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Il principio di indeterminazione di Heisenberg, considerato come l’origine e il
fondamento dell’Indeterminismo, afferma che a causa dell’interferenza prodotta
dall’osservazione (in particolare dall’energia luminosa impiegata) è impossibile
calcolare, nello stesso tempo, la posizione di una particella e la sua velocità, si possono
infatti fare previsioni probabili e calcoli statistici.
Secondo alcuni fisici, primo fra tutti Einstein, l’indeterminazione non è una
caratteristica intrinseca della realtà, ma dipende dall’impossibilità di conoscere con
precisione i valori delle variabili di stato, perciò si può soltanto giungere ad una
7
descrizione probabilistica . L’indeterminismo, invece, per Heisenberg, non dipende
dall’inafferrabilità pratica di tutte le informazioni necessarie per la conoscenza
deterministica, ma si configura come una legge fondamentale ed universale della natura:
l’indeterminazione quantistica corrisponde ad una indeterminazione di natura. La
fisica delle particelle sostituisce alle certezze della fisica precedente l’indeterminatezza
e la casualità. A criticare l’interpretazione data da Heisenberg alla meccanica quantistica
intervengono anche Max Planck ed Erwin Schrödinger, che hanno difficoltà ad accettare
una teoria che prospetti un universo non regolato dal rapporto causa-effetto. Il loro
parere è che la posizione sostenuta da Heisenberg porterebbe ad una negazione totale
non solo della scienza, ma, in ultima analisi, dello stesso pensiero razionale: l’assenza
del principio di causa ed effetto comporta l’impossibilità di prevedere e spiegare
qualsiasi cosa, si può persino dubitare dell’esistenza di ogni cosa al di fuori di noi e dei
nostri sensi.
Tuttavia, il contributo di Heisenberg alla fisica è indubbio, ciò che viene messo in
discussione sono le conclusioni filosofiche che egli ha tratto dalla sua meccanica
quantistica.
7 Nel momento in cui noi conoscessimo questi fattori potremmo fornire una descrizione dell’universo
completamente deterministica: questa corrente di pensiero viene denominata “indeterminismo soggettivo
o statistico”. 6
1.1 Heisenberg
Werner Heisenberg scoprì che la natura probabilistica delle leggi della Meccanica
Quantistica poneva grossi limiti al nostro grado di conoscenza di un sistema atomico.
Normalmente ci si aspetta che lo stato di una microparticella in movimento
(consideriamo ad esempio un elettrone in rotazione attorno al nucleo) possa essere
descritto completamente ricorrendo a due parametri: velocità e posizione. Heisenberg
postulò invece, che a un certo livello queste quantità sarebbero dovute rimanere sempre
indefinite. Tale limitazione prese il nome di Principio di Indeterminazione. Questo
principio afferma che maggiore è l’accuratezza nel determinare la posizione di un
particella, minore è la precisione con la quale si può accertarne la velocità e
8
viceversa .
Occorre sottolineare però che le limitazioni in parola, non derivano solo dall’invasiva
interazione del mondo macroscopico sul mondo microscopico, ma sono proprietà
intrinseche (ontologiche) della materia: in nessun senso si può ritenere che una
microparticella possieda in un dato istante una posizione e una velocità.
Per poter determinare con precisione la posizione e la velocità (e quindi l'energia) di un
corpo in movimento è necessario investire il corpo con un fascio di luce (fotoni). Per
renderci conto del peso di un oggetto dobbiamo pesarlo mettendolo quindi in relazione
con altri oggetti; per vedere qual è la lunghezza di un tavolo dobbiamo sovrapporgli un
metro; per calcolare il livello dell'acqua in un serbatoio dobbiamo introdurvi un'asta
graduata; per camminare in una stanza buia dobbiamo toccare per muoverci
agevolmente; se la stanza non è buia ci sembra però di poterci muovere senza
modificare nulla, senza toccare. Invece non è così: la funzione che svolgevano le nostre
mani, toccando per farci muovere, è ora svolta da altri oggetti. Sono infatti i fotoni che
toccano per noi gli oggetti rendendoceli visibili. Per studiare quindi, nell'ipotesi
minimale, la posizione di un determinato oggetto occorre almeno vederlo, e per vederlo
8 Più precisamente nella misura simultanea delle coordinate x e della quantità di moto p di una particella è
' '
impossibile ottenere valori x e p con indeterminazione piccola a piacere. Infatti, se Δx e Δp denotano
rispettivamente l'indeterminazione in x e p, deve esistere la relazione : Δx Δp ≥ h [h = h/4π ]
In modo analogo, in base al principio di indeterminazione è impossibile mediante una osservazione che
duri un tempo Δt determinare l'energia di una particella con un'incertezza inferiore a ΔE, legata a Δt dalla
relazione : ΔE Δt ≥ h
Quest'ultima relazione dimostra che in nessun senso si può ritenere che una microparticella possieda in un
dato istante una energia definita (Rif. indeterminazione Energia-Tempo).
Si noti infine che il Principio di Indeterminazione è valido per qualsiasi "oggetto", ma in pratica ha
conseguenze importanti solo se applicato a particelle di dimensioni atomiche o subatomiche, perché
quando si tratta di corpi ordinari, data la piccolezza della costante h esso perde gran parte del suo
significato. 7
occorre che questo oggetto sia illuminato. Se illuminiamo l'oggetto per studiarlo vuol
dire che noi ci mettiamo in relazione con esso mediante i fotoni. In ogni caso, misurare
significa perturbare.
Supponiamo di voler determinare la traiettoria e la velocità di una palla all'interno di
una stanza buia mediante una macchina fotografica ed uno stroboscopio (un flash che
può fornire lampi con precisi e ridotti intervalli di tempo). Teniamo il diaframma e
l'obbiettivo della macchina completamente aperti: trovandoci al buio la pellicola non si
impressiona. Facciamo partire i lampi dello stroboscopio contemporaneamente al lancio
della palla. Alla fine dell'esperimento avremo una foto in cui la palla è ritratta in diverse
posizioni ad intervalli successivi:
E' facile allora vedere quale è stata la traiettoria della palla. Altrettanto facile è calcolare
la sua velocità per ogni piccolo tratto di traiettoria: si conosce la distanza tra un punto ed
uno successivo occupati dalla palla nella foto, si conosce l'intervallo di tempo intercorso
tra due lampi successivi dello stroboscopio, basta quindi applicare la relazione :
v = s/t
ad ogni coppia di successive posizioni della palla per conoscere le sue velocità media in
quei piccoli, successivi, tratti.
Facendo queste misure abbiamo modificato la velocità e la traiettoria della palla? Si, le
abbiamo modificate, anche se di poco. Ricordiamo che la luce è composta da tanti e
tanti fotoni a ciascuno dei quali compete una energia E = hν. Se abbiamo 1 miliardo di
9 9
fotoni (10 ) tutti di frequenza ν avremo una energia totale E = 10 hν. Questi fotoni per
illuminare la palla la devono colpire fornendo dunque ad essa la loro energia. La palla
9
ha quindi acquistato una energia E = 10 hν. L'acquisto di questa energia ha in qualche
8
modo modificato e la posizione della palla nell'istante in cui viene fotografata e di
conseguenza, la traiettoria e, di conseguenza la sua velocità. Rendiamoci conto di come
questa modificazione ha influito sulla nostra misura e per far questo troviamo l'ordine di
9
grandezza di E = 10 hν. E' a questo punto che entra in gioco l'estrema piccolezza della
-34
costante di Planck, h = 6,63.10 joule.s. Facendo infatti il conto che ci interessa, si ha:
9 -34 -25
E = 10 . 6,63.10 ν Joule = 6.63.10 ν Joule 14
Tenendo ora conto che la frequenza dei fotoni della luce visibile è compresa tra 10 e
15 14
10 cicli al secondo (Hz) si ha che ν ~ 5.10 Hz e allora:
-25 14 -10
E = 6.63.10 .5.10 Joule ~ 3.10 Joule = 3/1000 erg.
Affinché la palla rimanga impressionata sulla lastra occorre che un certo numero di
fotoni la urti. E' evidente che con questi urti i fotoni cedono la loro energia alla palla la
quale si ritroverà con il suo stato di moto modificato. Questa modificazione è però tanto
piccola rispetto alle dimensioni, degli oggetti che stiamo studiando da non tenerne
affatto conto: l'energia dei fotoni rispetto a quella della palla è davvero ben piccola cosa,
totalmente trascurabile. E' proprio il fatto che queste due energie sono tanto diverse a far
si che noi possiamo agevolmente misurare, senza tener conto dei microscopici errori, la
posizione e la velocità della palla. Nei ragionamenti che stiamo sviluppando abbiamo
implicitamente ammesso che per studiare una qualche caratteristica di un certo oggetto
dobbiamo in qualche modo toccarlo, dobbiamo cioè in qualche modo interagire con
esso.
Ritorniamo alla nostra palla. L'abbiamo perturbata con energie piccole al confronto con
la sua, ma cosa succederebbe se noi la perturbassimo con un'energia dello stesso ordine
di grandezza? Avremmo un fotone grande come la palla che lo colpisce. Potremo dire
allora che la palla si trovava lì al momento dell'urto con il fotone, ed infatti la lastra
fotografica ci darebbe ragione. Ma, un istante dopo, la palla non è più lì avendo
modificato completamente la sua traiettoria e la sua velocità.
Ora vogliamo studiare una micro particella come l’elettrone e perciò facciamo come
Heisenberg nel 1927: costruiamo cioè un'esperienza ideale, nella quale lo
sperimentatore disponga di un laboratorio ideale in cui egli possa costruire qualsiasi
genere di strumento o congegno purché la sua struttura ed il suo funzionamento non
contraddicano le leggi fondamentali della fisica. Vogliamo osservare la traiettoria di un
elettrone in movimento, lanciato da un particolare meccanismo e soggetto alla forza di
gravità della Terra. L'attrezzatura per fare l'esperienza è la seguente:
9
a) una camera dentro la quale è stata aspirata completamente l'aria, fino all'ultima
molecola;
b) un cannoncino in grado di sparare elettroni, uno alla volta, orizzontalmente e
sistemato su una parete della camera;
c) una sorgente luminosa capace di emettere fotoni in numero variabile a piacere e di
qualsiasi frequenza;
d) un microscopio in grado di poter osservare qualsiasi frequenza (perfino le lunghe
onde radio e i cortissimi raggi γ).
L'attrezzatura di questa esperienza ideale è ideale perché:
a) a tutt'oggi non si intravede la minima possibilità di ottenere il vuoto assoluto;
b) non ci sono cannoncini che sparino elettroni uno alla volta;
c) una tale sorgente luminosa non è stata ancora realizzata;
d) un microscopio con tali caratteristiche non esiste;
e con il supporre di avere questa attrezzatura non si contraddice nessun principio
fondamentale della fisica. Lo schema costruttivo dell'esperienza è riportato nella figura
seguente:
Cerchiamo di vedere e capire cosa succede ad un elettrone quando, sparato dal
cannoncino, si pone in moto nella camera. L'elettrone evidentemente è un piccolo
proiettile e, secondo quanto sappiamo di fisica classica, la sua traiettoria dovrebbe
essere un arco di parabola come mostrato nella figura seguente
10
Verifichiamo allora se, effettivamente, questo elettrone segua una traiettoria parabolica.
Ma per vedere occorre illuminare e per illuminare occorre che almeno un fotone
colpisca l'elettrone. Quindi per misurare la posizione di un oggetto microscopico come
un elettrone occorre investirlo con un raggio di luce (fotoni) o comunque qualcosa che
in ultima analisi risulta avere all'incirca le medesime dimensioni dell'elettrone. Questo
9
fa si che l'elettrone risulti perturbato da questa interazione che ne modifica
inesorabilmente la velocità e posizione: l'energia dell'elettrone è molto minore di quella
di una palla, quindi se un elettrone è colpito da un fotone, al contrario di una palla
colpita da uno o più fotoni, gli scambi di energia sono dello stesso ordine di grandezza
ed allora, dopo l'urto, l'elettrone avrà completamente variato la sua traiettoria e la sua
velocità. Osservando con il nostro microscopio l'elettrone, troveremo una traiettoria a
zig-zag; infatti per osservare l'elettrone per un certo tempo saranno diversi i fotoni che
colpiranno in tempi successivi: