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Introduzione……………………………………………………………………………………
……pag. 3
Italiano……………………………………………………………………………………………
……pag. 4
Inglese.....................................................................................................pag. 7
Storia
dell’Arte………………………………………………………………………………………pag.
8
Fisica e
Chimica…………………………………………………………………………………….pag.
11
Conclusione………………………………………………………………………………………
…..pag. 14
Mappa
concettuale……………………………………………………………………………….pag.
15
Bibliografia e
sitografia………………………………………………………………………..pag. 16 2
INTRODUZIONE
“Più grande di tutte le piramidi, dell’Himalaia, di
tutte le foreste e i mari è il cuore umano – è più
bello del sole e della luna e di tutte le stelle, più
radioso e fiorente – infinito nel suo amore, infinito
come la divinità, è la stessa divinità.”
(Heinrich Heine, 1853) “Le coeur a la forme d’une urne.
C’est un vase sacré tout rempli de secrets”.
“Il cuore ha la forma di un’urna.
C’è un vaso sacro tutto riempito di segreti.”
(A. De Vigny)
Il cuore è stato forse, tra gli organi interni, il primo a rivelarsi all’attenzione dei popoli
primitivi. La palpitazione percepita col palmo della mano sulla parete toracica, la
sensazione chiara e talvolta angosciosa della concitazione cardiaca durante gli sforzi
fisici o i gravi tumulti emozionali, lo spegnersi improvviso della vita quando il sangue
esce a fiotti dal cuore ferito, crearono nell’accesa fantasia dell’uomo preistorico il
concetto che al cuore siano legate l’essenza della vita e la felicità degli esseri umani
Nel corso dei secoli, quindi, dagli Egizi ai Romani, dagli Arabi ai Cinesi, è stato definito
come la sede dell’anima, dello spirito vitale, dell’intelletto, delle passioni e
dell’emotività.
Alle porte evolutive del 1600, però, si stava affacciando William Harvey (1578-1657).
Con assoluta chiarezza e precisione stabiliva quella realtà della circolazione: l’anima
non poteva ormai più risiedere nel cuore, al quale però rimanevano le miracolose
risposte agli stimoli emotivi.
Negli ultimi secoli nacque dunque una sorta di ambivalenza del concetto di cuore:
quello prettamente medico-scientifico che lo assoggettava progressivamente al ruolo
di semplice organo (al pari di cervello, polmoni, fegato, …), soggetto a regole e
comportamenti fisiologici ben precisi; e quello più propriamente sentimentale,
irrazionale, che deriva dalle concezioni tradizionali ma che è resistito intatto fino ai
nostri giorni.
Dal mio punto di vista, quindi, ho ritenuto interessante indagare su questo dualismo:
nell’immaginario collettivo, infatti, il cuore rimane un entità misteriosa, sebbene
fisiologicamente conosciuta. 3
?
LETTERATURA ITALIANA
Edmondo de Amicis, “Cuore”
Il libro “Cuore” di Edmondo de Amicis fu pubblicato nel 1886, e nacque come risposta
alle esigenze ideologiche dei ceti dirigenti negli anni difficili successivi all’Unità.
L’intento pedagogico è evidente: prese vita in un clima in cui non solo era fortemente
diffusa l’esigenza di un’educazione nazionale che formasse gli italiani, ma la scuola e il
sistema scolastico nel suo complesso erano fra le maggiori preoccupazioni della classe
dirigente. Edmondo de Amicis (1846-1908) fu un progressista aperto
alle nuove idee del socialismo. Fu un intellettuale
moderno, capace di capire la politica editoriale
spregiudicata di Treves e di adattarvisi, avendone in
cambio un enorme successo di pubblico.
Compose bozzetti sulla vita dei soldati e opere di vena più
ironica e maliziosa, ma il libro più importante resta
“Cuore”, racconto-diario di un bambino della buona
borghesia torinese che frequenta la terza elementare. Per
l’ideologia di cui era espressione e per il tipo di ricezione
che ebbe, Cuore fu un vero e proprio “codice della morale
laica e progressista” della borghesia umbertina.
Cuore è anzitutto il diario su cui Enrico Bottini registra la propria vita scolastica e
familiare. I compagni di scuola rappresentano uno spaccato della nuova Italia nelle sue
classi sociali, da quelle più umili (rappresentate da Precossi, Garrone, Betti, Coretti, il
“muratorino”) a quelle più elevate (rappresentate da Carlo Nobis), dai torinesi ai
meridionali, dai fanciulli studiosi (come Derossi, il primo della classe) ai delinquenti
(come Franti, che ride dei valori più nobili insegnati dal maestro). Non a caso il luogo
dove questi mondi devono incontrarsi ed unificarsi è la scuola, centro di ogni iniziativa
educativa dell’Italia postunitaria.
Alle pagine di Enrico si alternano poi i racconti edificanti che ogni mese il maestro
propone agli alunni e i messaggi educativi che i genitori e la sorella lasciano sul suo
diario.
Perché il titolo “Cuore”?
Il titolo è una precisa chiave di lettura e un chiaro referente della pedagogia morale e
sociale dell’autore. Il libro si intitola così proprio per le connotazioni, i significati
secondari del termine “cuore” che (meno banalmente di quanto non suoni oggi)
implica amore, amicizia, emozione passione. Il cuore allora diventa sinonimo di quei
valori di fondo della nuova Italia: l’esercito, la famiglia, lo Stato, la solidarietà fra le
classi sociali e fra Nord e Sud, la laboriosità, l’obbedienza, e la critica impietosa verso
qualsiasi forma di devianza. 4
Ecco allora un esempio per ciascuno di questi valori che il termine ‘‘cuore’’
rappresenta:
L’esercito, lo Stato, in una parola la fedeltà e l’ammirazione verso la Patria:
“
Nel 1859, durante la guerra per la liberazione della Lombardia, pochi giorni dopo la battaglia
di Solferino e San Martino, vinta dai Francesi e dagli Italiani contro gli Austriaci, in una bella
mattinata del mese di giugno, un piccolo drappello di cavalleggeri di Saluzzo andava di lento
passo, per un sentiero solitario, verso il nemico, esplorando attentamente la campagna. (…)
Arrivarono così a una casetta rustica, circondata di frassini, davanti alla quale se ne stava tutto
solo un ragazzo d'una dozzina d'anni (…).Appena visti i cavalleggeri, il ragazzo buttò via il
bastone e si levò il berretto. (…)La casa era bassa; dal tetto non si vedeva che un piccolo tratto
di campagna. - Bisogna salir sugli alberi, - disse l'ufficiale, e discese. (…)poi tutt'a un tratto
domandò al ragazzo (…)In pochi momenti il ragazzo fu sulla cima dell'albero (…)Il ragazzo
chinò il viso verso di lui, e facendosi portavoce della mano, rispose: - Due uomini a cavallo,
sulla strada bianca. (…)Poi disse: - Vicino al cimitero, tra gli alberi, c'è qualche cosa che luccica.
Paiono baionette. (…)Un terzo fischio rabbioso passò in alto, e quasi ad un punto si vide il
ragazzo venir giù, trattenendosi per un tratto al fusto ed ai rami, e poi precipitando a capo fitto
colle braccia aperte. (…)Lo manderemo a pigliare dall'ambulanza; è morto da soldato: lo
seppelliranno i soldati. (…)E poche ore dopo il piccolo morto ebbe i suoi onori di guerra. (…)Ed
egli se ne dormiva là nell'erba, ravvolto nella sua bandiera, col viso bianco e quasi sorridente,
povero ragazzo, come se sentisse quei saluti, e fosse contento d'aver dato la vita per la sua
Lombardia. “
Da “la piccola vedetta lombarda”, racconto di novembre (pag. 56)
La famiglia, unita da legami molto forti di rispetto, riconoscenza ed onestà:
“O Enrico, tu troverai sempre tua sorella con le braccia aperte. Sì, caro Enrico, e perdonami
anche il rimprovero che ti faccio ora. Io non mi ricorderò di alcun torto tuo, e se anche tu mi
dessi altri dispiaceri, che m'importa? Tu sarai sempre mio fratello lo stesso, io non mi ricorderò
mai d'altro che d'averti tenuto in braccio bambino, d'aver amato padre e madre con te, d'averti
visto crescere, d'essere stata per tanti anni la tua più fida compagna. Ma tu scrivimi una buona
parola sopra questo stesso quaderno e io ripasserò a leggerla prima di sera (…). TUA SORELLA
SILVIA
Non sono degno di baciarti le mani. ENRICO“
Da “Mia sorella”, mese di marzo (pag. 145)
La solidarietà fra classi sociali, la carità e la generosità verso il più povero, il più
debole:
“Questa mattina, camminando davanti a me quando tornavamo dalla scuola, passasti accanto
a una povera, che teneva fra le ginocchia un bambino stentito e smorto, e che ti domandò
l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, e pure ci avevi dei soldi in tasca. Senti,
figliuolo. Non abituarti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano, e tanto
meno davanti a una madre che chiede un soldo per il suo bambino. Pensa che forse quel
bambino aveva fame! pensa allo strazio di quella povera donna.(…) L'elemosina d'un uomo è
un atto di carità, ma quella d'un fanciullo è insieme un atto di carità e una carezza, capisci?
(…)Pensa che a te non manca nulla, ma che a loro manca tutto; che mentre tu vuoi esser felice,
a loro basta di non morire. Pensa che dei ragazzi come te, buoni come te, intelligenti come te,
che in mezzo a una grande città non han da mangiare, come belve perdute in un deserto! Oh
mai più, Enrico, non passare mai più davanti a una madre che méndica senza metterle un soldo
nella mano! TUO PADRE”
Da “I poveri”, mese di novembre (pag. 60)
5
La solidarietà fra Nord e Sud, la ricerca della completa integrazione degli
emigrati meridionali nella Torino industriale:
“Allora il maestro gli prese una mano, e disse alla classe: - Voi dovete essere contenti. Oggi
entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di
qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che
diede all'Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; (…)Vogliategli
bene, in maniera che non s'accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che
un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. (…) Poi
disse ancora: - Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere,
che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse
come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant'anni e trentamila
italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo
compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli
occhi da terra quando passa una bandiera tricolore.”
Da “Il ragazzo calabrese”, mese di ottobre (pag. 30)
La laboriosità, il desiderio di imparare, di lavorare:
Io da un po' di tempo non studio, e sono scontento di me, e il maestro, mio padre e mia madre
sono scontenti. Non provo più neppure il piacere di prima a divertirmi, quando lavoravo di
voglia, e poi saltavo su dal tavolino e correvo ai miei giochi pieno d'allegrezza, come se non
avessi più giocato da un mese. Neanche a tavola coi miei non mi siedo più con la contentezza
d'una volta. Sempre ho come un'ombra nell'animo, una voce dentro che mi dice
continuamente: - non va, non va. (…)Io voglio cominciare da oggi, voglio mettermi a studiare,
come Stardi, coi pugni serrati e coi denti stretti, mettermici con tutte le forze della mia volontà
e del mio cuore; (…)Animo, al lavoro! Al lavoro con tutta l'anima e con tutti i nervi! Al lavoro
che mi renderà il riposo dolce, i giochi piacevoli, il desinare allegro; al lavoro che mi ridarà il
buon sorriso del mio maestro e il bacio benedetto di mio padre.”
Da “Buoni propositi”, mese di febbraio (pag. 102)
La critica verso ogni forma di devianza, l’esclusione dei “cattivi” dalla società: