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La Filantropia
LA FILANTROPIA
TESINA D’ESAME
di
ALESSANDRO ALONZO
CLASSE III A
ANNO SCOLASTICO 2001-2002
(Henri Matisse, la danza)
INDICE
LETTERATURA ITALIANA
9 La nuova soluzione leopardiana ne “La ginestra”
Il socialismo umanitario di Pascoli
9
FILOSOFIA
9 L’umanismo naturalistico di Feuerbach
STORIA
9 L’assistenzialismo nello Stato fascista
INGLESE
Charles Dickens: life and social denunciation
9
LETTERATURA LATINA
Lucio Anneo Seneca: epistulae morales ad Lucilium I 7 - V 47
9
LETTERATURA GRECA
δ σκολος
Il di Menandro
9 ύ τ ις αυτ ν
Marco Aurelio:
9 ά έ ό
La nuova soluzione leopardiana ne “La ginestra”
L’umanesimo naturalistico
Il socialismo umanitario di Pascoli di Feuerbach
L’assistenzialismo nello
Stato fascista LA FILANTROPIA Charles Dickens: life and social
denunciation
τά αυτόν
έις
Marco Aurelio:
δύσκολος
Il di Menndro Seneca: epistulae morales ad Lucilium: I 7, V 47
INTRODUZIONE
Gli scritti riuniti in questa tesina cercano di offrire alcune riflessioni sulla costruzione e strutturazione
di un tema fondamentale tanto della modernità, quanto dell’antichità classica: la filantropia.
Pertanto“fratellanza”, “solidarietà”, “filantropia”, “socialità” sono i concetti-chiave che legano, in
qualche maniera, le considerazioni raccolte in questo lavoro; considerazioni che sono pur fortemente
differenziate tra di loro come collocazioni spazio-temporali, modalità di riflessione e di ricerca e
linguaggi, ma comunque unite da alcune domande e riflessioni di fondo che possono essere le seguenti:
perché combattersi e sopraffarsi a vicenda, per egoismo e avidità, quando siamo tutti figli di un unico
padre e di un’unica madre? Perché uccidere e lottare, invece di unirsi in una “social catena” e creare una
società in cui le uniche leggi che regolano i rapporti tra gli uomini sono il “vero amore”, la “giustizia”,
la “pietà”, la solidarietà etc.? Perché discriminare un tuo pari, un tuo stesso fratello, se puoi con lui
instaurare un rapporto che aiuti ad alleviare le sofferenze di una vita misera o che porti a condividere i
momenti felici insieme? Perché temere la Natura e, infelice, isolarsi titanicamente o vittimisticamente,
(χαρεν)
invece di aprirsi all’uomo e alla socialità e scoprire com’è “ cosa gradevole” l’uomo, quando è
uomo?
Queste sono le riflessioni e le domande che credo ogni uomo si ponga e su cui, proprio come tutti noi,
anche i grandi personaggi della storia, della letteratura e della filosofia (da Feuerbach a Pascoli, da
Menandro a Dickens, da Seneca a Marco Aurelio, senza dimenticare Leopardi) hanno meditato, proponendo
varie soluzioni e considerazioni, che proverò trattare nelle pagine successive.
LA NUOVA SOLUZIONE LEOPARDIANA NE “LA GINESTRA”
La ginestra costituisce una svolta essenziale nel pensiero e
nella poetica di Leopardi: fa parte dell’ultima stagione
leopardiana, che si colloca dopo il 1830 e dopo il suo
definitivo allontanamento da Recanati.
Presupposto filosofico della scrittura poetica di Leopardi
resta sempre quel pessimismo assoluto su basi
materialistiche, a cui il poeta era approdato tra il ’24 e il
’25. Ma, dopo il distacco rassegnato e ironico della fase
delle Operette, dopo il ripiegamento sull’io ed il recupero
dell’età giovanile proprio della fase dei grandi idilli,
Leopardi stabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee e i problemi del suo tempo.
Non solo , ma appare più orgoglioso di sé, della propria grandezza spirituale, più pronto e
combattivo nel diffondere le sue idee e nel contrapporle polemicamente alle tendenze
dominanti dell’epoca.
Esempio ed emblema della rinnovata poetica leopardiana è appunto La ginestra: il
componimento ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa; il poeta di
Recanati non nega più la possibilità, come aveva asserito in precedenza, di un progresso
civile, cerca anzi di costruire un’idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La
consapevolezza lucida della reale condizione dell’uomo, come “bassa e frale” e la
concezione che il destino dell’umanità sulla terra è un destino di infelicità inesplicabile e
assoluta, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi in una
“social catena” per combattere la sua minaccia; e questo legame può far cessare le
sopraffazioni e le ingiustizie della società, dando origine a un più “onesto e retto conversar
cittadino”, a “giustizia e pietade”, al “vero amore” tra gli uomini. La filosofia di Leopardi
che non è mai stata misantropica, si apre qui a un generosa utopia, basata sulla solidarietà
fraterna degli uomini.
Il vasto poemetto fu scritto a villa Ferrigni, presso Torre del Greco nel 1836 e chiude la
raccolta dei canti; quando approda alla scrittura di questo canto, il poeta è passato
attraverso la sofferenza fisica e morale, ha vissuto l’intera sua vita ormai, ha conosciuto
l’estrema cocente delusione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti, anzi, proprio da questa
prova finale si è rafforzato, forse anche indurito, nell’animo e persino nello stile. Il
linguaggio stesso che ha sperimentato la gamma infinita dei toni della commozione,
dell’elegia d’amore, del compianto e autocompianto, della sensualità più raffinata e della
pateticità, si fa spoglio e nudo nel contesto degli ultimi canti che precedono
immediatamente La ginestra, per divenire in quest’ultimo, puro e perfetto, tanto nei
momenti della riflessione, quanto in quelli elegiaci della contemplazione.
Mediante la felice trasposizione figurale e poetica, del “formidabil monte sterminator”
Vesuvio e dell’umile ginestra, è disegnata la condizione dell’uomo, qual è veramente, nella
realtà e nella storia, di fronte alla natura, una condizione misera, “bassa e frale”,
considerando la quale l’umanità non può vantare destini immortali, né esaltarsi in sogni di
grandezza. Il rapporto ginestra - Vesuvio è dunque il rapporto uomo – natura, con la
stessa sproporzione tra la debolezza e una forza smisurata, tra la miseria e una potenza
immane e inarrestabile. Nell’analizzare tale rapporto, Leopardi lascia esplodere la
polemica già altre volte affrontata contro il secolo decimonono e tutti quegli intellettuali,
specialmente gli spiritualisti, che lo avevano accusato di essere antiprogressista, chiuso nel
suo pessimismo e incapace di guardare avanti, verso più eccelse mete. Del proprio secolo,
egli non condivideva l’esaltatività, il facile ottimismo, l’astrattezza degli ideali, che
giudica illusori e falsi, né la smania di immortalità, la cecità, infine che impediva di vedere
il meschino stato dell’uomo e spingeva d ingannare e a promettere “magnifiche sorti e
progressive”.
Nella realtà cruda e desolata della dorsale del vulcano, Leopardi vede scolpito il vero
destino dell’uomo, la sua precarietà, la fragilità di un essere che da
un momento all’altro può scomparire, schiacciato dalla natura ed
è per questo che invita “il secol superbo e sciocco” a specchiarsi
nelle pendici impetrate dalla lava, ove ben si può considerare
quanto la natura curi “l’umana prole”.
Si tratta ben più che un invettiva verso i propri detrattori, qui
siamo di fronte ad una puntuale e scrupolosa rifondazione dello
stato dell’uomo, ad una riaffermazione dell’ordo naturalis che non
include, non può includere la felicità umana, ma che comporta di
necessità l’unione tra gli uomini, la solidarietà e resistere (si badi non combattere, perché la
lotta sarebbe impari) contro la comune nemica, la natura, “madre di parto e di voler
matrigna”. Ed è qui che si esplicita il nuovo messaggio del poeta di Recanati: stimolare la
fratellanza tra gli uomini per combattere un destino comune e cercare di condurre gli altri
dalla sua parte: contro la natura.
Quindi è stolto chi continua insistere sulla grandezza dell’uomo e ad empire “le carte” di
“fetido orgoglio”; verso un tale soggetto il poeta, non sa se deve ridere o provare pietà e
,ancora, sono “superbe fole” tutte le chiacchiere circa la gloria e l’immortalità; solo quando
tornerà ad affermarsi la verità, quando gli uomini non si rifiuteranno di guardarla in viso e
un “verace saper”, cioè una vera filosofia, diffonderà tali pensieri, solo allora la società
potrà considerarsi costruita saldamente sulla roccia e non sulla sabbia. In queste verità, che
Leopardi ritrova e riprende dalle sue affermazioni giovanili e ricompone in un tessuto
unitario, quasi un nuovo vangelo laico, ma purissimo per l’alta qualità morale che lo
contraddistingue, è contenuto il messaggio de La ginestra, non nel rifiuto di un esistenza
senza significato, perché in balia della crudele natura, ma nella riappropriazione della vita,
resa valida e riempita di senso e valore, attraverso il coraggio di viverla socialmente,
onestamente e rettamente.
Testo
Metro: strofe libere di endecasillabi e settenari
Nobil natura è quella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir, né gli odii e l’ire
Fraterne, ancor più gravi
D’ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l’uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de’ mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L’umana compagnia,
Tutti fra se confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell’uom armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Cinto d’oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl’inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i prori guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell’orror che primo
Contra l’empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l’onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch’ha in error la sede. (vv.111-157)
IL SOCIALISMO UMANITARIO E UTOPICO DI PASCOLI
Dai principi letterari di Pascoli e dalle sue esperienze biografiche, affiora una concezione di
tipo socialista, di un socialismo umanitario e utopico, che aborre la lotta di classe
propugnata dalle teorie marxiste e affida alla poesia la sua missione di diffondere l’amore e
la fratellanza.
Sebbene durante gli anni universitari, il giovane poeta romagnolo avesse subito l’influenza
delle ideologie anarco – socialiste, soprattutto per il fascino esercitato da Andrea Costa, e
nonostante l’insofferenza ribelle nei confronti delle convenzioni, la protesta contro le
ingiustizie, il risentimento e la frustrazione per i processi di declassazione a cui il ceto
medio tradizionale era sottoposto dall’organizzazione moderna della produzione, Pascoli
era socialista più “di cuore che di mente”, spinto all’ideologia socialista solo da esigenze
astrattamente ideali e sentimentali.
Era inevitabile quindi che il poeta romagnolo non potesse seguire il movimento marxista in
questa sua trasformazione dall’utopia ai programmi politici concreti; non solo ma il
socialismo del filosofo tedesco si fondava essenzialmente sul concetto di “lotta di classe”,
sull’inconciliabilità di interessi fra capitale e lavoro e sullo scontro violento e rivoluzionario
che doveva opporli, sino al trionfo di una delle due forze, il proletariato, che avrebbe
cancellato l’altra e tutto il sistema economico e sociale che su di essa si reggeva.
Era questo un principio che ripugnava alle tendenze più profonde dell’animo di Pascoli, il