vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
IL PROGRESSO DAL MONDO ANTICO AD
OGGI
Il progresso, che indica un mutamento nel tempo di un sistema (sociale,
economico , tecnologico, politico), ha da sempre caratterizzato la storia
dell’uomo e creato attorno a sé concezioni e ideologie differenti.
Lucrezio
Il mondo antico, con (98 a.C. – 50 a.C. circa) , nel finale del V libro
del “De rerum natura” (il suo poema più importante) propone un quadro del
progresso umano dallo stato originario fino ai suoi giorni, quando ormai
l’umanità ha raggiunto un livello di stabilità grazie al progresso nelle arti e nelle
tecniche. Lucrezio si sofferma su una delle scoperte decisive nella storia
dell’uomo: il fuoco. Così, l’uomo, appropriandosi di uno degli strumenti più
preziosi della tecnologia, cominciò a mutare le sue abitudini, ad esempio
cuocendo i cibi, carattere fondamentale di una civiltà avanzata. Ma il progresso
assume spesso connotazioni negative perché ritenuto responsabile di ricchezze
e quindi della creazione di bisogni non naturali e non necessari, e inoltre
perché finisce per favorire l’insorgere di false credenze religiose. Egli tuttavia,
seguendo le orme del maestro Epicuro, non nega l’esistenza degli dei, ma
semplicemente li ritiene del tutto estranei al mondo e alla vita dell’uomo.
Illud in his rebus tacitus ne forte requiras,
fulmen detulit in terra mortalibus ignem
primitus, inde omnis flammarum diditur ardor;
multa videmus enim caelestibus insita flammis
fulgere, cum caeli donavit plaga vapore.
Et ramosa tamen cum ventis pulsa vacillans
aestuat in ramos incumbens arboris arbor,
exprimitur validis extritus viribus ignis,
emicat interdum flammai fervidus ardor,
mutua dum inter se rami stirpesque teruntur.
Quorum utrumque dedisse potest mortalibus ignem.
Inde cibum coquere ac flammae mollire vapore
sol docuit, quoniam mitescere multa videbant
verberibus radiorum atque aestu victa per agros.
Inque dies magis hi victum vitamque priorem
commutare novis monstrabant rebus et igni,
ingenio qui praestabant et corde vigebant.
Condere coeperunt urbis arcemque locare
praesidium reges ipsi sibi perfugiumque,
et pecus atque agros divisere atque dedere
pro facie cuiusque et viribus ingenioque;
nam facies multum valuit viresque vigebant.
Posterius res inventast aurumque repertum,
quod facile et validis et pulchris dempsit honorem;
divitioris enim sectam plerumque sequuntur
quamlibet et forte set pulchro corpore creti.
Quod siquis vera vitam ratione gubernet,
divitiae grandes homini sunt vivere parce
aequo animo; neque enim est umquam penuria parvi.
At claros homines voluerunt se atque potentes,
ut fundamento stabili fortuna maneret
et placidam possent opulenti megere vitam,
nequiquam, quoniam ad summum succedere honorem
certantes iter infestum fecere viai,
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia interdum contemptim in Tartara taetra.
E’ chiaro, comunque, l’elogio della semplicità di vita e quindi la simpatia che
Lucrezio dimostra per la condizione degli uomini primitivi. Indubbiamente le
scoperte come quelle del fuoco, che consentirono di migliorare enormemente
le condizioni di vita, furono un bene per l’umanità, perché la posero al riparo
dai pericoli che mettevano a rischio la sua stessa esistenza. Ma tuttavia furono
queste maggiori possibilità a disposizione a produrre nuovi desideri e nuovi
bisogni, appunto come la ricerca della ricchezza e del potere. Proprio per
questo non stupisce che Lucrezio,nonostante la sua impostazione progressista
della sua storia dell’umanità, affermi che al progresso scientifico-tecnologico
non corrisponda un analogo progresso morale.
Il vero progresso dell’uomo è costituito dalla conoscenza della verità ottenuta
tramite la ragione e quindi dalla filosofia di Epicuro. Ma questo messaggio è
stato accolto solo da pochissimi, mentre la massa degli uomini, nonostante le
condizioni di vita più progredite, continua a brancolare come uomini primitivi,
in una tenebra ancora non rischiarata dalla luce della ragione.
Del resto la dottrina epicurea non si prestava affatto a fondare una teoria
progressista: se il sommo bene è assicurato dal semplice soddisfacimento dei
bisogni elementari, l'evoluzione delle tecniche, anche non moralmente nociva,
è superflua ai fini della felicità. Difatti, il fine della vita era il piacere e quello del
progresso l’utilità; ma se il sommo piacere era quello catastematico, ovvero la
tranquillità procurata dall’assenza di dolore e mancanza di turbamento
nell’animo, non si giustificava un accrescimento indefinito di piacere ed utilità
proprio perché la ricerca di nuovi piaceri poteva solamente turbare la felicità,
anziché accrescerla. Da ciò si deduce che l’umanità semplice era più
facilmente felice rispetto a quella progredita.
Il poeta finisce, quindi, col dare un giudizio sostanzialmente negativo sulla
storia dell'umanità, non per un suo innato e invincibile pessimismo, ma perché
si pone da un punto di vista rigorosamente etico, ritenendo che il progresso sia
soltanto illusorio in quanto la stragrande maggioranza degli uomini continua ad
essere tormentata da vane e stolte paure, fonti di turbamento e di continua
infelicità.
XV canto Paradiso Divina Commedia
Nel del della , vi è la
rievocazione della Firenze antica in contrapposizione a quella presente in cui la
società mercantile ha portato, secondo Dante, la ricchezza nella città
allontanando i cittadini dal valore spirituale della vita.
Il canto comincia con i beati del cielo di Marte (V cielo), disposti in forma di
croce, che interrompono il canto affinché Dante possa rivolgere loro le sue
domande. Intanto un’anima, muovendosi dal braccio destro della croce, scende
ai piedi di essa e si rivolge al poeta con un tono particolarmente affettuoso. E’
l’anima di Cacciaguida, trisavolo di Dante, il quale, non riesce ad afferrare il
senso delle sue parole, poiché esse sono troppo elevate per essere
comprensibili alla mente umana. Successivamente il discorso diviene più chiaro
al poeta, che chiede di poter conoscere il suo nome. L’anima beata glielo rivela,
e subito dopo delinea la Firenze del suo tempo, non ancora sconvolta
dall’avidità dei mercanti e da lotte interne. Nella parte finale del canto
Cacciaguida, dopo aver ricordato il nome dei suoi due fratelli, Moronto ed
Eliseo, e quello della moglie, parla della propria vita. Egli entrò al servizio
dell’imperatore Corrado III, dal quale fu fatto cavaliere. Lo seguì nella seconda
crociata e morì combattendo contro i Saraceni.
A partire dal verso 97, Cacciaguida inizia la rievocazione della Firenze del suo
tempo: “Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.”
La città era racchiusa entro la cerchia delle antiche mura, da cui ancora oggi
sente il rintocco della terza e nona ora, viveva in pace con sobrietà e pudicizia.
Gli indicatori di questa condizione ideale di vita sono soprattutto i costumi
femminili: le donne non portavano gioielli preziosi né vestiti appariscenti.
Infatti, in quel tempo non era ancora penetrato il lusso ed erano sconosciuti gli
eccessi. Le fanciulle si sposavano nell’età giusta e con una dote modesta,
mentre nella Firenze dei tempi di Dante, i padri fanno sposare le figlie
giovanissime e la dote era tale da superare il patrimonio familiare. Nella Firenze
del passato, le donne si dedicavano alla cura dei figli ed erano occupate a filare
la lana e le persone dedite al lusso e alla corruzione, essendo rarissime,
costituivano motivo di stupore; in quella attuale, invece, le cose sono mutate al
punto che sono rarissime le persone virtuose, tanto che sono esse a costituire
motivo di stupore. Non vi erano case troppo grandi e sproporzionate ai bisogni,
i vizi non avevano ancora contagiato le famiglie, la ricchezza delle case
fiorentine non era eccessiva. Chiaramente le parole di Cacciaguida sono
espresse dal pensiero di Dante, il quale ritiene che la causa della corruzione
della città sia la trasformazione economica in atto al suo tempo. Firenze, infatti,
passa da un’economia basata principalmente sull’agricoltura al commercio e
all’attività finanziaria: questo comporta l’afflusso dalla campagna alla città.
L’inurbamento di persone di diversa provenienza ed origine sociale e il
desiderio di ricchezze, tipica del mercante, hanno infranto quelle regole di vita,
in passato essenziali. Dante, che assiste al crollo di una civiltà basata su uno
stile di vita semplice e su valori tradizionali e al sorgere di una nuova società
differente dal punto di vista economico e culturale, non comprende che non sia
possibile un ritorno al passato e che è vano il rimpianto di un mondo ormai
morto. Tuttavia, la rievocazione del passato, non presenta toni nostalgici, bensì
toni propri dell’inno, perché le regole e i valori che caratterizzavano la vita
dell’uomo, non sono visti come una perdita per sempre, ma come valori
perenni e solo temporaneamente assenti.
Proprio l'affermazione del sistema industriale ha rivoluzionato la storia del
mondo negli ultimi 250 anni: una serie di innovazioni tecnologiche e di
trasformazioni nell'organizzazione del lavoro hanno segnato le fasi del suo
sviluppo, imprimendo brusche accelerazioni alle capacità produttive e al
cambiamento degli assetti sociali.
La rivoluzione industriale ebbe inizio tra il 1760 e il 1830 in Gran Bretagna, in
quanto disponeva di principali fattori: capitali da investire, materie prime e
fonti di energia, domanda crescente di manufatti industriali, adeguate vie di
comunicazione e sistemi di trasporto, abbondante forza-lavoro a basso costo,
innovazioni tecnologiche rapidamente applicabili al processo produttivo.
La prima rivoluzione industriale , grazie anche all'introduzione di una
serie di innovazioni tecnologiche, instaurò un sistema di produzione
notevolmente diverso da quello precedente: non più basato su attività
manifatturiere sparse nelle campagne, che utilizzavano fonti di energia
tradizionali (animali, vento, acqua), ma sul lavoro degli operai nelle fabbriche,
con l'impiego di macchine alimentate con combustibili fossili. La macchina a
vapore (inventata nel 1698 e più volte perfezionata nel corso del XVIII secolo),
applicata al drenaggio delle miniere, che tendevano a essere invase dall'acqua,
aumentò la produzione di carbone e di altri prodotti minerari (ferro, rame,
stagno, piombi ecc.). La sua applicazione al settore tessile permise di
meccanizzare la filatura e la tessitura. Ne beneficiò in particolare la produzione
di manufatti di cotone, la cui fibra, più forte delle altre, si prestava meglio a
resistere agli strappi delle primitive macchine. L'industria siderurgica si valse
della macchina a vapore per far funzionare i mantici dei forni per fondere il
minerale di ferro. Un grande passo avanti fu l'introduzione del carbone di
(coke)
gasificato per la fusione del minerale negli altiforni,cui seguì una serie di
altre invenzioni che permisero, a partire dalla metà del XIX secolo di produrre
acciaio su scala industriale. Inoltre, macchine a vapore perfezionate e leggere,
con elevate pressioni di vapore, equipaggiarono le prime locomotive, aprendo
l'era delle ferrovie e rivoluzionando il sistema dei trasporti.
L’industrializzazione non provocò solamente un rapido mutamento economico,
ma anche della vita quotidiana, della mentalità, dei valori tradizionali. Questa
percezione della nuova realtà industriale fu una delle tematiche principali della
Charles
letteratura del primo Ottocento, come mostra nelle sue opere
Dickens (1812-1870) , uno fra i massimi interpreti della prima età vittoriana
(1837 al 1901). Egli ebbe un’adolescenza segnata dall’imprigionamento del
padre per debiti e dalla necessità di lavorare come operaio in una fabbrica di
scarpe. Questa esperienza lo mise in contatto con le condizioni della classe
operaia dell’epoca. Pertanto riversò la sua protesta sociale nei suoi romanzi,
quali “Oliver Twist” e “Hard Times” (1854).