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Sintesi

Sintesi Mondo capovolto - Tesina



La seguente tesina di maturità descrive il tema della società. con collegamenti interdisciplinari alle seguenti materie scolastiche: in Filosofia Marx e le sue opere e il concetto di classe sociale, in Musica Fabrizio De Andrè, in Italiano Giovanni Verga, “La lupa”; I miserabili di Hugo e in Scienze sociali il concetto di classe.

Collegamenti


Mondo capovolto - Tesina



Filosofia - Marx e le sue opere e il concetto di classe sociale.
Musica - Fabrizio De André.
Italiano - Giovanni Verga, “La lupa”; I miserabili di Hugo.
Scienze sociali - Il concetto di classe.
Estratto del documento

Indirizzo di studi Liceo delle Scienze sociali

Anno scolastico 2013/2014

A cura di: ANNACHIARA FABRIZIO (classe 5H)

Tesina saggio breve

“IL MONDO CAPOVOLTO”

Spesso molti concetti, per noi sembrano o meglio sono

diventati “legge”,”dogmi” immodificabili. Uno di questi è proprio il

principio che riguarda quelli che all’epoca venivano definiti “ceti

sociali”. La storia, infatti, si può dire che si è sempre basata su una

gerarchia sociale dove alla fine lo schiavo; l’operaio (insomma la

massa, la maggior parte della popolazione) veniva considerato il

punto più basso della famosa piramide, mentre la parte elevata

erano i nobili, la borghesia, il ceto medio (insomma coloro che erano

nella media-economia).

Infatti, se si guarda bene, anche se inteso in modo differente

nei diversi secoli, la gerarchia sociale si basava sempre su un

concetto economico che determinava la superiorità o inferiorità di

certe persone. Per ciò si ricorda benissimo Karl Marx e il suo

contrasto con il capitalismo. Egli parlava proprio del ruolo e della

posizione dell’operario e del capitalista(capo della fabbrica)

all’interno della società. Basti pensare alla sua teoria del “feticismo

delle merci” e si capirebbe subito che l’operaio veniva sfruttato dal

capitalista senza che nemmeno lo sapesse. “Sfruttato” nel senso

che l’operaio lavorava ore in più ( pluslavoro) per il capitalista, il

quale non lo pagava per questo e l’operaio non ne era al corrente

poiché non era “conoscente” della “struttura economica” del

capitalismo e dello stato stesso. In sostanza Marx sostiene il

concetto che lo stato/ il capitalista manipolano le classi ritenute

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“inferiori” per arrivare ai loro obbiettivi personali. Così si crea la

“disuguaglianza sostanziale” e una società dell’egoismo, pronta a

rendere ignorante il punto più basso della piramide.

All’aspetto economico, però, vengono associati anche

paradigmi morali e cognitivi. Queste associazioni di paradigmi si

possono definire “stereotipi” cioè idee preconcette basate solo su

un giudizio insensato.

Oggi gli stereotipi che spesso usiamo nei confronti del “diverso” si

basano sul processo di “stigmatizzazione” di Goffmann. Egli è un

sociologo che ha individuato nei carcerati, nei malati di mente, nelle

prostitute, nei senza tetto (insomma negli “ultimi”) gli stigmatizzati

della nostra società. Gli “ultimi”, come scriveva Fabrizio De Andrè,

sono coloro che sono considerati pericolosi, persone a cui non

dobbiamo avvicinarci, che devono essere emarginate; ma non è

così. Infatti Becker, con la teoria di “etichettamento”, ci dimostra

come il cammino di un deviante ( o di un ultimo) sia causato da

un’etichetta, uno stigma, un segno che viene impresso

sull’individuo come un marchio a fuoco che rimane per tutta la vita.

La maggioranza degli etichettati proviene da situazioni economico-

sociali difficili, questi non avendo la possibilità di affermarsi nella

società, attraverso modalità regolari, sono costretti a deviare e ad

intraprendere una carriera da criminale. Segnati a vita, con uno

“stigma apparente” la credenza che si auto avvera diventa realtà.

Queste considerazioni, ovviamente, non vogliono giustificare un

crimine, ma solo comprendere come ci si può avviare verso una

carriera deviante e come la società potrebbe intervenire e

prevenire, invece di giudicare secondo i canoni dominanti.

Il processo di stigmatizzazione o di etichettamento comporta la

tendenza ad emarginare ulteriormente e a considerare gli

etichettati come persone che non possono avere valori veri, che

non hanno un’intelligenza sociale, ignoranti, miserabili, nulla

tenenti. Dunque, il loro posto, secondo i “ben pensanti”, è ai

margini della società, rinchiusi nelle istituzioni totali (come carceri,

slum delle megalopoli contemporanee, abbandonati lungo le strade

e dentro le stazioni). Tutti loro sono costretti a portare il “segno

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apparente” che li caratterizza come inferiori. Ma deve essere

davvero così? Dobbiamo davvero continuare a vivere in questo

mondo diviso tra superiori, inferiori e diversi? La risposta è:

assolutamente no!

Ognuno di noi deve avere sempre un’altra possibilità, perché siamo

tutti uguali e abbiamo gli stessi diritti: questo dovrebbe essere un

principio etico per eccellenza, secondo la mia opinione.

Parlare di ultimi, come abbiamo fatto fino ad ora ci ricorda concetti

del Vangelo, ma non mi voglio soffermare sull’aspetto religioso.

Vorrei, semmai, parlare di messaggi da re-introdurre nel mondo,

messaggi che devono contenere valori morali e spirituali che l’uomo

contemporaneo sta perdendo, e che dovrebbe recuperare, come il

valore dell’essere umili e non solo della prepotenza; il valore

dell’altro e non solo dell’estremo individualismo. Questi messaggi li

possiamo trovare nelle parole di santi, poeti, narrator.

Personalmente li ho trovati nelle parole di due grandissimi autori:

Fabrizio De Andrè e Victor Hugo.

Sono due autori totalmente differenti sia per quanto riguarda la

scrittura, il periodo storico e il pensiero religioso; ma una cosa

hanno in comune: la ricerca di un comportamento umano rispettoso

dell’altro, soprattutto quando l’altro è ultimo. Fabrizio De Andrè,

citato precedentemente, è un cantautore- poeta contemporaneo,

che inoltre era anche ateo (questo può rendere “buffo” il concetto di

cui si sta trattando e invece lo rende ancora più interessante.

Poiché essendo ateo si pensa abbia dato continui pregiudizi e

stereotipi ai concetti religiosi e invece nelle sue “opere” è stato più

imparziale di quanto lo sia un religioso stesso), mentre Victor Hugo

è un poeta del 1800 che non era ateo poiché come si vede anche

dalla suo opera più famosa “ Les Miserables” . Infatti, per l’autore,

la religione è intesa proprio come la salvezza dell’uomo dalle morali

ingiuste, insensate e crudeli, conseguenze del periodo della

restaurazione francesce , “valori” non diversi da quelli della nostra

società contemporanea. In questo periodo si erano creati valori

egoistici, a livello sociale, basati sulla miseria e sull’ ignoranza.

Questo dipese dal fatto che con il Congresso di Vienna i vari sovrani

delle diverse nazioni ritornarono sui loro troni e le classi più agiate

riacquistarono tutti i privilegi e i beni perduti con il periodo della

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Rivoluzione francese e il periodo napoleonico. Si ricorda, infatti, che

questi periodi sono stati importanti per la Francia e, in particolare,

per la sua popolazione, perché si sono diffusi, durante tale periodo

gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Infatti, con il ritorno al

potere delle classi agiate, i contadini, gli operai ed il proletariato (i

miserabili che si ritrovarono dalla parte opposta del sistema sociale)

non potevano opporsi a questi “privilegi” ed entrarono in condizioni

di miseria profonda. Quello che si voleva “restaurare” in questo

periodo erano proprio i principi di dignità della persona umana:

principi di uguaglianza dei cittadini, libertà di pensiero e libertà di

giustizia. Così iniziarono a crearsi movimenti liberali che

sostenevano proprio ciò ma non migliorarono la situazione per tutti

ma solo per una parte della società. E le persone, come gli operai e

i contadini continuarono a vivere nella miseria. Questo è il problema

che sussiste anche oggi giorno: la mancanza di valori morali e

l’incremento dell’individualismo e dell’egoismo. Sia De Andrè che

Victor Hugo, in modo diverso, evidenziano il concetto del mondo o

almeno della società attraverso l’amore e altruismo. Principi che

comprendono a sua volta concetti come umiltà, sacrificio, aiuto,

pazienza, debolezza. Concetti che sono presenti in coloro che

vivono ciò ogni giorno della loro vita, coloro che possono insegnarci

cosa significa davvero “vivere”, cosa significa davvero “libertà”,

“felicità”, “aiuto”, “sacrificio” perché è quello che cercano e

subiscono ogni giorno. Quelli che noi riteniamo “ultimi” sono in

realtà i “primi” della piramide della vita. Come dice De Andrè, “se

non sono gigli, sono pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Egli

vuole intendere che la solitudine degli ultimi (prostitute, barboni,

ma anche tutti coloro che vengono emarginati, quindi prendendo in

considerazione oggi anche immigrati) è il loro fondamento per

questa società così crudele basata solo su violenza ed egoismo.

Infatti, come riteneva anche Hugo, gli ultimi sono gli unici individui

capaci di autenticità e forza, possiedono una spiritualità elevata da

essere ritenuti loro i veri “privilegiati” della società perché solo loro

conoscono la verità della vita avendola vissuta sulla loro pelle e

avendo vissuto tutte le sue sfaccettature. Basti leggere le opere di

Verga (poeta verista e realista che scrive e descrive nelle sue opere

situazioni reali, in particolare di realtà degradate), come ad esempio

“la Lupa” dove si capisce immediatamente il mondo degli ultimi. La

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lupa era una prostituta che viveva in un piccolo paesino e veniva

giudicata dalle persone per come era e cosa faceva e per ciò veniva

anche emarginata ma, come detto prima, non possiamo soffermarci

a questo sbaglio (l’apparenza), ma iniziare a capire e comprendere

la persona che mi sta davanti. Come scrive, in modo “modesto” ma

giusto Hugo- <<Fino a quando esisterà, per causa delle leggi e dei

costumi, una dannazione e un’asfissia sociale, che crea

artificialmente, in piena civiltà, degli inferni e che complica con una

fatalità umana il destino, libri come questo non saranno inutili>>.

Infatti è anche questo il punto per creare un mondo, una società

nuova che si basi su umiltà, altruismo, amore ci vuole prima di tutto

l’informazione e la formazione di “tutti” i cittadini e in seguito una

dose enorme di empatia. Se iniziassimo a metterci nei panni delle

altre persone, nei panni degli “ultimi” capiremmo che prima di tutto

sono uguali a noi, non sono “alieni” di un altro mondo e sono

persone che ci potrebbero aiutare e insegnare più di quanto si

crede: perché come già detto ci insegnerebbero a vivere

veramente, a capire i veri valori che ci servono per creare una vera

società democratica magari, o meglio una società dove si riesce

almeno a convivere con gli altri nostri simili, anzi nostri “uguali”.

Riprendendo Marx: <<solo così si arriverebbe ad un’uguaglianza

perfetta dove la società non tiene conto solo delle “capacità” degli

individui, ma soprattutto dei loro “bisogni”>>. Quindi dobbiamo

iniziare a “capovolgere la nostra mentalità”: per iniziare questo

cambiamento dovremmo inanzitutto eliminare gli “antagonismi” di

classe, come dice Marx nella 10° tesi della rivoluzione comunista.

Egli, nel Manifesto del Partito Comunista, parla proprio di un “libero

sviluppo” di ciascuno che porterà ad un “mondo capovolto” dove la

divisione di classi non esisterà, ma ci sarà solo una socializzazione

tra quelli che erano chiamati “ultimi” e quelli ritenuti “primi”!

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Documenti:

1. Giovanni Verga, “La lupa”

Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso

da bruna--e pure non era più giovane ; era pallida come se

avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due

occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi

la Lupa

mangiavano. Al villaggio la chiamavano perché

non era sazia giammai--di nulla. Le donne si facevano la

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croce quando la vedevano passare, sola come una

cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della

lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti

in un batter d'occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava

dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi

da satanasso, fossero stati davanti all'altare di Santa

Agrippina. Perché la Lupa non veniva mai in chiesa, né a

Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per

confessarsi. Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un

vero servo di Dio, aveva persa l'anima per lei.

2. V. HUGO - I MISERABILI

PARTE PRIMA

Fantine :

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