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Sintesi

Introduzione Tesina Conflitto arabo-israeliano



Questa tesina di maturità descrive il conflitto arabo-israeliano permettendo i seguenti collegamenti: in storia la guerra arabo-israeliana, in geografia la Palestina, in letteratura Primo Levi.

descrizione del conflitto tra Israele e Palestina

Collegamenti


Tesina Conflitto arabo-israeliano



Storia: la guerra arabo israeliana.

Geografia: la Palestina.

Letteratura: Primo Levi.
Estratto del documento

Introduzione

Il conflitto arabo-israeliano è un conflitto fra due popoli su una stessa terra: una questione tra le più spinose e

drammatiche che la storia contemporanea abbia mai conosciuto, considerando le implicazioni religiose, politiche e sociali

del conflitto. Ancor prima della costituzione dello stato di Israele, concretizzatasi effettivamente nel maggio del 1948,

questa terra era chiamata “Filastin” dai suoi abitanti arabi e Palestina dai britannici che la controllavano. Il fatto che arabi

ed ebrei usassero nomi diversi per riferirsi alla stessa terra, era un riflesso delle loro opinioni divergenti riguardo al suo

passato, al suo presente e al suo futuro: infatti, gli arabi consideravano la Palestina, che avevano coltivato per generazioni,

una terra araba che aveva diritto all’indipendenza, proprio come gli altri paesi arabi; gli ebrei, invece, consideravano

Israele, che avevano sognato durante diciotto secoli di dispersione e persecuzione, una terra ebraica che sarebbe dovuta

diventare, quindi, teatro della realizzazione di uno stato degli ebrei. Con la creazione dello stato di Israele, sembrò che la

Palestina fosse stata cancellata dalle cartine geografiche del Medio Oriente: tuttavia, non scomparvero i profughi

palestinesi e la disputa rimase aperta. Le cinque guerre che scoppiarono in seguito, non fecero altro che confermare

l’intensità e l’asprezza del conflitto arabo-israeliano. Nel tempo, vari sono stati i tentativi di giungere ad una soluzione

convergente e pacifica; ma, ancora oggi, questa soluzione sembra quantomai lontana dall’essere raggiunta.

Contestualizzazione geo-politica

Per comprendere appieno tutte le dinamiche che hanno dato vita alla cosiddetta “questione palestinese”, è necessario

contestualizzare geograficamente e storicamente la regione teatro di tali eventi.

Con “Medio Oriente” si indica convenzionalmente quella zona compresa tra l’Oceano Atlantico, il Mar Mediterraneo,

l’Oceano Indiano ed il Golfo Persico, all’interno della quale vivono numerose etnie che, per la maggior parte, sono

accomunate dall’appartenenza alla religione islamica. Tale regione fu, per molti secoli, parte integrante dell’Impero

Ottomano.

Quando, nel 1914, la Turchia entra in guerra a fianco della Germania e dell’Impero Austro-Ungarico, l’attenzione delle

potenze belligeranti si concentra sul destino dell’Impero Ottomano.

La Gran Bretagna, pur di creare difficoltà ai turchi, si mostra disponibile a trattare con gli arabi, in cambio dell’aiuto

contro i turchi, fa delle promesse che gli arabi giudicano importanti per una loro futura indipendenza.

La Gran Bretagna comincia, a considerare il movimento sionista come un altro valido aiuto per risollevare le sorti

dell’Intesa. In questo senso, il ministro degli Esteri britannico Balfour emana, il 2 novembre 1917, un’omonima

dichiarazione in cui comunica al movimento sionista che: “Il Governo di Sua Maestà considera con favore lo stabilimento

in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, essendo chiaramente sottinteso che non debba essere fatto

nulla che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche esistenti in Palestina”. Tuttavia, la

Gran Bretagna non riuscirà a realizzare gli obiettivi della dichiarazione e la contraddizione insita al suo interno sarà

all’origine del conflitto più lungo che il mondo abbia conosciuto.

Con questa rassicurazione per il movimento sionista, la Gran Bretagna persegue anche un altro obiettivo, più strategico: il

controllo del “Medio Oriente”. Nel 1916, infatti, erano stati firmati da Parigi e Londra degli accordi, a guerra ancora in

corso, che definiscono le linee di divisione e le zone di influenza nel Medio Oriente. Nel 1922, viene concesso alla Gran

Bretagna il mandato sulla Palestina e alla Francia quello sul Libano e la Siria, mentre l’Egitto, indipendente dal 1922,

rimane sotto l’occupazione britannica.

Tutti i protagonisti della futura “questione palestinese” sono in scena: la Gran Bretagna, che vuole mantenere il controllo

su una regione strategica e ricca di petrolio; il movimento sionista, che dopo la “dichiarazione Balfour” organizza

che cominciano a mobilitarsi contro la dichiarazione Balfour; infine i

l’immigrazione in Palestina; gli arabi di Palestina,

Paesi Arabi, che (per lo più sotto influsso britannico) gradualmente verranno coinvolti nelle questioni palestinesi.

Nascita e sviluppo del sionismo

Il sionismo politico nasce nella seconda metà del XIX secolo, in risposta alla sempre più crescente “giudeofobia”. E’ uno

dei tanti movimenti nazionalisti che si sviluppano in quel periodo. Esso trae il suo nome da “Sion”, collina di

Gerusalemme e simbolo del ‘ritorno’ alla Terra promessa. Il suo progetto è quello di dare agli ebrei del mondo un centro

spirituale e successivamente statale. Nel 1881 viene organizzata la prima ondata di immigrazione moderna, la “alya”, la

‘salita’ verso la Palestina. Successivamente, entra in scena il sionismo politico che predica la creazione di uno stato

ebraico, in relazione al proliferare dei pogrom antiebraici nell’impero zarista, tra il 1881 e il 1884. Il primo Congresso

sionista si apre a Basilea nell’agosto 1897. La successiva ondata di pogrom nel 1903-906 e le nuove persecuzioni

alimentano la seconda “alya” e garantiscono nuova linfa vitale per il movimento sionista.

Riguardo la “questione ebraica”, il sionismo rappresenta, da molto tempo, solo una delle risposte possibili: infatti, in

Francia, la partecipazione attiva degli ebrei ai movimenti rivoluzionari transnazionali, soprattutto socialisti e comunisti,

può essere considerata un’altra delle risposte degli ebrei alle discriminazioni di cui sono oggetto.

Il sionismo, tuttavia, non è il solo movimento organizzato degli ebrei dell’Est. Nel 1897 viene fondato il Bund, l’Unione

generale degli operai ebrei di Lituania, Polonia e Russia; un movimento che scriverà la storia dell’Europa centrale, per il

suo ruolo nell’insurrezione del ghetto di Varsavia nel 1943, per poi essere annientato in Polonia dai nazisti e in Unione

Sovietica dai comunisti. La creazione dello stato di Israele segna la vittoria del movimento sionista, resa possibile

dall’antisemitismo hitleriano e dal genocidio. Molti intellettuali, ebrei e non, si sono, tuttavia, chiesti se ci si debba

rallegrare della vittoria di questo nazionalismo, concentrato su uno stato. Fra questi, il grande fisico e matematico Albert

Einstein, sionista, esprime le sue preoccupazioni: “Il modo in cui concepisco la natura essenziale del giudaismo resiste

all’idea di uno stato ebraico, con delle frontiere, un esercito e una certa misura di potere temporale. Ho paura dei danni

interni che questo porterà al giudaismo - e soprattutto dello sviluppo di un nazionalismo nelle nostre stesse file […] Un

ritorno ad una nazione, nel senso politico del termine, equivarrebbe a distogliere l’attenzione dallo spiritualismo della

nostra comunità. Il sionismo è, quindi, criticabile non solo come una qualunque ideologia nazionalista, ma anche perché

il suo esito – la creazione di uno stato ebraico – non è possibile se non con l’espropriazione dei palestinesi.”.

Insomma, a detta di molti, il sionismo in Palestina si è inserito appieno nell’avventura coloniale, principalmente sotto due

aspetti: il suo atteggiamento nei confronti delle popolazioni “autoctone” e la sua dipendenza da una madrepatria, la Gran

Bretagna. Infatti, per gli ebrei, né l’emigrazione, né l’acquisto di terreni, né la creazione di strutture statali sarebbero state

possibili senza l’appoggio completo dei britannici.

Inizialmente ebrei e arabi vivevano gli uni accanto agli altri nelle città della regione palestinese. Solo a Gerusalemme gli

ebrei costituivano la maggioranza sin dai primi anni del 1800. Il movimento sionista volle costruire una città interamente

ebraica. Fu scelto un luogo sulle dune di sabbia della costa

mediterranea, nei pressi del sovraffollato porto di Giaffa. Chiamarono

la città (che significa “Collina della Primavera”). Era il 1909.

Tel Aviv

La Palestina è davvero una terra senza popolo?

Da un punto di vista strettamente demografico, ci sono delle reali condizioni tali da giustificare una sempre più massiccia

immigrazione da parte del movimento sionista in Palestina? Stando alle statistiche dell’epoca, proprio no. Infatti, la terra

di Palestina è abitata in maggioranza da arabi: 600.000 musulmani, e 80.000 ebrei. I contadini, i cosiddetti fellah,

rappresentano quasi il 60% della popolazione attiva e più della metà delle terre appartengono ad una cerchia ristretta di

famiglie di proprietari terrieri, musulmane.

Nonostante la parentesi caratterizzata dalla dominazione ottomana, la regione è economicamente vivace; tuttavia, le città

restano di dimensioni modeste, se si eccettua Gerusalemme, che conta oltre 500.000 abitanti. In Palestina, l’opposizione al

progetto sionista si è manifestata già prima della guerra e si traduce col rifiuto e col comportamento spesso razzista verso

gli ebrei che venivano definiti “invasori” e “barbari”.

L’immigrazione ebraica si concretizza

Dopo la conquista, nel 1917, di Gerusalemme, si instaura a fianco dell’amministrazione britannica una amministrazione

indipendente sionista, denominata “Yishuv”, che muove i suoi primi passi verso lo stato. A seguito del “mandato” viene

creata un’Agenzia ebraica, che costituisce un governo parallelo a quello mandatario e si occupa di accelerare

l’immigrazione. Un’immigrazione che, sostanzialmente, vede come protagonisti gli ebrei provenienti da Russia ed Europa

centrale, in fuga dai pogrom, ma che tarda a decollare a causa delle difficoltà incontrate dal movimento sionista nel

mobilitare le masse ebraiche. Addirittura nel 1927, rispetto ai 155.000 ebrei insediatisi in Palestina, negli Stati Uniti se ne

contano ben quattro milioni, denotando una certa preferenza, da parte degli ebrei, per il Nuovo Mondo rispetto alla Terra

Santa.

Uno degli obiettivi fondamentali del movimento sionista è, inoltre, l’acquisto, tramite il Fondo nazionale ebraico, di

terreni in una regione dove, tuttavia, esistono già contadini autoctoni. I beni acquistati vengono venduti a singole persone

ma restano “proprietà inalienabile del popolo ebraico”; viene incoraggiato il lavoro esclusivamente ebraico mentre i

fellah sono sempre più emarginati; inoltre, si organizzano i famosi kibbutz (fattorie a gestione collettiva) a partire dal

1910. Nel 1920 i britannici autorizzano l’elezione di una sorta di parlamento col proprio esecutivo e il trasferimento del

centro decisionale del movimento sionista, all’Yishuv. Tutte queste istituzioni beneficiano del sostegno della Gran

Bretagna.

Riguardo alle elezioni, la corrente socialista guidata da David Ben Gurion risulta maggioritaria, mentre, nel 1925,

Jabotinsky crea una corrente d’opposizione revisionista nei confronti del mandato britannico. Ben Gurion, alla fine,

diventa nel 1935 primo presidente dell’Agenzia ebraica.

I palestinesi, di fronte alla riconosciuta istituzione dell’Yishuv, dispongono di un’unica carta a loro favore: il numero. Ma

anche quella, gradualmente, sarà vanificata dall’aumento dell’immigrazione ebraica. Inoltre, l’unità dei palestinesi nel

respingere il mandato e la promessa Balfour, viene intaccata dall’intervento dei britannici, che fomentano i dissapori fra le

grandi famiglie palestinesi: ciò comporta la disgregazione delle strutture unitarie palestinesi. Infatti, se da una parte le

organizzazioni palestinesi respingono l’instaurazione di un’Agenzia araba, nell’intimo convincimento che una tale

istituzione comporterebbe una legittimazione politica del diritto degli ebrei sulla Palestina, dall’altra non riescono ad

accordarsi su un orientamento comune. Le masse popolari palestinesi, invece, stanche e frustrate, reagiscono mettendo in

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