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Sintesi

Introduzione Piazza, tesina



La seguente tesina di maturità tratta del tema della piazza.
Una piazza. Da sempre nella storia è luogo d’incontro e scambio, punto focale nel quale si intrecciano culture, storie e tradizioni appartenenti alle più sfacettate realtà cittadine. Considerata il centro vitale della città, rappresenta il palcoscenico dell’identità e del senso di appartenenza di una comunità, che si presta a rappresentare la sua vita su un palco a cielo a aperto. Luogo di interazioni sociali, ha radici lontane nel tempo: con la sua democrazia e il suo essere così moderna la città di Atene propone l’esempio per eccellenza del ruolo che ha assunto nella vita dei cittadini. La celebre Agorà greca, ricordata per la sua funzione politica (era appunto la sede della democrazia) rappresentava, inoltre, il fulcro della vita quotidiana.

Collegamenti


Piazza, tesina



Storia dell'Arte - Giorgio de Chirico e le piazze italiane
Letteratura - analisi del testo della canzone "Piazza Grande" di Lucio Dalla
Tedesco - Die Bucherverbrennung wahrend des Nazizeits / il rogo dei libri durante il periodo nazista
Estratto del documento

PERCORSO INTERDISCIPLINARE

Una piazza. Luogo d’incontro. Luogo di passaggio. Nessun luogo.”

STORIA DELL’ARTE -> Giorgio de Chirico e “Le piazze Italiane”;

TEDESCO -> Il rogo dei libri sulla Bebelplatz;

DEUTSCH -> Die Bücherverbrennung auf Bebelplatz

LETTERATURA -> “Piazza Grande” G. BALDAZZI e S. BARDOTTI, in

“Casa Ricordi”, 1995; Canzone di Lucio Dalla

2

PRESENTAZIONE

“Una Piazza”, un tema inconsueto sul quale basare un intero approfondimento, ma

a mio avviso ricco di sfacettature molto spesso scontate.

Il mio interesse su questo “simbolo” è nato durante una simulazione di prima

prova, quando ci è stata proposta una vecchia prova d’esame che aveva per titolo “La

Piazza”. Sul momento rimasi colpita da quei testi, però decisi di passare oltre.

Con il trascorrere del tempo, e il proseguimento dei programmi scolastici mi sono

accorta che la piazza continuava a essere nominata, con un ruolo più o meno

importante, ma era sempre presente.

Riflettendo sono arrivata alla conclusione che quanto questo oggetto sia presente e

determinante per le vite delle persone, e che molte volte è sminuita perchè si

presenta ai nostri occhi come un oggetto quotidiano.

Io stessa non credevo che “la Piazza” avesse un ruolo, ma soprattutto una storia

così ampia e fitta.

É per questo motivo che ho deciso di volero conoscere meglio i cuori delle nostre

città, per poter valorizzare ciò che già per me era una cosa scontata.

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INTRODUZIONE

Una piazza. Da sempre nella storia è luogo d’incontro e scambio,

punto focale nel quale si intrecciano culture, storie e tradizioni

appartenenti alle più sfacettate realtà cittadine.

Considerata il centro vitale della città, rappresenta il palcoscenico

dell’identità e del senso di appartenenza di una comunità, che si

presta a rappresentare la sua vita su un palco a cielo a aperto.

Luogo di interazioni sociali, ha radici lontane nel tempo: con la sua democrazia e il suo essere così

moderna la città di Atene propone l’esempio per eccellenza del ruolo che ha assunto nella vita dei

cittadini. La celebre Agorà greca, ricordata per la sua funzione politica (era appunto la sede della

democrazia) rappresentava, inoltre, il fulcro della vita quotidiana.

In Italia un esempio ci arriva direttamente dall’antica Roma, con i suoi numerosi Fori Imperiali, i

quali rappresentavano uno spazio protetto, dove convergevano tutte e tre gli interessi dell’uomo: il

mercato, il tempio e la sede del potere politico.

La questione del rapporto tra la piazza e il potere politico nella storia

italiana rappresenta una sorta di “destino strutturale” degli spazi

cittadini: dall’epoca rinascimentale ai nostri giorni, la piazza ha

costituito il luogo in cui il potere pubblico fa mostra di sé, si espone

al popolo.

Fino all’età risorgimentale, nell’Italia ancora suddivisa in tanti Stati,

fondati su un potere aristocratico o monarchico chiuso ad ogni forma di partecipazione popolare

autonoma, la piazza è prerogativa esclusiva del potere, che nega ogni possibilità di espressione ad

un “contropotere”.

Il Risorgimento, costretto nell’età della Restaurazione alla clandestinità delle “società segrete” esce

alla luce del sole e “conquista” la piazza. In quell’anno, la piazza, in quanto spazio “simbolico del

popolo che agisce, si raduna, si riconosce e si mostra”, occupò un posto di grande rilievo, indicando

“uno dei luoghi privilegiati in cui nacque e si sviluppò una nuova modalità dell’agire politico: il

passaggio da una socialità chiusa ad una socialità aperta; la partecipazione popolare alla vita

politica e la conseguente ridefinizione del potere sovrano in un rapporto di reciprocità con la piazza

stessa”.

Gli eventi del 1848-1849 dimostrarono che nella storia italiana nasceva una nuova coscienza

politica, espressa in forme collettive, pubbliche, in aree urbane, ma en plein air, fuori dagli spazi

istituzionali, per cui la piazza si impose come il luogo, reale e metaforico, dell’affermazione di un

“contropotere”. 4

L’episodio culminante del tentativo del potere di frenare e reprimere l’ascesa del movimento

operaio e popolare si verifica a Milano nel 1898, quando le truppe del generale Bava Beccaris

fecero uso dell’artiglieria contro una folla inerme di manifestanti.

Un ciclo storico, dunque, si era compiuto, al volgere del passaggio dall’Ottocento al Novecento.

Gli anni che seguiranno saranno tra i più movimentati e drammatici per la storia del nostro paese e

la piazza costituirà ancora una volta una sorta di “catalizzatore” delle tensioni e delle inquietudini.

I principali soggetti politici, nell’Italia del primo Novecento, si

“contendono” la piazza, che rappresenta, per così dire, un

organo privilegiato della vita politica italiana; in particolare, il

ruolo della piazza si rivelerà di grande importanza in occasione

dello scoppio della prima guerra mondiale, quando in Italia si

contrapporranno gli interventisti e i neutralisti.

L’avvento al potere del fascismo confermerà questa capacità di utilizzare politicamente la piazza: il

regime fascista, nell’ottica del “disciplinamento” dittatoriale delle masse, attiverà la coreografia

della “piazza oceanica”, in cui le folle irreggimentate vivono l’unanimità dell’obbedienza

incondizionata nei confronti del capo carismatico.

L’avvento della democrazia repubblicana, dopo il ventennio fascista, permette ai movimenti

popolari ed alle forze politiche che li rappresentano, di ritornare sulle piazze come soggetti

autonomi, nell’ambito di una dialettica finalmente democratica. Si passa dalla “piazza domata” del

regime fascista alle “piazze contese” della Repubblica.

È tuttavia, a partire all’incirca dagli anni Novanta del Novecento, si è assistito ad una crisi della

funzione “politica” della piazza e della sua centralità sul piano della vita pubblica e della lotta

politica.

Oggi alla piazza “reale” si affianca, fino a sopravanzarla, la “piazza virtuale” televisiva, luogo

pubblico per eccellenza, ma al contempo luogo privato ed alienante, in cui l’incontro e il confronto

tra le persone è come filtrato e stemperato dalla “freddezza” del mezzo televisivo.

In conclusione si è avverata la profezia di architetti, urbanisti e storici della città circa la “morte

della piazza”, a seguito di una modernizzazione tumultuosa che ha trasformato tante piazze in

anonime aree di parcheggio. 5

STORIA DELL’ARTE

DE CHIRICO E LE PIAZZE SENZA TEMPO

Piazze d’Italia. Dove si decide la vita della città, incrocio di politica e società, dove si aggregano i

pensieri per poi riversarsi sulla gente e sullo spazio circostante. Piazza come il foro romano, come

l’agorà ateniese, come le piazze di Giorgio De Chirico, personaggio capace di rappresentare la

realtà in una visione nuova, deformata dall’animo e posta in un ambiente illogico, di cui continua a

mostrarne i tratti.

Nato in Grecia nell’estate del 1888 da benestanti genitori italiani, Giorgio de Chirico inizia i suoi

studi artistici al Politecnico di Atene. Li continuerà all’Accademia di Belle Arti a Firenze, per poi

terminarli nel 1906 all’Accademia delle Belle Arti di Monaco di Baviera, dove conosce e resta

affascinato dalla pittura di Arnold Bocklin e dei simbolisti tedeschi. Dopo aver dipinto a Firenze la

sua prima piazza metafisica, raggiunge nel 1911 il fratello – il pittore Alberto Savinio – a Parigi. Qui

incontra i principali artisti dell’epoca e si muove sulla tela con uno stile più sicuro. Prendono così

forma le prime rappresentazioni delle piazze d’Italia.

Le opere metafisiche di De Chirico, personaggio inquietante ed enigmatico, sono caratterizzate da

una moltitudine di soggetti e tematiche, tutte legate alla sua formazione culturale (la Grecia e il

mito, la filosofia e la letteratura) e dall’enorme capacità percettiva dell’artista, che riesce a

guardare dentro la realtà. Dai manichini alle piazze, dai cavalli alle nature morte, dai ritratti ai

paesaggi, in ogni passaggio della sua carriera artistica, De Chirico è sempre un metafisico in modo

naturale.

"Io ho mostrato per primo la metafisica delle piazze e delle città d'Italia" affermava Giorgio De

Chirico, ed è lo stesso pittore a raccontare lo sguardo su una piazza come elemento di ispirazione

per la propria arte: "In un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di

Piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza. Ero

appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida

sensibilità... Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la

composizione del dipinto si rivelò all'occhio della mia mente. Nondimeno il momento è un

enigma per me in quanto esso è inesplicabile"

A quella piazza semplicissima - una gruppo di case, una chiesa e un monumento al centro - ne

seguiranno altre, ancora più semplici. Saranno le forme urbane torinesi e ferraresi, con piazze

regolari circondate da portici dal ritmo monotono e ipnotico, e le torri e le ciminiere vertiginose e

incombenti, a saldare definitivamente il legame tra l'artista e lo spazio urbano. E sulla tela quelle

forme semplici diventeranno irreali scenografie abitate da ombre inquietanti, dove i pochi passanti

si trasformano in statue e manichini.

Nelle sue tele più celebri De Chirico rappresenta piazze assolate e vuote, dove tutto appare fermo

e silenzioso: unica traccia di vita è un treno che corre all'orizzonte o una ciminiera fumante. Si

riconosce solo qualche ombra e una statua isolata e la loro solitudine esprime l'incomunicabilità

6

dell'uomo. Invece che luogo d'incontro sociale, le piazze di De Chirico sono spazi vuoti, dove non è

più possibile incontrarsi, dove le poche figure dipinte scompaiono al confronto delle grandi

architetture, appaiono estranee e inquietanti finendo per diventare appunto 'metafisiche'.

Sembrano luoghi reali, ma colori e luci sono innaturali con prospettive assurde e accostamenti

impossibili le spingono verso una dimensione che va oltre la realtà e che sconfina nell'immaginario.

7

LETTERATURA

LA PIAZZA GRANDE DI LUCIO DALLA

"Piazza Grande" di Lucio Dalla, presentata per la prima volta nel 1972 nella raccolta “Casa Ricordi”,

scritta da G. Baldazzi - S. Bardotti.

Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è

sulle panchine in Piazza Grande

ma quando ho fame di briganti come me

qui non ce n'è.

Dormo sull'erba, ho molti amici intorno a me:

gli innamorati in Piazza Grande;

dei loro guai, dei loro amori tutto so,

sbagliati e no.

[...]

Una famiglia vera e propria non ce l'ho,

e la mia casa è Piazza Grande.

A chi mi crede prendo amore e amore do

quanto ne ho.

Con me di donne generose non ce n'è,

rubo l'amore in Piazza Grande

e meno male che briganti come me

qui non ce n'è.

[...]

Lenzuola bianche per coprirci non ne ho,

sotto le stelle, in Piazza Grande

e se la vita non ha sogni, io li ho e te li do.

E se non ci sarà più gente come me

voglio morire in Piazza Grande

tra i gatti che non han padrone come me,

attorno a me.

A modo mio quel che sono l'ho voluto io....

La canzone è metafora della vita di un clochard di Bologna. La piazza è qui un’allegoria della

condizione umana, nella quale siamo tutti un po' simili al barbone di Piazza Grande.

Piazza Grande è simbolo di Bologna, ma lo è anche del mondo intero. Così come il senzatetto è

simbolo di ciascuno di noi.

Il clochard del testo fa una specie di confessione: ammette di aver scelto il tipo di vita che fa e,

come i gatti randagi, non ha padroni, ma è ben inserito nel contesto urbano: ha per amici gli

innamorati che si danno appuntamento nei giardinetti, riceve affetto e lo ricambia con generosità,

distribuisce sogni alla gente. 8

In conclusione la piazza fa sentire il povero e solitario clochard come a casa sua. Non è solo un

omaggio a chi è più sfortunato, ma è anche un inno a un luogo caratteristico delle città italiane: la

piazza, come centro di scambi, incontri, confronti, dove si sviluppa una vita autenticamente

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