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Anche la filosofia ha dato un prezioso contributo alla comprensione dei fenomeni onirici: già Socrate si
interessò del sogno, ritenendo che rappresentasse la “voce della coscienza” e che quindi fosse di massima
importanza ascoltarlo e ubbidirgli. Con la filosofia platonica, che teorizzò per prima la tripartizione
dell’Anima in anima Razionale, Irascibile e Concupiscibile (le pulsioni e le passioni più forti) gli studi della
materia onirica diventarono più specifici: Platone riteneva che i sogni fossero manifestazioni dell’Anima
Concupiscibile e nascessero da un desiderio inappagato dello stato di veglia, quello che Freud avrebbe
denominato poi residuo diurno. Sia Platone sia Freud ritenevano che i desideri che l’uomo non soddisfa
durante la veglia si manifestano nel sonno poiché la parte razionale della psiche, la coscienza, è meno vigile
e quindi non è in grado di tenere a freno gli impulsi dell’Anima Concupiscibile, vale a dire dell’Inconscio.
Fra Platone e Freud però vi è una differenza sostanziale: secondo Platone, solo una profonda meditazione
prima di addormentarsi può permettere un riposo ristoratore, libero da impulsi e forti emozioni.
“Quando la parte razionale e mite dell'anima, che esercita la sua autorità sull'individuo, dorme, mentre la
parte ferma e selvaggia, colma di cibo e di bevande, scalpita e rifiutando il sonno cerca di andare a
soddisfare i suoi istinti. Tu sai che in uno stato simile osa fare di tutto, come se fosse sciolta e libera da ogni
ritegno e autocontrollo”.
(Repubblica, IX 571-572b)
Il sapiente, quindi, sa controllare l’inconscio e neutralizzare i desideri ritenuti più disdicevoli, sottomettendo
gli impulsi al controllo vigile della ragione. La differenza con Freud sta proprio in questo: quest’ultimo
sosteneva, infatti, che una possibile origine del sogno fosse un “residuo diurno”, un desiderio inappagato, un
momento particolarmente significativo dello stato di veglia. Ma la rievocazione di questo nel sogno nasce in
modo completamente inconsapevole, dalle profondità dell’inconscio, e nulla può essere controllato dalla
coscienza, poiché nel sogno lo stato cosciente è debole e non riesce ad ostacolare le manifestazioni
dell’inconscio.
Il primo manuale di interpretazione dei sogni pervenutoci pressoché integro fu redatto da Artemidoro di
Daldi nel II secolo. In esso l’autore, attraverso una lunga raccolta di simboli onirici, trova delle
corrispondenze fra questi e un determinato significato riportato in forma di presagio. Alcuni esempi
analizzati da Artemidoro vennero utilizzati anche da Freud nei propri studi di psicoanalisi, poiché in età
giovanile il medico tedesco lavorò ad una traduzione tedesca di questo trattato e ne restò affascinato. La
όedύ:
contrapposizione fondamentale individuata da Artemidoro è fra il primo è il tipico
sogno simbolico, dotato di capacità profetica, l’altro costituisce il frutto del residuo diurno freudiano, ossia è
il sogno che nasce da resti di pensieri quotidiani su cui la mente del singolo rimane ancorata. Sul versante
ovvero
dell’si colloca anche il il sogno oracolare, l’apparizione di un personaggio
autorevole che formula una profezia e rivela il futuro al dormiente senza simbolismi. Sul versante
dell’si collocano l’ossia il sogno erotico, e il corrispondente allo stato di
dormiveglia, in cui sembra di scorgere un turbine indefinito di immagini che incutono timore. Un sogno di
e è
carattere simbolico che può essere definito per esempio quello di Penelope, moglie
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di Odisseo, nel XIX libro dell’Odissea. La donna racconta allo straniero, che ancora non ha riconosciuto
essere Odisseo, il proprio sogno: una grande aquila con il becco adunco uccideva tutte e venti le oche che
erano nella reggia di Itaca a beccare il grano. L’aquila fuggiva e successivamente ritornava per svelare essa
stessa il significato di quella visione: l’aquila era Odisseo che sarebbe tornato per uccidere tutte le oche,
simbolo dei Proci, usurpatori della sua casa.
L’aquila con voce umana la appellò: «Coraggio, figlia di Icario rinomato e famoso: non sogno è questo, ma
visione reale che si avvererà. Le oche sono i Proci, ed io che ero poco fa un’aquila, ora sono il tuo sposo qui
di ritorno e a tutti i Proci darò una morte miserevole»
All’interno del sogno simbolico si fa strada il sogno oracolare di immediata comprensione: è l’aquila stessa,
infatti, che svela a Penelope il significato della sua visione. In questo sogno possiamo individuare la struttura
onirica che Freud ha teorizzato, costituita da contenuto manifesto, contenuto latente e lavoro onirico (o
censura). Nel sogno di Penelope la censura freudiana operata dal contenuto manifesto lascia poi il posto al
contenuto latente, quello reale, spiegandolo e decifrandolo. È interessante vedere come già in questo sogno
sia possibile un’analisi secondo la teoria psicoanalitica freudiana: il contenuto manifesto è quello che il
dormiente vede (le oche e l’aquila) e che, attraverso il lavoro onirico, protegge la coscienza dal contenuto
latente, il vero significato del sogno, che non sarebbe presentabile per sua stessa natura alla coscienza senza
contraccolpi o reazioni emotive forti.
in e
Un altro cui però compare anche un’accezione di è l’intero VI
libro del De Re Publica ciceroniano, il cosiddetto Somnium Scipionis.
Poi, dopo essere stati accolti con un banchetto regale, prolungammo la nostra conversazione fino a tarda
notte, mentre il vecchio non parlava di altro che dell'Africano e ricordava non solo tutte le sue imprese, ma
anche i suoi detti. In seguito, quando ci congedammo per andare a dormire, un sonno più profondo del solito
s'impadronì di me, stanco sia per il viaggio sia per la veglia fino a notte fonda. Quand'ecco che (credo, a
dire il vero, che dipendesse dall'argomento della nostra discussione: accade infatti generalmente che i nostri
pensieri e le conversazioni producano durante il sonno un qualcosa di simile a ciò che Ennio dice a
proposito di Omero, al quale, è evidente, di solito pensava da sveglio e del quale discuteva) m'apparve
l'Africano, nell'aspetto che mi era noto più dal suo ritratto che dalle sue fattezze reali; non appena lo
riconobbi, un brivido davvero mi percorse; ma quello disse: “Sta' sereno, deponi il tuo timore, Scipione, e
tramanda alla memoria le parole che ti dirò”.
Il sogno è ambientato nel 149 a.C., dopo l’incontro fra Scipione l’Emiliano e Massimissa, re di Numidia.
Durante la notte Scipione vede in sogno l’avo, Scipione l’Africano, che gli spiega dove si trova, vale a dire
nella Via Lattea, sede dei benemeriti di stato dopo la morte. Subito interviene anche il padre di Scipione,
Lucio Emilio Paolo, e assieme all’avo illustra all’erede la cosmologia dell’Universo e infine gli profetizzano
il suo destino politico. Anche in questo caso si può distinguere nel sogno un contenuto manifesto, il colloquio
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dell’Emiliano con gli avi, e un contenuto latente, la profezia del futuro, la vanità delle cose terrene e
l’immortalità dell’anima. Il contenuto onirico latente nasce da un impulso della vita cosciente, il colloquio
con Massimissa, in cui i due comandanti avevano rievocato le imprese degli avi: ciò riconduce la stessa
poiché
materia onirica all’ Il sogno, inoltre, è un Paolo e l’Africano rivelano al
discendente il suo futuro; infine, è un poiché in esso l’Emiliano vede de visu i luoghi in cui
ήe άè
avrebbe risieduto dopo la vita terrena. Un’altra testimonianza di il sogno di
Lucio nell’XI libro delle Metamorfosi di Apuleio: il protagonista, trasformato in asino, dopo varie peripezie
riacquista la forma umana mangiando delle rose durante una festa a Corinto in onore della dea Iside, al cui
culto poi viene iniziato a Roma. In tale occasione, Lucio sogna che un sacerdote lo avrebbe iniziato al culto
della dea e proprio allo stesso sacerdote, Asimio Marcello, appare in sogno Iside che gli preannuncia
l’imminente arrivo di un “cittadino di Madaura” che doveva essere iniziato al culto misterico. Grazie a
questo ultimo capitolo del romanzo si può comprendere la natura salvifica del romanzo. Inoltre si
identificano personaggio Lucio, narratore e autore stesso.
Fra i vari tipi di sogno, però, i più interessanti perché più moderni sono quelli che appartengono al gruppo
quelli
degli cioè che nascono da impulsi e desideri provenienti dallo stato di veglia che chiedono di
essere soddisfatti. Questa tipologia di sogno è quella che più di tutte si presta ad un’analisi psicoanalitica
possono
secondo la teoria onirica freudiana. Esempi di essere sia il sogno di Medea nel III libro
delle Argonautiche di Apollonio Rodio, sia gli “insomnia” di Didone nel IV libro dell’Eneide virgiliana. Le
Argonautiche narrano le gesta di Giasone e dei suoi compagni diretti nella Colchide per impadronirsi del
Vello d’Oro: si tratta di un poema ellenistico diviso in 4 libri, di cui il terzo occupa una posizione di notevole
importanza, poiché vi vengono descritti l’amore fra Giasone e Medea e le conseguenze che questo
sentimento provoca. La passione di Medea è una grande innovazione letteraria che non trova precedenti; in
essa emerge un’acuta analisi psicologica. Medea è un’adolescente che per la prima volta si innamora e resta
stupita e disorientata di fronte alla forza travolgente del proprio sentimento. Dopo il primo incontro fra la
ragazza e lo “straniero”, Apollonio indugia a descrivere Medea mentre pensa a Giasone, a quell’uomo che
sembra il più bello di tutti, ai suoi gesti e al suo modo di parlare: Medea si addormenta in questo stato
emotivo e nel suo sogno diventano manifeste la passione e le paure che nella veglia erano inconsce, occultate
perché disonorevoli o disdicevoli. Nel sogno, nato da un residuo diurno,
“Le sembrava che lo straniero affrontasse la prova non per il desiderio di portar via il Vello d’Oro […] ma
per portarla nella sua casa come legittima sposa”
Nel sogno diventa manifesto il sentimento di Medea per lo straniero e il desiderio di fuggire con lui. La
fanciulla sa però che, affinché il suo sogno si avveri, Giasone dovrà superare delle prove impossibili in cui
potrebbe perdere la vita: per questo deve aiutarlo con le sue arti magiche. Ma aiutare lo “straniero” significa
tradire la sua gente e la sua famiglia. Per questo prova a pensare di suicidarsi ma in lei c’è prepotente la vita,
che non le premette di compiere un simile gesto. Tormentata da tali pensieri, Medea si risveglia di
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soprassalto e indugia per un momento su ciò che deve fare: è dibattuta e lacerata fra discordi e impetuosi stati
d’animo. Il conflitto interiore di cui è protagonista è rappresentato durante il sogno e in esso è rappresentata
la tripartizione freudiana dell’uomo in Io, Es e Super-Io. L’individuo ha una propria coscienza di Essere, un
proprio Io che cerca di equilibrare e bilanciare le due forze che lo completano: queste sono sempre in
contrasto fra di loro e sono l’Es, il patrimonio “genetico” della persona, le passioni, i bisogni e i desideri
individuali e il Super-Io, le istituzioni, le regole, la società in cui la persona vive. Nell’animo di Medea
ritroviamo questa contrapposizione: da una parte ci sono i genitori, in cui si può individuare il Super-Io, vale
a dire il mondo dell’educazione, della socializzazione; dall’altra c’è il furor amoroso, l’Es, vale a dire la