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Tesina - Premio maturità 2008
Titolo: Stupore, meraviglia, conoscenza
Autore: Damiano Guidi
Descrizione: la tesina parte da una mia esperienza personale, e cioè dallo stupore che ho provato davanti alle immagini del cielo stellato. questo stupore ha generato in me una domanda di conoscenza che mi ha portato ad approfondire l'argomento trattato e studiato
Materie trattate: latino,greco,italiano,filosofia,scienze
Area: scientifica
Sommario: Introduzione Perché? E' questa la domanda che ci facciamo quando ci colpisce qualcosa, quando osserviamo un fenomeno naturale, o quando veniamo a conoscenza di una cosa sconvolgente. Prendendo in considerazione un fenomeno naturale come le stelle, l'universo e tutto ciò che lo riguarda, la prima azione che facciamo è osservare il cielo, vedere le stelle e riconoscere delle determinate costellazioni sulla sfera celeste, e la reazione che ne seguirà sarà stupore per il grandissimo numero di astri, per la bellezza delle figure che formano se viste in un insieme. Lo stupore è dunque il sentimento che provoca la domanda, la sensazione che muove in noi un desiderio di conoscenza ulteriore, di andare a scoprire com'è fatto l'universo, come sono le stelle, perché accadono dei determinati fenomeni, la voglia di scoprire le cause di essi e di soddisfare la curiosità insita nell'uomo. Il percorso che mi accingo ad esporre vuole mettere in evidenza, nelle varie epoche della Storia, le reazioni che l'uomo ha avuto davanti alla contemplazione del cielo stellato e le varie forme di risposta che ha cercato di dare ad un fenomeno naturale così travolgente.
Capitolo 1
Il mondo classico
"Nessuno è così tardo ed ottuso e chino verso terra a tal punto da
non raddrizzarsi e innalzarsi con tutto il suo spirito verso le cose
divine, soprattutto quando dal cielo ha brillato qualche nuovo
fenomeno meraviglioso." (Seneca, Naturales Quaestiones VII, 1.1)
Nel mondo classico non vi era la tensione a cercare delle
risposte che appagassero il desiderio di conoscenza, ma piuttosto
emergeva la voglia di spiegare determinati fenomeni attraverso
l'eziologia, che era la ricerca delle cause delle cose e l'esposizione
di esse mediante dei miti che riguardavano gli dei . Dal punto di
vista dell'astronomia i greci, aiutati anche dagli arabi, hanno
raggruppato le stelle in costellazioni e ad ognuna di esse
corrisponde un mito. Nel corso del tempo hanno poi realizzato
modelli teorici sull'universo, che avevano come base
fondamentale la geocentricità. Callimaco, poeta di età ellenistica,
aveva scritto negli "Aitia", raccolta di poemi che in greco significa
"Cause", un'elegia che raccontava il mito della "chioma di
Berenice". Berenice, una principessa concittadina di Callimaco, 4
pregò gli dei affinché facessero tornare a casa suo marito, che era
lontano, in guerra, e lasciò sull'altare del tempio una ciocca dei suoi
capelli, che però non venne ritrovata in terra, ma fu possibile
osservarla nel cielo: così nacque la costellazione della "Chioma di
Berenice", osservabile sulla sfera celeste. La sua opera è quindi
atta a soddisfare il suo desiderio di risposte davanti a determinati
fenomeni, non solo celesti. Nel mondo classico
non vi era la distinzione delle varie professioni, come oggi, quindi
troveremo in quest'epoca molti filosofi e poeti che tratteranno di
questo tema, dando ai fenomeni celesti tantissime spiegazioni
diverse. Ad esempio, a Roma, Seneca, filosofo di impostazione
stoica , con il trattato “Naturales Quaestiones” , si impegna ad
analizzare fenomeni naturali come le comete, ad evidenziare i vari
punti di vista degli scienziati del tempo, e a dare la sua opinione su
di essi. Egli scrive in un passo della sua opera:” Ma, per Ercole, non
si può ricercare niente di più magnifico o imparare niente di più
utile di ciò che riguarda la natura delle stelle e degli astri: se essi
siano fiamma concentrata, come affermano sia la nostra vista sia la
luce che essi emanano e il calore che ci inviano, oppure non siano
globi di fuoco, ma una sorta di corpi solidi e terrosi che, passando 5
attraverso le regioni del fuoco, traggano da lì la loro luminosità ed il
loro calore e splendano di luce non propria.”
La posizione, dunque, di Seneca è quella di un sentimento di
stupore, che genera poi il desiderio di conoscere il perché del
fenomeno delle comete e il tentativo di darne una spiegazione
razionale. Siamo sicuramente lontani dalla giusta spiegazione del
fenomeno delle comete, tuttavia il ragionamento e la logica cercano
di dare una spiegazione plausibile sin dall’antichità, poiché
l’osservazione e lo stupore promuovono la ricerca dell’ordine, della
razionalità, in cui i classici sono maestri.
Il metodo di Seneca è profondamente scientifico, poiché il suo
ragionamento inizia con delle ipotesi, che poi vengono scartate alla
luce anche delle ipotesi degli altri autori da cui lui trae informazioni.
Plinio il Vecchio, funzionario imperiale vissuto nello stesso periodo
di Seneca, è un altro autore di un trattato scientifico che spende la
sua vita per l’osservazione dei fenomeni naturali che tanto lo
incuriosivano. La sua opera prende il nome di “Naturalis Historia”, e
raccoglie in sé la spiegazione di tantissimi aspetti della natura, tra
cui anche il cosmo. 6
1.2
Dati scientifici raccolti al tempo e modelli teorici
Al tempo si conoscevano cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte,
Giove e Saturno), le loro orbite e inoltre le stelle erano già state
raggruppate in costellazioni.
Come detto prima i modelli teorici fatti nell’età classica erano
perlopiù di impostazione geocentrica, e soprattutto si basavano su
osservazioni piuttosto approssimative, anche a causa degli
strumenti e della tecnologia. Intorno al V secolo a.C. sono state
fatte varie ipotesi sul perché ci fossero le stelle e come fosse fatto
l’Universo, ed una di queste è quella di Filolao, che ipotizzò che al
centro del cosmo ci fosse un fuoco, sede della divinità, che dava
luce al sole, il quale quindi non brillava di luce propria. Questo
sistema comprendeva, oltre alla terra, i cinque pianeti noti e una
“anti-terra”, che si trovava tra il fuoco e la terra, e non era visibile.
Tutt’intorno vi erano le stelle fisse. E’ da notare che, secondo le
osservazioni del tempo, queste affermazioni, che a noi possono
sembrare ridicole, erano assolutamente plausibili, e che molti
personaggi di quest’età si sono spesi per dare anche evidenze di
tipo fisico. Filosofo Greco che si è preoccupato dell’evidenza fisica 7
del suo modello fu Aristotele; il suo modello è organizzato in
maniera molto complessa, con circa cinquanta sfere cristalline, in
cui erano situati pianeti e stelle, e con al centro di tutto la Terra.
Questo sistema influenzerà tutti gli altri e sarà ritenuto il più
veritiero fino alla “rivoluzione copernicana” e all’avvento di Galileo
Galilei.
Particolarmente interessante è il modello teorico di Aristarco di
Samo, il quale pone immobile al centro dell’Universo il Sole, attorno
al quale gira la Terra insieme alla Luna. Svolgendo calcoli
matematici si era reso conto che il Sole era un corpo di gigantesche
dimensioni, e che la Terra, molto più piccola, non poteva trovarsi al
centro dell’Universo. 8
Capitolo 2
Medioevo
“A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’ igualmente è mossa,
l’ amor che move il sole e l’altre stelle.”
(Dante Alighieri, Paradiso XXXIII , vv. 142-145)
Non vi è dubbio sul fatto che l’uomo medievale abbia trovato nel
cosmo la bellezza e l’ordine di cui era capace solo Dio. Il cosmo è
simbolo di Dio; è, per usare il gergo dantesco, allegoria di Dio.
Dante è, a mio parere, il migliore esempio che possa aiutarmi a
sostenere la mia tesi. Il suo universo è profondamente razionale,
infatti lui riprende le teorie del suo tempo come quella tolemaica,
ma le riadatta e le rilegge in funzione di Dio. Il modello
dell’universo di Tolomeo si basa su un sistema di sfere concentriche
al cui centro vi è quella della Terra . Il sistema dantesco è
organizzato nelle stesse sfere, però dietro a quella delle stelle fisse
non vi è il nulla, ma Dio. Dante nel cielo stellato aveva trovato un
ordine preciso, magnifico, stupefacente e per questo riconducibile
solo a Dio, all’Altro ordine che lui aveva incontrato. Un docente di 9
Fisica, di nome Enrico Gamba, in occasione di una lezione fatta
nella nostra scuola sulla cosmologia dantesca, disse:” Il cosmo
dantesco è pensato così proprio per l’esperienza che Dante ha fatto
Non c’è niente che Dante non dia per
e secondo la sua ragione.”
scientificamente certo nel suo modello, come il fatto che la terra sia
immobile, cosa che con gli strumenti di allora non era
assolutamente pensabile, o il fatto che i pianeti si muovessero. E’
un modello evidente il suo, cioè raccoglie le evidenze del tempo,
per quanto fossero, come sappiamo ora, sbagliate; gli uomini di
quel tempo, come noi d’altronde, non facevano esperienza del
movimento della terra, perciò non era pensabile nemmeno
ipotizzare una cosa del genere. Ebbene, anche Dante può essere
definito scienziato, perché ha raccolto dati e informazioni riguardo
al sistema celeste, ma ha fatto il lavoro ulteriore di rielaborarli
secondo quello che era ciò che amava, ciò che lo stupiva di più, e
cioè l’ordine e la bellezza di Dio, e questo lo rende artista. 10
2.2
Astronomia del medioevo
Essendo la cultura medievale figlia di quella classica, essa ha
ereditato anche le interpretazioni del sistema cosmico, ed infatti il
modello aristotelico rimane il più considerato, anche in virtù
dell’ “ipse dixit”, secondo cui ciò che aveva detto Aristotele doveva
essere considerato come verità. Il sistema Tolemaico, diffuso nel
Medioevo, riprendeva quello Aristotelico aggiungendo deferenti ed
epicicli per indicare i moti dei pianeti e la centralità della Terra
nell’Universo.
Questo sistema, introdotto da Tolomeo intorno al 150 d.C.,
condensava secoli di osservazioni in una struttura molto
complessa, frutto di una lunga evoluzione. La Terra cominciava
però a perdere il proprio ruolo centrale nell'Universo, poichè
il centro del deferente non coincideva con il nostro pianeta; inoltre
il moto del centro dell'epiciclo lungo il deferente era uniforme se
considerato da un punto (equante) simmetrico della Terra rispetto
al centro del deferente stesso.
Da considerare è il fatto che durante il medioevo
l’astronomia era una delle arti del quadrivio, e che l’uomo 11
medievale aveva un profondo interesse per il cielo e per i fenomeni
legati ad esso, in cui riconosceva, come detto prima, lo splendore
divino.
Mentre l'Universo greco, romano era un'entità eterna, destinata a
esistere per sempre, secondo una visione ciclica del tempo,
l'Universo cristiano non coincide con Dio, ma ha iniziato ad esistere
nel tempo, un tempo lineare, ed è regolato da leggi fisiche poste in
essere da un Creatore, un "divino Artefice", come scriveranno
Copernico e Keplero.
Non a caso nel Medioevo nascono una serie di riflessioni
cosmogoniche straordinarie.
Tra queste si segnala senza dubbio quella di Roberto Grossatesta,
un vescovo legato alla scuola francescana di Oxford, che in Italia è
purtroppo pressoché sconosciuto. Eppure Grossatesta non fu
solamente un grande studioso di lenti, di specchi, e dei fenomeni
della luce in genere, tanto da essere considerato uno degli inventori
degli occhiali, ma è anche colui che ha proposto, forse per primo,
una straordinaria ipotesi: che il mondo sia nato da una sorta di
puntino piccolissimo di luce-energia, posto in essere dal Creatore,
ed espansosi sino a formare l'universo intero. Grossatesta parte dal
12
«Fiat lux» del Genesi, e dalle sue osservazione di ottica, per
affermare che la luce, prima creatura, «è capace per natura di
moltiplicare se stessa in ogni direzione. Naturalmente infatti la luce
generando si moltiplica in ogni direzione, e, insieme con l'esistere,
genera. Per questo riempie immediatamente ogni luogo
circostante». Proseguendo spiega che la creazione della luce è
anche l'origine di moto, tempo e spazio: il moto della luce crea lo
spazio, e il rapporto tra moto e spazio dà vita al tempo. Moto,
tempo e spazio, non sono quindi degli assoluti, ma dei relativi, che
hanno iniziato ad esistere, in un istante di tempo che «dà inizio al
tempo», non «continuazione del passato verso il futuro, ma solo
inizio del futuro». Nelle sue riflessioni a metà tra lo scientifico e il
filosofico, Grossatesta arriva quindi a negare l'esistenza di una
materia eterna, teorizzata ad esempio nel Timeo platonico, e a
sostenere che il moto degli astri non solo non abbisogna di anime
astrali, ma neppure di intelligenze motrici, essendo il mondo
materiale non un "grande organismo" vivente, ma una "mundi
machina", una macchina del modo, regolata, come ogni
meccanismo, da precise leggi intrinseche. Diversi studiosi inglesi
della scuola di Oxford, tra cui il Crombie, hanno parlato di
Grossatesta come di un precursore della scienza moderna e 13
soprattutto dell'odierna teoria del Big Bang. Una teoria che fu
ripresa da Galileo Galilei in una lettera del 1615 a monsignor Pietro
Dini, in cui partendo dal fiat lux del Genesi, ipotizzava appunto
l'origine dell'universo da un punto di luce energia. 14
Capitolo 3
La “rivoluzione”
“Abbiamo dunque un valido ed eccellente
argomento per togliere ogni dubbio a coloro che, accettando
tranquillamente nel sistema di
Copernico la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, sono tanto turbati dal
moto della sola
Luna intorno alla Terra, mentre entrambi compiono ogni anno la loro
rivoluzione attorno al
Sole, da ritenere si debba rigettare come impossibile questa struttura