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Sintesi
latino: Marziale. L'epigramma in morte della piccola Erotion
Petronio-Satyricon (accenno alla cena di Trimalcione)
greco: dall'epigrafe all'epigramma- Anite di Tegea
Inglese: The Spoon River Anthology by Edgar Lee Masters
Storia dell'Arte: dai teschi di Gerico, alle statue di kopoi e kopai greche, ai sarcogafi etruschi, la ritrattistica romana e i monumenti funebri, il monumento funebre medioevale (Ilaria del Carretto) fino alla fotografia post mortem in età vittoriana.
Estratto del documento

“L'arte e la letteratura sono l'emanazione morale della civiltà,

la spirituale irradiazione dei popoli.”

(G. Carducci)

Non potendo dedicare in questa sede il dovuto spazio all’ampia questione del

rapporto tra letteratura e immagini, mi limiterò a presentare una rapida comparazione

tra fonti iconografiche e letterarie offerte dai reperti storici che ci sono pervenuti

attraverso i secoli sul particolare legame tra l’immagine e la morte.

Esso affonda le sue origini nel “culto dei crani” del Neolitico e presenta una

continuità, dal punto di vista figurativo, dalla produzione statuaria greca, alle

imagines maiorum dei romani fino al monumento funebre medioevale e alla

fotografia post mortem in età vittoriana. I testi citati costituiscono il parallelo

letterario alle opere figurative e ci forniscono importanti notizie in merito all’uso che

si faceva delle stesse, quale l’usanza delle imagines nel rituale funerario romano

2

riferita dallo storico Polibio . Attraverso indagini e studi archeologici, fonti

iconografiche, come i rilievi sui sarcofagi, ci è giunta conferma di quanto riferito dai

testi e attraverso la comparazione tra opere artistiche e letterarie si sono potuti

ricostruire alcuni quadri di vita sociale, religiosa e culturale fino a quel momento

soltanto intuibili.

L’esigenza di ricordare e di essere ricordati ha poi arricchito il significato di ogni

singola raffigurazione fino a giungere all’età moderna, perpetuando l’ancestrale

intimità con i cari defunti mediante l’uso della tecnica fotografica.

IL RITRATTO

Storie, 6, 53, 5 e 10

2 5

Cosa significa ritrarre una persona? Il ritratto è un’opera d’arte, una fotografia che

rappresenta la fisionomia di una persona ma propriamente sta a significare, dal latino

Re-trahere, “tirare fuori” come a dire scavare la personalità, portarne alla luce

l’anima, la storia, catturare la vitalità del soggetto e imprimerla nella materia. Una

vitalità che nel caso del ritratto funerario desidera essere perpetuata affinché i vivi

possano trarne consolazione e sentire i propri cari ancora presenti in mezzo a loro.

TESTIMONIANZE FIGURATIVE E PRODUZIONE LETTERARIA

I primi esempi di ritratto (10.000-9.000 a. C.) sono i cosiddetti Teschi di Gerico, in

cui la lavorazione scultorea è stata eseguita direttamente sul teschio umano. Sono di

fondamentale importanza poiché rappresentano il più antico tentativo di voler

ricostruire le fattezze di una persona defunta facendo ad esempio uso di conchiglie,

(poste all’interno delle orbite per ricreare gli occhi), capigliatura e a volte anche baffi

dipinti. Queste teste si collocano alle base delle sculture successive ed in particolare

di quelle del Medio Oriente.

ANTICA GRECIA

L’ambito religioso e rituale, tipico delle civiltà orientali, è presente nelle prime

manifestazioni ritrattistiche greche; nella scultura arcaica è caratteristico il ritratto

tipologico con le statue in marmo o terracotta di κουροι ed i κοραι che servivano a

rappresentare il dedicante delle offerte presso un santuario o il defunto presso la sua

tomba. Erano tuttavia raffigurazioni generiche, simboliche, come quelle poste sulle

stele funerarie per tutto il periodo arcaico (fino al 480 a.C.). A partire dal periodo

classico ed in seguito in periodo ellenistico con lo scultore Lisippo, tra i secoli VI e

III a.C., si ebbe uno sviluppo amplissimo del ritratto fisiognomico greco che non

riguardò più solo i sovrani e gli uomini particolarmente illustri (es. busti di Socrate o

Alessandro Magno), ma anche i semplici privati: in età ellenistica infatti l'arte si pone

ormai a disposizione del singolo e non più esclusivamente della comunità. 6

Si passò così a raffigurare i soggetti in pose più

varie e realistiche: spesso la figurazione scolpita

sulle stele funerarie era il ritratto del defunto, da

solo o nell'atto di congedarsi dai suoi cari, al quale

seguivano iscrizioni volte a far conoscere il nome

e la discendenza a chi leggesse la stele.

DALL’EPIGRAFE ALL’EPIGRAMMA

Si assiste con l’uso delle iscrizioni ad un

affievolimento del rapporto tra immagine e persona

raffigurata, facendo emergere il concetto di

raffigurazione individuale come opera d'arte: dai

nomi delle persone o dalle loro parole in prima persona, si passò in seguito ad

aggiungere i nomi degli scultori per poi arrivare alla frase più distaccata "statua di,

immagine di, μνεμα (ricordo) di, ecc.".

Nel 1972 a sud di Maratona fu portata alla luce una statua funeraria risalente al VI

a.C di una giovane donna, Phrasikleia, alla base della quale un’ epigrafe recitava così:

Devo esser chiamata

sempre fanciulla.

Poiché ho ricevuto

questo nome dagli dei

al posto delle nozze

La statua della Kore Phrasikleia, come suggerisce l'iscrizione, raffigura una giovane

donna che morì nubile e quindi dovrebbe essere conosciuta per sempre come una

ragazza. È in posizione eretta e indossa un lungo chitone, decorato con fiori e intrecci

geometrici, legato con una cintura. Il braccio sinistro è piegato davanti al corpo e in

mano tiene un fior di loto ancora chiuso. Il particolare allude ad una volontà

universale: il kleos di Phrasikleia attende il giorno del riconoscimento quando, grazie

alla lettura ad alta voce dei posteri, potrà finalmente vivere. 7

L’epigrafe della kore di Maratona può facilmente trovare una corrispondenza con

l’epigramma letterario “Per la statua di una fanciulla” della poetessa Anite di Tegea

(III sec. a. C) che ci è pervenuto attraverso l’Antologia Palatina insieme ad altri sei

epigrammi funerari dedicati ad alcune fanciulle morte precocemente (Filenide,

Antibia, Erato e per le tre ragazze suicidatesi per scampare alla violenza dei Galli)

Per la statua di una fanciulla

Oh! non a te lo splendore del talamo e i sacri imenei:

la madre a te su questa tomba di marmo pose

una fanciulla che ha proprio la tua statura e bellezza,

3

o Tersi: ti possiamo parlare benché morta.

La madre si rivolge direttamente alla statua collocata sulla tomba

della figlia perchè quella stessa materia benché di marmo ha le

stesse fatture e bellezza della sua Tersi, a lei può parlare e in

questo modo sentirla vicina, immaginare che la sua bambina sia

ancora viva.

Il lento processo che porta alla separazione tra epigrafe

funeraria ed epigramma letterario è alla base della storia di

un genere breve, essenziale, estremamente duttile e vario nei

contenuti. L’Antologia Palatina, accogliendo la produzione di un vasto arco di

tempo (abbraccia infatti l'opera di 300 poeti che vanno dal V sec a.C. alla tarda età

bizantina) è, in tal senso, paradigmatica di queste caratteristiche e testimonia

l’intrecciarsi attraverso i secoli di trasformazione e di continuità nel gusto di autori e

lettori. La sua lettura in seguito diventerà occasione e fonte di ispirazione per altra

poesia, anche a distanza di millenni e in contesti completamente diversi.

3 Antologia Palatina. VII, 649 8

ETRUSCHI

Se in Grecia qualsiasi rappresentazione umana era concepita come statua intera, un

tutto indiscindibile, in era italica invece esisteva la suggestione che la personalità

caratteristica di una figura si concentrasse nella testa e che questa fosse sufficiente

per rappresentarne l'intera individualità. Già nelle urne cinerarie veniva raffigurato un

piccolo corpo appena abbozzato sulla quale si ritraevano teste di proporzioni

notevolmente maggiori. Questa abitudine a privilegiare la raffigurazione di teste

rappresentò un terreno più predisposto all'espressione ritrattistica.

Inizialmente tutti i ritratti erano solo

convenzionali, "tipologici", ed è solo dalla

fine del IV secolo a.C. che si iniziano a

incontrare indizi di ritratti fisiognomici. I

famosi sarcofagi fittili di età arcaica con

coppie (Sarcofago degli Sposi, ecc.) non sono

altro che idealizzazioni dei defunti, senza

tratti realistici. Gli scultori si attennero a dei

modelli stilistici piuttosto che alle reali fattezze dei defunti, e si diffuse la produzione

in serie per tipologia (il vecchio, il giovane, la donna) alle quali si poteva tutt'al più

aggiungere piccole diversificazioni con ritocchi, soprattutto nelle capigliature.

Officina particolare è quella della città di Tuscania specializzata nella realizzazione di

sarcofagi di terracotta eseguiti a parti staccate e componibili.Le teste erano ottenute

con uno stampo, poi erano vivificate con una stecca; lo sguardo spesso era realizzato

con l’applicazione di un dischetto forato nella pupilla, la decorazione delle casse

eseguita a contorni incisi con la spatola. Tutto ciò concorre a fare di questo gruppo di

sarcofagi l’attestato della più disinvolta libertà formale e caratterizzazione popolare

che ci sia pervenuto della civiltà Etrusca. 9

ANTICA ROMA

I ritratti di produzione romana traggono direttamente ispirazione dal ritratto etrusco

ma di fatto, per la loro grandissima qualità e la precisione di stampo realista, si può

facilmente dedurre che il punto di partenza fu invece

il ritratto ellenistico ed in particolare quello della

scuola lisippea.

L'esasperazione della realtà nel ritratto romano

coincise con una forte esaltazione delle tradizioni, con

la presa di coscienza del valore della gens e la volontà

di volerla esprimere. Lo stile di queste opere è

minuzioso nella resa dell'epidermide solcata dagli

anni e dalle dure condizioni della vita tradizionale

contadina a sottolineare gli aspetti di gravità di

personaggi ritratti al termine della loro vita e destinati

a fungere da modello morale per i posteri. Vi si legge

un certo disprezzo altezzoso e un'inflessibile durezza, come nel famoso ritratto 535

del Museo Torlonia.

Con la diffusione della moda neoattica le classi superiori abbandonarono questo tipo

di ritratto, che invece continuò ad essere imitato da coloro che guardavano con

desiderio alla classe dei patrizi, i liberti, soprattutto nei monumenti sepolcrali come

rappresenta Petronio nel Satyricon, un romanzo di avventure databile all’età di

Nerone. Un famoso capitolo di quest’opera ci presenta Trimalcione, liberto arricchito

4

e seviro , che si vanta di non aver mai ascoltato una conferenza di filosofia e di essere

un buon cittadino molto fortunato, molto ricco e molto munifico. Le disposizioni che

egli dà (Satyricon, 52 LXXI) sul modo di costruire e ornare il suo sepolcro, trovano

esatta realizzazione in una serie di monumenti funebri municipali: ad esempio il

sepolcro di un seviro di Teate, i cui frammenti si conservano nel museo di Chieti. Il

4 Il sevirato è una delle magistrature minori dell'antica Roma a carattere prevalentemente onorario.

Nelle città municipali la carica veniva di solito rivestita dai liberti arricchitisi e consisteva

nell'organizzare giochi e spettacoli quali combattimenti gladiatorii. Il sevirato assunse un forte

valore simbolico per i liberti come mezzo di testimoniare non solo l'affrancazione dalla schiavitù,

ma soprattutto la propria ascesa sociale. 10

seviro, lusius storax, come ci dice l’iscrizione del monumento è raffigurato seduto al

centro degli altri magistrati sopra un podio (“me sedentem in tribunali”raccomanda di

essere scolpito Trimalcione).

Caratteristica di quest’arte è la sua aderenza alla vita reale-quotidiana ed in queste

manifestazioni risiede il filone vero e autentico dell’arte romana che si manifesta in

molti modi: per esempio nel preferire sulle pareti dei monumenti sepolcrali la

presentazione degli utensili del mestiere invece che raffigurazioni mitologiche. Per la

sua aderenza con la vita quotidiana e per il fatto di rivolgersi soprattutto a soggetti

5

simili, quest’arte è stata chiamata “arte popolare”.

Il culto del defunto assume a Roma un aspetto tutto particolare nelle famiglie patrizie.

Era infatti privilegio esclusivo delle famiglie aristocratiche il cosiddetto ius

6

imaginum, il diritto di tenere le immagini degli antenati nell’ambiente centrale della

casa, l’atrio. “Dopo la laudatio funebris” - Ci descrive Polibio - “il morto si

seppellisce con gli usuali riti funebri e la sua immagine, chiusa in un reliquiario di

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