vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi

I Simpson e la satira…
Agirò come l'America meglio agisce... unilateralmente!
All'alcol! La causa di, e la soluzione a, tutti i problemi della vita.
Bart, con 10.000 dollari saremmo milionari! Potremmo comprare ogni
tipo di cose utili come... l'amore!
La politica fortemente autoritaria degli Stati Uniti d’America, il dilagante uso di
alcol come “soluzione”, il materialismo e la grande importanza data ai soldi
sono solo alcuni temi di cui si occupano i Simpson, che in America, e non solo,
hanno dato il via a una nuova satira sociale e di costume.
Anche se la satira può sembrare un genere nato da poco, non è così, infatti ha
origini più lontane.
Già nel V secolo a.C nelle commedie di Aristofane vediamo attacchi agli uomini
politici e al loro operato (tanto che agli esordi della sua carriera, il
commediografo non usò il suo nome, ma un prestanome!), ma è con i Romani
che il genere si consolida e l’assoluta originalità del genere nell’ottica romana è
estrinsecata da Quintiliano che dice: 4
“Satura quidem tota nostra est, in qua primus insignem laudem adeptus
Lucilius quosdam ita deditos sibi adhuc habet amatores ut eum non
eiusdem modo operis auctoribus sed omnibus poetis praeferre non
dubitent. Ego quantum ab illis, tantum ab Horatio dissentio, qui Lucilium
"fluere lutulentum" et esse aliquid quod tollere possis putat. Nam et
eruditio in eo mira et libertas atque inde acerbitas et abunde salis.
Multum est tersior ac purus magis Horatius et, nisi labor eius amore,
praecipuus. Multum et verae gloriae quamvis uno libro Persius meruit.
Sunt clari hodieque et qui olim nominabuntur. Alterum illud etiam prius
saturae genus, sed non sola carminum varietate mixtum condidit
Terentius Varro, vir Romanorum eruditissimus.”
"Certamente tutta nostra è la satira, in cui Lucilio, che per primo vi acquistò
rinomanza, ha tuttora degli estimatori così devoti, che non esitano a preferirlo
non solo agli scrittori di satire, ma a tutti i poeti. Per conto mio, quanto da
costoro, tanto dissento da Orazio, il quale crede che Lucilio scorra
<<limaccioso>> e che <<c'è qualcosa che si potrebbe toglierne>>. Infatti egli
è meravigliosamente colto, ricco, ricco di spiriti liberi e perciò pungente e
notevolmente arguto. Molto più limpido e puro è Orazio e -non credo di
ingannarmi per troppa simpatia- senz'altro il più importante dei poeti satirici.
Grande e meritata fama ha conseguito Persio, pur con un solo libro di Satire. E
ce ne sono altri oggi illustri e che saranno in avvenire ricordati. Dell'altro
genere di satira, più antico, ma caratterizzato dalla varietà non soltanto dei
metri, fu scrittore Terenzio Varrone, l'uomo più erudito dei Romani."
"satura "satura lanx
Il termine " deriva da ", che era il piatto colmo di primizie
(di solito legumi e frutta) il quale costituiva offerta votiva agli dei da parte dei
Romani. In realtà, le ipotesi etimologiche sono state spesso contrastanti: si
pensi che il grammatico Diomede,nel IV secolo, ne ipotizzò quattro,
satura lanx,
annoverando nell'elenco quella già citata di una possibile
derivazione dal nome "satiro" per via dei contenuti spesso mordaci delle satire,
paragonandola ad una pietanza in uso al tempo dei Romani, una specie di
insaccato farcito, infine considerando la possibilità che il termine si riferisse alla
lex per saturam
perifrasi (cioè una legge formata dall'unione di articoli
apparentemente eterogenei). Oggi però l’etimo più accreditato è satura lanx.
Ciò che caratterizza la satira è la varietà d’argomenti, la presenza di elementi
autobiografici e la medietas.
Maggiori scrittori di satire sono stati: Lucilio, Orazio, Persio, Marziale e
Giovenale. 5 Super-Bart e
Super-Nietzsche:
due “Superuomini” a
confronto!!!
6
Bart l'abbreviazione di Bartolomeo, ma anche l'anagramma della parola
inglese "brat", cioè monello - il che rende perfettamente idea del tipo di
personaggio in questione.
Senza dubbio Bart è il cattivo ragazzo per eccellenza, si evince facilmente dai
numerosi episodi in cui è protagonista: ha tagliato la testa alla statua del
fondatore della sua città (Jebediah Springfield), ha rubato un videogioco in un
grande magazzino, ha preso in giro tutta la comunità di Springfield, facendole
credere che in fondo ad un pozzo ci fosse un bambino intrappolato… e l’elenco
continua. Bart non è un semplice monello, è un astuto delinquente, anche se a
volte pare redimersi. Analogamente possiamo parlare di Nietzsche (1844 –
1900), che dal punto di vista filosofico non è certo un santarellino: egli è andato
contro tutto e tutti, rovesciando i valori tradizionali della società del suo tempo
(si pensi, a proposito, alla sua condanna al Cristianesimo). In opposizione, ha
creato l’ideale dello spirito libero, di chi, rifiutati i valori tradizionali, ne adotta
di nuovi, accettando con gioia il caos del mondo che, invece, i suoi
predecessori temevano e da cui cercavano rifugio nella religione. A questo
punto, viene da chiedersi, viste le analogie tra il pensiero del filosofo tedesco
ed il comportamento del ragazzo dalla pelle gialla, se Bart non sia
l’incarnazione dell’ideale nietzscheano (cioè del superuomo).
Per verificare quest’ipotesi, si deve innanzitutto capire la filosofia di Nietzsche e
perché essa sia stata così rivoluzionaria. Alla base del pensiero di Nietzsche sta
la convinzione che la vita sia caos. L’uomo ne è spaventato, così corre ai ripari,
creando delle certezze metafisiche che lo distolgono dalla realtà: le religioni
(prima fra tutte il Cristianesimo). Esse hanno svuotato l’essere umano della
voglia di vivere, distruggendogli l’animo. Nietzsche riporta l’esempio dell’antica
Grecia: in un primo periodo, noto come era presocratica, i Greci si lasciavano
guidare dallo spirito dionisiaco (che li portava ad accettare la vita a pieno) e
dallo spirito apollineo (un tentativo di trasfigurare l’orrido in armonioso) in pari
misura; dopo l’avvento di Socrate, con la sua visione razionale del mondo, che
predicava una rassegnazione alla morte, lo spirito apollineo sopraffà quello
dionisiaco, segnando il declino della civiltà greca. A questa concezione
Nietzsche oppone il principio dell’accettazione della vita, rinnovando i valori
morali: sostituisce alla pietà, alla rinuncia, al sacrificio, alla castità, la fierezza,
la gioia, la salute, l’amore sessuale, la guerra, la riconoscenza verso la Terra e
verso la vita, la volontà di potenza. Nietzsche, quindi, si pone contro i dogmi
della Chiesa, che promuove invece una condotta opposta, improntata sulla
superiorità della vita nell’aldilà su quella terrena. Secondo il filosofo tedesco, la
religione cristiana sarebbe nata dalla lotta tra la “morale dei signori” e la
7
“morale degli schiavi”; queste rispecchiano il modo di pensare delle due classi
sociali del passato, i nobili e i servi: i primi seguivano la virtù del corpo e su
questa base dominavano i secondi. Questi ultimi, non potendo reagire sullo
stesso piano dei loro antagonisti, elaborarono una condotta basata sullo spirito,
a scapito del corpo. Da ciò è derivato il Cristianesimo, che in seguito avrebbe
influenzato anche i padroni. Ne è un esempio la Giudea che, conquistata
militarmente dall’Impero Romano, capovolge i valori del mondo antico e
conquista a sua volta Roma con la religione. Per Nietzsche l’uomo cristiano è
tormentato dal risentimento (verso il più forte) e da un’aggressività latente,
che è sfociata nelle guerre di religione (come le Crociate). In opposizione a ciò il
filosofo tedesco afferma che l’anima non esiste, così come non esiste Dio. Il
processo che porta alla “morte di Dio”, però, è lungo e difficile: l’uomo, in
seguito alla perdita delle proprie certezze metafisiche e religiose, percepisce un
forte vuoto interiore (nichilismo) e arriva a credere che se il mondo non ha il
senso che gli attribuiva la religione, allora non ne ha alcuno. In realtà il
significato del mondo esiste come prodotto della volontà di potenza, vale a dire
del superuomo: egli è colui il quale ha maturato l’idea della morte di Dio e che
si trova davanti infinite possibilità di progettare la propria esistenza. La vera
differenza tra uomo e superuomo sta nel diverso approccio nei confronti
dell’eterno ritorno: esso rappresenta la ciclicità dell’universo; mentre la
persona comune ne è terrorizzata (poiché è terribile vivere, sapendo che tutto
è destinato a ripetersi, sia eventi positivi che negativi), l’individuo che segue
l’ideale nietzscheano lo accetta con gioia, collocandovisi e, pertanto, rifiutando
il concetto di tempo lineare e accingendosi a vivere la vita come coincidenza di
essere e di senso. Questo approccio alla vita si identifica con la volontà di
potenza, in altre parole la forza espansiva del superuomo, capace di
autosuperarsi, di creare la vita stessa, tramite l’arte, vista come forma suprema
dell’esistenza; l’artista diventa, quindi, il superuomo.
La volontà di potenza, trasposta sul piano politico, si identifica con la condanna
ai principi egualitari. Nietzsche in “Ecce Homo” afferma: “La lotta per
l’uguaglianza è già sintomo di malattia”.
Tralasciando l’aspetto artistico in senso stretto e quello politico (di cui ci
occuperemo più tardi), adesso che si è fatta luce sul pensiero nietzscheano, si
devono fare alcune considerazioni: in primo luogo, Nietzsche, condannando la
morale degli schiavi, non esalta affatto quella dei signori, poiché essa era fine a
se stessa e non portava alla completa esaltazione della propria volontà
creatrice, quindi Bart, anche se seguisse l’etica dei padroni, non
rappresenterebbe comunque l’ideale del superuomo. Bart non è un artista, non
crea una propria identità sulla base del suo talento, ma semplicemente come
reazione al mondo circostante. Infatti, si sente a proprio agio in una società
come quella di Springfield, dove è presente una, seppur blanda, “sovrastruttura
repressiva”, un’antitesi con la quale egli possa rapportarsi in qualità di
ragazzaccio. Un episodio dei Simpsons, intitolato “Il fanciullo interiore di Bart”,
rende bene l’idea: motore della storia è un guru della televisione (un
abbindolatore privo di qualsiasi attestato che ne certifichi le conoscenze), che
si reca a Springfield a tenere una conferenza, durante la quale esalta Bart
(presente fra il pubblico con la sua famiglia), come esempio di quel fanciullo
interiore che ognuno dovrebbe cercare dentro di sé e fare ciò che gli dice. Il
risultato è che tutti, in città, iniziano a fare ogni cosa gli passi per la mente:
andare in giro nudi, non lavorare, fare gli spiritosi a scuola e persino sputare dal
cavalcavia sulle auto sottostanti; tutte cose che solitamente erano prerogativa
8
di Bart. A questo punto il “ragazzaccio”, trovandosi spaesato, chiede aiuto alla
sua saggia sorella Lisa:
BART: Lisa, tutti in città si comportano come me. Perché mi fa tanto schifo
allora?
LISA: Semplice. Ti sei definito un ribelle. In assenza di una sovrastruttura
repressiva la tua nicchia nella società è stata incorporata.
BART: Capisco.
LISA: Da quando è arrivato quel tizio dell’auto aiuto tu hai perso la tua identità.
Tra le crepe della nostra società pizza pronta, cotto in un’ora, latte liofilizzato.
BART: Qual è la risposta?
LISA: Questa è la tua grande occasione per sviluppare una nuova e migliore
identità. Posso suggerire di far da ciabattina allegra?
BART: Buona idea. Dimmi cosa devo fare.
Bart, però, non riesce a costruirsi una nuova identità, che non si basi su una
reazione a qualcosa, ed è, quindi, ben lontano dall’ideale nietzscheano di
autocreazione. Anzi, Bart potrebbe rappresentare il nichilismo, successivo alla
perdita dei valori tradizionali: egli rappresenta l’uomo moderno che, ritenendo
che il mondo non ha il senso che gli attribuiva la religione, allora non ne ha
nessun altro. Dal punto di vista di Bart, poiché nulla ha significato, perché non
fare ciò che si vuole? Il primogenito Simpson si comporta da ribelle non per