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di Samantha Venturini Aggressività fa rima con
fragilità.
Sono passati milioni di anni da quando
l’uomo brandiva la clava per
difendersi dagli animali feroci e dai
suoi simili. Un arco temporale che si fa
fatica a comprendere e a datare ma è
quello che ci ha portato ad essere i
cosiddetti “animali culturali” per
eccellenza. I fatti di cronaca, sempre
più frequenti, portano a fare qualche
considerazione sull’aggressività che
l’uomo moderno riversa contro i propri
simili e contro se stesso. C’è
sicuramente un malessere sociale che
sembra legato alla sopravvivenza. Ora
che le necessità primarie sono generalmente soddisfatte l’uomo soffre di forti
condizionamenti sociali che lo vedono spesso protagonista e vittima di una vita forse
troppo carica di aspettative e di obiettivi difficili da raggiungere. L’aggressività
riemerge spesso in manifestazioni estreme. Un’aggressività razionalmente
inspiegabile. In una società in cui il benessere materiale è stato raggiunto con
l’etichetta dell’uso e consumo l’uomo è troppo solo in mezzo alla gente e fatica a
sostenere la sua immagine sociale che spesso non gli appartiene. Un disagio
psicologico che lo rende spesso avulso da condizioni e regole di convivenza sociale.
Filosofia
La psicoanalisi, disciplina introdotta e così chiamata da Sigmund Freud, rappresenta al
tempo stesso un metodo di indagine dei fenomeni mentali e un metodo terapeutico. Il
principio fondamentale su cui essa si basa è quello per cui l’Io, come lo conosciamo
attraverso la nostra esperienza consapevole, non rappresenta che una porzione della
psiche umana. La dimensione dell’inconscio viene concepita da Freud secondo un
modello in primo luogo neurofisiologico: si tratta di un sistema attraversato
dall’energia con cui l’individuo reagisce agli stimoli esterni. Rimangono, invece,
sepolte nell’inconscio quelle esperienze o “rappresentazioni” che l’io non è in grado di
dominare, e che manifestano in varie forme la loro presenza.
Il termine aggressività può alludere allo stesso tempo al correlato comportamentale di
una emozione e a uno stato psicologico. Freud ha elaborato una complessa teoria
dell’aggressività, per molti aspetti innovativa, anche se è stata sviluppata in più di
trenta anni e quindi ha seguito un’impostazione tutt’altro che lineare e organica. Per
capire l’origine dell’aggressività secondo lo psicanalista, è imprescindibile partire dalla
nozione di pulsione. Il concetto di pulsione è infatti uno degli aspetti fondamentali
della sua teoria. Per pulsione, quindi, si intende nient’altro che la rappresentanza
psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica, differenza dello
stimolo, il quale è prodotto da eccitamenti isolati e provenienti dall’esterno.
In prima ottica, Freud vede la possibile origine dell’aggressività come conseguenza del
non soddisfacimento di una domanda pulsionale, l’aggressione si configura come
risposta primordiale che si associa all’impedimento di un comportamento orientato
alla ricerca del piacere e all’evitamento del dispiacere. L’aggressività si manifesta
molto presto nel bambino, soprattutto nella forma detta positiva del complesso di
Edipo, in cui appare chiaro il desiderio di uccidere il padre, il quale viene visto dal
bambino come un rivale che gli impedisce di raggiungere il soddisfacimento sessuale
con la mente. Ciò evidenzia il fatto che l’aggressività sia una componente costante
nello sviluppo di ogni bambino. L’aggressività, in alcune circostante, è vista da Freud
come inizialmente posta al servizio della libido, ma a poco a poco essa si libera da
questo assoggettamento, per essere posta in relazione con le pulsioni di
autoconservazione. Solo successivamente Freud accetterà di elaborare una teoria
delle pulsioni che preveda l’introduzione di una pulsione di morte, una permanente
tendenza aggressiva, che fa riprendere l’hobbesiana affermazione dell’ “homo homini
lupus”: sarà infatti Thanatos ad essere vista come origine dell’aggressività.
La pulsione di morte è presente in ogni uomo e costituisce la spinta alla riduzione
completa delle tensioni. Mentre l’istinto sessuale ha per scopo la conservazione della
vita e mira solo alla eliminazione delle tensioni sessuali, l’impulso di morte cerca di
eliminare tutte le tensioni, e quindi anche quelle della vita stessa. Tale spinta
rappresenta la tendenza insita in ogni uomo a riportare l’organismo allo stato
inorganico; in questa prospettiva Freud pone l’attenzione inizialmente non tanto
sull’aggressività rivota da un soggetto su un oggetto, bensì sul soggetto.
L’aggressività, secondo questa nuova impostazione, è rivolta dapprima verso
l’individuo stesso, e poi, solo successivamente, indirizzata verso l’esterno.
Freud ha cercato di capire l’origine dell’aggressività umana ricercandola nelle
dinamiche inconsce del singolo individuo, condannando l’uomo ad una aggressività
naturale e inestirpabile. Per vivere in comunità e godere dei vantaggi del proprio stile
di vita, occorre infatti rinunciare alle pulsioni aggressive che agitano l’animo umano.
Letteratura
I Futuristi
Il futurismo italiano è un movimento letterario, artistico, di azione pubblicitaria e di
costume, attivo a partire dal 1909 fino alla morte del suo fondatore, Filippo Tommaso
Marinetti, nel 1944. Si organizza intorno a vari manifesti teoretici che ne definiscono le
caratteristiche in ogni campo. Le principali avanguardie letterarie, teatrali e artistiche
ricevo impulso dal Futurismo Italiano e non possono che confrontarsi con la sua
presenza. I caratteri fondamentali di un movimento d’avanguardia sono la volontà di
dissacrare le istituzioni dell’arte e di ribellarsi al loro potere, la provocazione continua
nei confronti del pubblico e la ricerca di una totale compenetrazione tra esperienza
artistica e la vita vissuta, il rifiuto del presente e della società borghese, mentre si
esalta la macchina, la tecnica, la grande industria, la velocità e l’aggressività. Si può
affermare che il futurismo, almeno nella sua fase iniziale, quella più ricca di
entusiasmo, di agonismo, di amore per la rivolta, ha costituito per le formazioni
d’avanguardia del primo Novecento un grande modello anticipatore.
Marinetti, già scrittore apprezzato in Francia e Italia, coltiva con successo la propria
vocazione di editore e di organizzatore culturale. E’ un’intellettuale cosmopolita, ma
non diventa mai un “senza-patria”, un esiliato, nonostante l’irruenza dei suoi
atteggiamenti pubblici e l’esercizio continuo della provocazione e della beffa contro la
società letteraria del tempo. Saranno gli undici punti fondamentali del suo nuovo
movimento che provocheranno il più totale sconquasso e sconcerto tra gli intellettuali
Manifesto del Futurismo.
europei. Nel 1909 esce un volantino di due pagine intitolato
Copia del volantino viene inviata a numerosi intellettuali italiani, ai quotidiani e ai
periodici in Italia e all’estero.
Marinetti dichiara di perseguire << la bellezza della velocità>>, trasforma la poesia in
<<un violento assalto contro le forze ignote>>, definisce la guerra << sola igiene del
mondo>>, mostra di disprezzare il moralismo e il femminismo, proclama di voler
distruggere biblioteche e musei. Celebra quindi il movimento, l’azione, il gesto
violento, la guerra e la virilità. Il futurismo diviene sempre più un fenomeno pubblico.
Connessa con l’accettazione della società moderna è una nuova etica basata appunto
sull’aggressività e sulla competitività. Inoltre i futuristi avranno un ruolo di primo piano
tra gli interventisti prima e tra i fascisti poi: l’atteggiamento aggressivo non sarà più
riferito solamente alla loro produzione letteraria ma anche alle loro posizioni politiche
e ai loro comportamenti.
il Manifesto tecnico della pittura futurista.
L’11 aprile 1910 esce La parola d’ordine di
questo manifesto pittorico è il grido di ribellione che esprime il violento desiderio che
ribolle nelle vene di ogni artista. I pittori si dichiarano sensibili alla frenetica attività
delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo
1912 secondo manifesto porta l’impronta di Boccioni quando Marinetti scriverà il
Manifesto tecnico della letteratura futurista in cui abolirà la sintassi e la punteggiatura
e lancerà le <<parole in libertà>> con verbi all’infinito, avverbi, sintassi e
punteggiatura abolite, resa letteraria del peso, del rumore e dell’odore degli oggetti
attraverso onomatopee e bizzarri espedienti grafici, disposizione libera delle parole.
Il fascino che la guerra suscitava negli intellettuali dell’epoca è vista sotto il lato
liberatorio. Il mito alla violenza non ha influenzato solo la destra conservatrice e
reazionaria del periodo ma anche l’opposizione della sinistra socialista.
Storia
Si può notare che il primo conflitto mondiale sia in realtà il momento culminante di
processi storici, politici e filosofici che affondano le loro radici nell’Ottocento. Sarebbe
del resto riduttivo identificare la causa del primo conflitto esclusivamente
nell’attentato attuato a Sarajevo il 28 giugno 1914 ai danni dell’arciduca asburgico
Francesco Ferdinando: esso fu solo la causa scatenante che fece esplodere in tutta la
loro tragicità quelle trasformazioni ideologiche e culturali maturate sotto la “scorza”
della pacata e tranquilla “bella époque”.
Indubbiamente, uno dei principali fattori storici ed ideologici che causarono lo scoppio
del conflitto fu il radicale mutamento di significato cui fu soggetto il concetto di
nazione. La nazione divenne allora lo strumento di dominio dei popoli sugli altri popoli
e perse il significato culturale rivestito in precedenza. E' poi opportuno annoverare tra
le cause che portarono allo scoppio della prima guerra mondiale anche quello che è
passato alla storia col nome di "revanscismo" francese: a desiderare ardentemente la
guerra come strumento di dominio non furono soltanto i tedeschi, ma anche i Francesi.
Infatti, se i Tedeschi vollero a tutti i costi la guerra poiché si sentivano "ingabbiati" in
un territorio che, per la sua scarsa estensione, non corrispondeva al primato
economico della Germania, i francesi, dal canto loro, erano assetati di vendetta e
aspiravano fortemente ad una rivalsa sulla Prussia e, più in generale, sulla Germania
che, guidata da Bismarck, aveva inflitto loro una pesante sconfitta con la guerra
franco-prussiana (19 luglio 1870 - 10 maggio 1871). E' opportuno ricordare che la
guerra venne anche intesa come strumento per scaricare all'esterno le tensioni sociali.
La stessa concezione di nazione in termini aggressivi e militaristi trova il suo riscontro
sul versante culturale: se per Fichte la nazione era un'entità meramente culturale,
sganciata da ogni imperialismo di sorta e anzi avversa ad esso, inteso come minaccia
della purezza culturale del popolo, con Hegel, invece, si afferma sempre più la
convinzione che un popolo, per essere davvero tale, debba essere dotato di un forte
esercito che non si limiti a difendere i confini nazionali, ma che si spinga anche al di là
di essi per schiacciare e sottomettere gli altri popoli.
Il nazionalismo insegna che la nazione è il simbolo del popolo, allora perde ogni
significato lo spingersi oltre i confini nazionali per acquisire nuovi territori in nome
della nazione; ed è molto discutibile anche la giustificazione addotta per legittimare
questo atteggiamento, ovvero la pretestuosa convinzione che, al di là delle singole
nazioni, esistano un'unica nazione slava o un'unica nazione germanica. Anche questo
atteggiamento, se letto in trasparenza, affonda le sue radici nell'irrazionalità
imperante in quegli anni, la quale si estrinseca anche nelle avanguardie artistiche: tra
esse spicca il futurismo italiano. E' poi bene ricordare che nella seconda metà
dell’Ottocento fiorì la filosofia di Nietzsche, folgorante profeta del superuomo, il quale
predicò la disuguaglianza tra gli uomini, riprendendo anche elementi del darwinismo, e