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Sintesi
Tesina di maturità sulla storia della follia. Argomenti trattati:
- Che cos’è la follia?
- La follia in età classica - Divina mania: Seneca
- Dal Rinascimento all'età moderna: Segregazione della malattia mentale
- Legge Giolitti n.36 del 1904: Istituzione del manicomio
- Legge Basaglia n.180 del 1978: Chiusura del manicomio
- Età contemporanea: Nascita della psicanalisi
Estratto del documento

Storia della Follia

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DAL RINASCIMENTO ALL’ETA’ MODERNA

Segregazione della malattia mentale

Per conoscere la concezione di follia che avevano in quel periodo, ho preso in considerazione il

filosofo Michel Foucault e la sua opera “Storia della follia nell’eta’ classica”.

La parte che tratto di quest’opera e’ dove lui inizia ad introdurre per la prima volta la parola

“Manicomio”. Il Manicomio sorge in Europa tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800.

La fondazione di un’istituzione quale il manicomio si presenta come uno degli snodi fondamentali di

quel processo che identifica come il processo di medicalizzazione della follia, che consiste nella

nascita di uno specifico progetto terapeutico per questa particolare classe di soggetti e che segna il

passaggio da una concezione della follia come malattia.

Questa evoluzione implica, da una parte, la formalizzazione dello statuto del malato che non e’ piu’,

come nella societa’ di Ancien Régime, genericamente un povero bisognoso cui e’ riservato una sorta

di internamento promiscuo in cui la follia si confonde con altre forme di poverta’, e dall’altra, la

formazione di un gruppo di professionisti che si esplicano all’interno di uno spazio istituzionale quale

appunto il manicomio. Il punto di partenza di questo progetto e’ l’assunzione della curabilita’ della

follia, considerata come uno stato di alterazione dell’equilibrio normalmente esistente tra tutti gli

elementi che intervengono nei processi intellettivi dell’uomo.

In questa prospettiva l’uomo alienato risulta un uomo smarrito, la cui interiorita’ puo’ essere

ricomposta attraverso un progetto terapeutico che fondi insieme trattamenti fisici e trattamenti morali

da realizzarsi all’interno di uno spazio rigorosamente isolato dal resto della societa’. Questo spazio,

cioe’ il manicomio, e’ il fulcro del progetto terapeutico, o meglio, si identifica esso stesso con il

progetto terapeutico.

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Percorso multidisciplinare di Picciarelli Francesca Paola classe V sez. B

Liceo Scientifico “ San Giuseppe” AS 2006/2007

Storia della Follia

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LEGGE GIOLITTI n. 36 DEL 1904

Istituzione del manicomio

Le discussioni circa la legge manicomiale occupano in Italia tutta la seconda meta’ dell’Ottocento,

partendo gia’ dal 1849 quando il deputato Bernardino Bernini presenta la propria proposta di legge al

parlamento subalpino, per concludersi nel 1904 con l’approvazione della legge Giolitti n. 36. Un iter

cosi lungo e tormentato dimostra perfettamente l’importanza e la radicalita’ degli interessi in gioco

nella gestione di un’istituzione quale il manicomio e di una categoria di malati quali quelli mentali,

nella quale non intervengono semplicemente problemi di ordine medico e scientifico, ma anche di

carattere sociale, politico ed amministrativo.

La legge viene approvata il 12 febbraio in considerazione del fatto che l’unificazione della

legislazione manicomiale e’ ormai improcrastinabile e promulgata il 14 febbraio col titolo

“Disposizione sui manicomi e sugli alienati”.

La legge, all’art.1, primo comma, sancisce:

Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da

alienazione mentale, quando siano pericolose a se’, e agli altri, o riescano di pubblico scandalo e non

siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorche’ nei manicomi.

La leggi si apre quindi, con una dichiarazione ricca di implicazioni nel momento in cui individua nei

soggetti socialmente pericolosi i veri destinatari del progetto manicomiale. In primo luogo, infatti,

come mette in evidenza Vinzia Fiorino, questa specificazione rivela l’eclisse subita dall’utopia della

guarigione, o almeno il poco peso che la classe politica riconosce all’aspetto curativo e terapeutico

dell’istituzione manicomiale, nonostante le pressioni e l’appoggio della classe degli psichiatri.

Il secondo ed il terzo articolo dispongono le modalita’ di ammissione e dimissione del paziente dal

manicomio.

All’articolo 2 si afferma che l’ammissione in manicomio e’ autorizzata in via provvisoria dal Pretore,

su presentazione di un certificato medico ed in via definitiva dal tribunale in base alla relazione del

direttore, e dopo un periodo di osservazione che non puo’ essere superiore ad un mese.

L’articolo 3, invece stabilisce che la dimissione degli alienati guariti e’ autorizzata, su richiesta del

direttore o dei parenti, con decreto del Presidente del Tribunale, nei confronti del quale e’ ammesso

reclamo al tribunale stesso. Per quanto riguarda le ammissioni e l’intervento dell’autorita’ giudiziaria

nell’autorizzazione di queste, esso e’ stato concepito come una misura di tutela della liberta’

individuale, come supervisione atta ad impedire il costituirsi ed il perpetuarsi di abusi.

La legge fu completata dal Regolamento di attuazione nel 1909 e, nonostante gia’ qualche anno dopo

la sua approvazione si levarono critiche ed opposizioni, come documentano le riviste psichiatriche

del tempo, essa rimase in vigore per oltre settanta anni, nel corso dei quali, tra l’altro, il sistema

manicomiale venne rafforzato con una serie di disposizioni tra cui l’obbligo per il medici di

denunciare all’autorita’ di pubblica sicurezza le persone da loro assistite o esaminate che risultino

affette da infermita’ psichica che li rende pericolosi, e l’obbligo dell’annotazione, introdotto con il

Codice Rocco nel 1929, sul proprio certificato penale dei provvedimenti di ammissione e dimissione

emessi dal giudice.

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Percorso multidisciplinare di Picciarelli Francesca Paola classe V sez. B

Liceo Scientifico “ San Giuseppe” AS 2006/2007

Storia della Follia

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LEGGE BASAGLIA n. 180 DEL 1978

Chiusura del manicomio

Nel secondo dopoguerra si mette in moto in vari paesi europei un processo di ridefinizione dei

metodi di assistenza psichiatrica, che ruota intorno alla liberalizzazione dell’ospedale psichiatrico.

In Italia, le esperienze di alternativa al sistema chiuso manicomiale si sviluppano con sostanziale

ritardo a partire dagli anni Sessanta e pur assumendo le realtà europee con modelli, si

caratterizzano per una maggiore radicalità ed una più spiccata connotazione politica. Tali

esperienze destabilizzano profondamente una realtà marcata da una grave arretratezza che si

esprime, sul piano teorico, in una fedeltà indiscussa ad un’impostazione positivista e organicista,

impermeabile a quegli influssi della fenomenologia e dell’antropologia esistenziale che stanno

cambiando il volto della psichiatria, ma anche alle riflessioni freudiane sulla psicoanalisi, e sul

piano della gestione ospedaliera, nell’utilizzo di pratiche terapeutiche quali le terapie

convulsivanti, la contenzione fisica e la psicochirurgia. Il manicomio si presenta come “l’oscura

roccaforte di cui questa arretratezza si radica e si riproduce in forme aberranti”; esso sembra aver

progressivamente perso il proprio carattere terapeutico per assolvere una funzione puramente

custodialistica, accentuata dalla nascita e dallo sviluppo delle cliniche universitarie, in cui la

scienza affina le proprie categorie e i propri strumenti ignorando la brutalità e l’abnegazione che

si cela dentro agli asili provinciali. In questo clima, si forma una generazione di psichiatri che

riconoscono la necessità di emanciparsi da questa arretratezza e di mettersi al passo coi tempo e

con gli altri paesi europei; tra loro c’è Franco Basaglia. Animato dal desiderio di incontrare il

malato nella propria soggettività, al di là delle mute classificazioni nosografiche della scienza

psichiatrica, e dalla convinzione che comprendere il folle è possibile solo considerando la follia

come una molteplici possibilità di espressione dell’umana presenza nel reale, Basaglia lascerà,

dopo undici anni, la Clinica di malattie nervose e mentali di Padova per andare a dirigere il

manicomio di Gorizia. E’ il 1961 ed ha inizio da qui l’esperienza dell’alternativa psichiatrica

italiana. Parlare di Gorizia e non di altre esperienze contemporanee o successive a questa, che

costellano il panorama dell’alternativa psichiatrica in Italia, non vuole essere una semplificazione

rispetto alla varietà e alla diversità delle alternative sperimentali, ma un tentativo di mettere in

evidenza il progressivo emergere della connotazione politica dell’esperienza italiana, attraverso la

pratica concreta di gestione dell’istituzione manicomiale.

Di fronte alla brutalità e alla violenza che dominano la vita dell’istituto, Basaglia percepisce

immediatamente la necessità di avviare un processo di umanizzazione e con l’aiuto della sua

èquipe importa, nell’arcaica realtà italiana un modello di gestione dell’ospedale psichiatrico

estremamente innovativo: la comunità terapeutica.

Lo scopo principale di una comunità terapeutica è comunque quello di creare un clima nel quale

sia possibile vivere rapporti tra pazienti e personale medico umani, spontanei e reciproci, in modo

che ogni componente della comunità possa sprigionare nei confronti dell’altro la potenza

terapeutica che racchiude.

Per realizzare questi obiettivi la comunità terapeutica so organizza in base ad alcuni principi

fondamentali individuati dai sociologi inglesi nella libertà di comunicazione e nella volontà di

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Percorso multidisciplinare di Picciarelli Francesca Paola classe V sez. B

Liceo Scientifico “ San Giuseppe” AS 2006/2007

Storia della Follia

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prendere decisioni in modo condiviso, per creare attraverso la discussione in assemblea un ampio

margine di consenso, nella tendenza ad analizzare ciò che avviene all’interno della comunità di

godere di occasioni di riapprendimento e di reinserimento sociale.

L’aspetto immediatamente percettibile in un ospedale gestito in modo comunitario è la rottura

della gerarchia interna che regola i rapporti quotidiani tra i poli della vita ospedaliera, cioè tra

malati, infermieri e medici: la partecipazione comunitaria e democratica al processo terapeutico

pone tutti i componenti della comunità in un gioco di tensione e controtensione che li

responsabilizza in modo reciproco;

Nasce così la legge 180 sugli Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, presentata alla

Camera il 19 aprile 1978.

Il primo articolo della legge elabora i principi di fondo su cui si basano i trattamenti sanitari

volontari e obbligatori e ne definisce lo spazio di legittimità. In questa prima definizione essi sono

trattati nella loro unitarietà, senza specificazione di sorta circa le cause di carattere sanitario per

cui si rendono necessari. Il resto della legge si riferirà esplicitamente ai trattamenti per malattia

mentale, ma considerali , grazie a questa impostazione, dei casi particolari di una categoria di

interventi genericamente sanitari si presenta come un’importante affermazione di principi secondo

la quale la malattia mentale è una malattia al pari delle altre, che necessita di interventi di natura

sanitaria, ponendo così fine alla condizione per cui la legislazione psichiatrica ha sempre

rappresentato un corpus di norme separato dal resto dei provvedimenti sanitari, a sancire una realtà

di custodia e di controllo ancora prima che di cure.

Il principio fondamentale su cui si basa l’intera normativa dei trattamenti sanitari riguarda la

possibilità, regolata per legge, di sospendere l’indicazione di carattere generale per cui essi sono di

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