspici. Infatti solo questa guerra vale più
della pace, perché assomiglia a una processione panellenica più che a una spedizione militare ed è
vantaggiosa sia per chi vuole restare tranquillo, sia per chi vuole combattere: i primi potranno godersi senza
paura i loro territori, i secondi potranno arricchirsi enormemente con quelli altrui. […] Contro chi deve condurre
una spedizione un popolo che vuole rispettare la religione ma anche il proprio interesse? Non forse contro dei
nemici naturali ed ereditari, che possiedono sì una quantità di beni, ma che non sono in grado di difenderli?
Questi sono i Persiani, e lo sapete bene.
L’opinione di Isocrate sui Persiani torna esplicitamente anche in quest’altro brano:
Voi [Ateniesi] vi segnalate sugli altri non per la preparazione alla guerra o
ISOCRATE, ANTIDOSI, 293-294
perché avete la migliore forma di governo o osservate col massimo scrupolo le leggi lasciatevi dagli avi, ma
per quelle qualità per cui la natura umana si eleva sugli animali e la stirpe ellenica sui barbari, cioè per avere
un’educazione superiore agli altri nel pensiero e nella parola.
1 Conoscenza di sè
F.HARTOG, , cit. p.897
2 HDT, IV 183,4
3 AESCH, Ag. 1050-1051; ARISTOPH, Ran 681.682; PIND, Isth VI 24
4 ARISTOPH, Nub, 492
5 EUR, Med, 1329-1333
6 PLAT, Prot, 341c
La posizione ideologica di Isocrate proclamava la grecità della dinastia, e fu pienamente condivisa da tutti gli
esponenti della cultura greca del suo tempo, pronti a privilegiare una visione ellenocentrica della storia.
IPPOCRATE: FATTORI NATURALI E CULTURALI DELLA DIVERSITÀ
Ippocrate individua come fattori della differenziazione tra Greci e Barbari le condizioni climatiche e
politiche. II punto in questione è il diverso grado di virilità dell'indole degli uomini: a una maggior varietà
stagionale corrisponde al carattere più dinamico e attivo e, per converso, l'uniformità del clima induce alla docile
passività e all'indolenza; allo stesso modo, là dove vigono regimi autodeterminati, l'iniziativa personale e il
desiderio di riuscire risultano stimolati, mentre i domini rigidamente assoluti - come quello del re persiano -
spogliano la personalità di ogni stimolo interiore e fanno dell'individuo un inerte automa. La prova di questa
connessione di cause ed effetti è l'esistenza di sfumature anche nell'indole degli Asiatici, alcuni dei quali non
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hanno niente da invidiare alla virilità dei Greci. Sembrano così superati - seguendo il ragionamento di Ippocrate
- la generalizzazione e il semplicistico stereotipo dell'inferiorità naturale dei barbari, ancora teorizzata da
Aristotele un secolo più tardi.
LA POSIZIONE DI ERODOTO
Nella prima parte delle Storie di Erodoto, come una chiara ed immediata introduzione all'intera opera, lo storico
scrive: "Perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia
dai Greci sia dai barbari, non restino senza fama”, ovvero con un implicito proposito di imparzialità nei