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Sintesi
Introduzione Jeans, tesina


Questa tesina parla della storia universale del jeans, di come si è sviluppato e dei continui mutamenti che l'hanno trasformato nel capo d'abbigliamento più amato e più venduto di sempre.

Collegamenti


Inglese - Wall Street Crash
Storia - Pearl Harbor
Diritto - La tutela del lavoro femminile
Italiano - Pier Paolo Pasolini (il folle slogan dei Jeans Jesus)
Estratto del documento

The New Deal outlined the idea of a greater interest of the public institutions to the living

conditions of the common citizen and a collective effort of federal organizations. It also included

measures for the recovery and the control of the stock market. This project fixed contributions

and financing in order to realize numerous public works, such as: roads, dikes to prevent floods

and energy production at low costs. Farmers were given financial helps and were invited to limit

their areas as to avoid excessive production. The State itself promoted industrial activity and

introduced social measures, such as assistance to the jobless, old-age pensions and particular care

for children and mothers. In 1934 the economic situation began to improve. Roosevelt was

convinced that to make industries earn it was necessary to give people more spending power by

means of sufficiently high salaries. Moreover, if private citizens were not able to favour any

economic development and employment, the State had to act as an entrepreneur and spend, even

if this led to a series of debts. Roosevelt's plan was supported by a famous economist of the time,

John Maynard Keynes, who stated that a "balance in red" was not a harmful event for the State if

it brought employment or any other positive result in future. This is the work that most influenced

the social and economic world in the 20th Century. It also stressed the new role of government in

our society, since Keynes thinks that only an active State intervention in the economy can support

employment. When the demand is insufficient the State must diminish taxes and increase public

expenditure, even if this involves a balance deficit. This represents an evident breaking with the

classical school that supported the nonintervention of the State in the economy and the rule of

balancing the budget. In the USA, but also in other European countries, the Crisis of 1929 had

introduced a transformation of Capitalism, whose focus was the State intervention. The United

Kingdom was not so deeply involved in the crisis, just because it was not economically so

dependent on the USA and thanks to its large colonial empire. The Soviet Union, which was not

tied up to international business, was not completely involved in the crisis.

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Di quell’America immiserita il denim era quasi un’uniforme. La crisi colpiva tutti, ma a farne le

spese erano soprattutto le classi più umili (ferrovieri, contadini, falegnami, operai) che erano

rimasti senza soldi e senza lavoro. Tutta gente che ormai spesso non aveva che un solo abito: la

propria tuta, la salopette, o la Union-All. Il denim diventò effettivamente un simbolo e, per la

prima volta conobbe una sorta di nobiltà, perché la Grande Depressione diede una specie di

dignità a quei poveri abiti. La crisi non colpì ovviamente solo le

classi sociali più umili, ma anche la borghesia; infatti molti

borghesi, stanchi di veder ridotto ai minimi termini il proprio

potere d’acquisto, rinunciarono ai costosi viaggi oltreoceano, ai

tour in Europa, scegliendo per le loro vacanze quello che noi

oggi definiremmo “agriturismo”, dirigendosi nel lontano west i

cui eroi cowboy e pistoleri si stavano cominciando a conoscere

grazie al cinema e alle pagine dei giornali.

Insomma, nel giro di pochi anni, centinaia di pellicole di successo, che avevano come protagonisti

uomini perennemente in denim, contribuirono a costruire quello che forse è il più grande dei miti

americani: l’epopea western. Il jeans dunque non è più solo un indumento da lavoro, ma sta

diventando una questione di moda. Infatti la Levi Strauss, su richiesta dei consumatori, diede vita

al primo jeans disegnato appositamente per le donne: il Lady Levi’s, cioè il modello 701, e alla fine

degli anni Trenta comparvero anche i Kid’s jeans, creati appositamente per i bambini.

La moda western durò però pochi anni poiché dal 1939 al 1945 l’intera produzione tessile

americana fu convertita a scopi bellici. La Blue Bell per esempio, mise i propri impianti a

disposizione di Esercito, Marina e Aviazione, arrivando a confezionare pantaloni in denim, tute da

volo, uniformi, giubbetti e abiti per il tempo libero dei soldati. Infatti la pubblicità che Blue Bell,

Levi Strauss e Lee facevano in tempo di guerra non era più diretta all’incremento dei consumi,

quanto a valorizzare la propria immagine istituzionale. Fu istituito il War Production Board, un

ufficio federale che aveva il compito di sorvegliare l’impiego delle materie prime, evitarne gli

sprechi e indirizzare le risorse alla produzione militare. Questo portò ad un mutamento

dell’aspetto dei jeans, che per risparmiare metalli, stoffa e filati dovettero fare a meno di: bottoni

(che furono ridotti a tre), dei rivetti, e delle alette sulle tasche dei giubbetti.

Per gli Stati Uniti il conflitto comincia ufficialmente solo nel dicembre 1941, quando i giapponesi

attaccarono a sorpresa la base navale di Pearl Harbor, nelle Hawaii.

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Alla fine del 1941, mentre in Europa la Germania nazista portava avanti da sei mesi la sua offensiva

contro l’Unione Sovietica arrivando alle porte di Mosca, il Giappone stava continuando la sua

aggressiva politica di espansione nel sudest asiatico, minacciando le principali colonie occidentali

nell’area (come l’attuale Malesia, allora britannica, o le Indie Orientali olandesi) dopo aver già

occupato l’Indocina francese. L’attacco alla base navale principale della Flotta del Pacifico della

marina statunitense (che ha ancora oggi sede a Pearl Harbor) intendeva rendere gli Stati Uniti

incapaci di reagire agli ulteriori attacchi giapponesi alle colonie in Indocina e nelle Filippine, aree

necessarie al Giappone per il rifornimento delle materie prime.

Un confronto militare tra il Giappone e gli Stati Uniti era ampiamente previsto da molti osservatori

e dalla stessa maggioranza dell’opinione pubblica, ma a dicembre del 1941 tra i due paesi erano

ancora ufficialmente aperti i canali diplomatici ed erano in corso negoziati. Oltre a questo, gli Stati

Uniti non attendevano un attacco nelle Hawaii, relativamente lontane dal teatro di guerra, e dove

la Flotta del Pacifico era stata spostata da pochi mesi dalla precedente base a San Diego, in

California. L’attacco, che fu progettato

dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto, proseguiva

dai primi mesi del 1941, ma l’autorizzazione

definitiva dell’imperatore Hirohito arrivò solo il

primo dicembre.

Gli aerei giapponesi che parteciparono all’attacco

furono oltre 350, divisi in due ondate. La prima

ondata aveva l’obiettivo di cercare e prendere di

mira i bersagli principali, identificati con le navi da

guerra più grandi, tralasciando magazzini, basi dei

sommergibili e centri di comando. La seconda

ondata doveva attaccare altri obbiettivi

eventualmente tralasciati dalla prima. Altri

bersagli preferenziali erano gli aerei parcheggiati nelle basi, in modo da evitare una risposta aerea

immediata. Insieme all’attacco aereo, i giapponesi utilizzarono anche cinque sottomarini che

stazionavano a pochi chilometri di distanza dalla base, ma questa parte dell’attacco si rivelò un

fallimento quasi completo, dato che quattro vennero distrutti o abbandonati dall’equipaggio senza

aver causato danni rilevanti e del quinto si persero le tracce, senza che facesse mai ritorno alla

base. 9

I soldati statunitensi furono colti completamente di sorpresa. Anche se la prima ondata, una flotta

di 183 aerei da guerra (caccia, bombardieri e lanciasiluri) in arrivo da nord, venne rilevata da una

piccola stazione radar dell’esercito statunitense quando era a circa 250 chilometri dalla base, ma

venne scambiata con un gruppo di sei bombardieri il cui arrivo era previsto dagli Stati Uniti. Le

postazioni di artiglieria a difesa della base erano quasi completamente sguarnite, il livello di allerta

era basso e le centinaia di aeroplani nelle basi aeree a poca distanza da Pearl Harbor erano

parcheggiati molto vicini per evitare sabotaggi. Tutte le otto maggiori navi da guerra presenti a

Pearl Harbor al momento dell’attacco vennero danneggiate, e quattro vennero affondate nelle

acque basse della laguna (cosa che avrebbe aiutato il recupero e la nuova messa in funzione di sei

di queste nell’arco di pochi mesi). La seconda ondata di aerei giapponesi, divisa in tre gruppi (uno

era destinato a un obiettivo secondario), consisteva in 171 aerei che arrivarono alla base quasi

simultaneamente da diverse direzioni. Solo otto piloti dell’aviazione statunitense riuscirono ad

alzarsi in volo, dei 402 aerei presenti nelle isole Hawaii. Complessivamente, l’attacco durò

solamente un’ora e mezza ed ebbe effetti devastanti:

morirono 2.331 soldati e 55 civili americani, quasi

1.200 nell’esplosione del magazzino degli armamenti

della nave Arizona. I feriti furono 1.139. Le navi

danneggiate o distrutte furono nel complesso

diciotto. 188 aerei statunitensi vennero distrutti al

suolo, oltre 150 furono danneggiati. In confronto, le

perdite giapponesi furono leggerissime: 55 uomini, di

cui un marinaio di un minisottomarino catturato

dagli statunitensi l’8 dicembre, 29 aerei e i cinque

minisottomarini. Poche ore dopo l’attacco alla base

di Pearl Harbor, il Giappone attaccò le Filippine, che

erano sotto il controllo degli Stati Uniti. L’8 dicembre

1941 il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt pronunciò un celebre discorso davanti alle

camere riunite del parlamento americano, dicendo che il 7 dicembre 1941 sarebbe stato “un

giorno che vivrà nell’infamia”. Meno di un’ora dopo il Congresso approvò la richiesta del

presidente della dichiarazione di guerra al Giappone. L’11 dicembre 1941 la Germania e l’Italia

dichiararono guerra agli Stati Uniti, seguendo quando prescriveva il Patto Tripartito firmato a

Berlino dai rappresentanti di Germania, Italia e Giappone nel settembre del 1940. Anche se

l’attacco a Pearl Harbor fu un successo nell’immediato, le sue conseguenze non furono così

favorevoli al Giappone come questi aveva progettato, per due motivi principali. Il primo fu che

l’attacco a sorpresa spazzò via i dubbi dell’opinione pubblica statunitense sulla necessità di

scendere in guerra contro il Giappone, ma anche contro i regimi fascista e nazista in Europa,

mentre nei mesi precedenti il fronte dei sostenitori dell’isolazionismo degli Stati Uniti era sempre

stato consistente. Dal punto di vista militare, poi, le tre portaerei statunitensi della Flotta del

Pacifico (la Lexington, la Saratoga e l’Enterprise) non erano presenti nella base al momento

dell’attacco, fatto di cui i giapponesi erano consapevoli, e nel seguito della guerra il fattore

decisivo nel Pacifico fu la superiorità aerea più che le grandi battaglie navali.

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Dopo l&rsqu

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