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La mia tesina verte sull'edonismo. L’uomo per natura, un po’ per egoismo e un po’ per istinto, è portato alla ricerca del proprio piacere e della propria soddisfazione. Il proverbio popolare “Bacco, tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere” si pone nella tradizione come un monito, volto a ricordare che la ricerca del piacere, se spregiudicata e senza controllo, può portare facilmente l’uomo alla rovina. Il piacere a cui si fa riferimento è il vino, o più in generale l’alcol, il fumo e la passione amorosa.Anche nella lingua latina si trova un modo di dire simile, citato dall’autore cristiano Minucio Felice, nella sua opera Octavius: "Venerem sine Libero et Cerere frigere" (Oct., XXI) che può essere tradotto: "senza Bacco e Cerere, si raffredda Venere", dove le tre divinità appunto stanno ad indicare rispettivamente il vino, il cibo e l'amore.
Già da questo proverbio latino, che possiamo definire un po’ volgare e grossolano, si può però dedurre che la triade divina simboleggia una parte essenziale delle gioie concesse all'uomo e che esiste una relazione tra queste tre fonti di godimento.
Le occasioni e le pratiche del piacere nel mondo antico sono state indagate a fondo, cosicché oggi sappiamo molto circa l'erotismo, il consumo del vino, che ben si integravano nelle pratiche simposiache, l'arte culinaria, la cura del corpo ed altri aspetti che caratterizzavano l’attaccamento degli antichi ai piaceri della vita.
Questa tesina di maturità, attraverso gli argomenti affrontati durante l’anno scolastico, propone un percorso che presenti quelli che, nel corso della Storia, a partire dal mondo greco, sono stati i movimenti, gli eventi, le vicende e le riflessioni riguardanti il tema dell’Edonismo in generale, in particolare in relazione alla figura divina di Dioniso.
Il termine Edonismo deriva dal greco hedonè (piacere) e indica ogni atteggiamento o dottrina che ponga il fine dell’agire umano nel piacere.
La prima formulazione nella filosofia occidentale viene attribuita ad Aristippo di Cirene, allievo di Socrate, secondo il quale il bene consiste nell’appagamento dei desideri: ogni piacere è buono, in particolare quello fisico, individuale e immediato, con il solo limite di rimanere padroni delle proprie azioni e di non esserne dominati
Per la filosofia ellenistica di Epicuro il bene consiste nel piacere e il male nel dolore: raggiungere il primo e fuggire il secondo è lo scopo della vita e la norma della felicità. Il piacere è quindi privazione del dolore; i piaceri migliori sono quelli duraturi e spirituali: vanno praticati con moderazione e scelti con sobrio giudizio per raggiungere lo stato di atarassia, l’assenza di turbamento, cioè la vera felicità.
Il cristianesimo considera l’edonismo una dottrina immorale che conduce al peccato e all’ateismo e ne condanna la pratica e la teoria, in quanto privilegia l’esperienza sensibile e immanente, la vita terrena, rispetto a quella spirituale e trascendente, la vita celeste. Dal punto di vista religioso, infatti, il bene è un valore morale fondato su una rivelazione divina: senso morale e raggiungimento del piacere sono ritenuti incompatibili. Il termine diviene così sinonimo di uno stile di vita improntato alla ricerca indistinta del piacere, all’egoismo e al cinismo, con particolare riferimento alla dimensione erotica.
La filosofia moderna si contrappone a quella medievale per la rivalutazione della vita mondana e della dimensione corporea: temi edonistici si ritrovano nella cultura rinascimentale e in tutte le teorie empiriste e materialiste, dall’Illuminismo francese all’utilitarismo anglosassone, fino al marxismo.
Nell’Ottocento e nel primo Novecento, la ricerca del piacere appartiene allo stile di vita degli aristocratici, basato sulla distinzione dalla massa e sull’esclusività dei comportamenti ed è particolarmente sviluppata nella sensibilità estetizzante romantica e decadente. Con Oscar Wilde il culto della bellezza e il “nuovo edonismo” sono un antidoto ai profondi cambiamenti sociali portati dall’industrializzazione ottocentesca e possono essere letti come risposta elitaria alla massificazione del sentire e del gusto.
Nel secondo Novecento la cultura dell’individualismo e della realizzazione personale ha enfatizzato l’edonismo negli stili di vita, nei costumi e nelle pratiche sociali. Da ciò deriva la diffusione di una nuova etica basata esclusivamente sull’acquisizione di beni che è la causa dell’indifferenza emotiva e dell’apatia morale che caratterizzano la società contemporanea rendendo problematico il mantenimento dei legami sociali.
Greco - Euripide, Baccanti.
Filosofia - Nietzsche, Apollineo e Dionisiaco.
Italiano - Gabriele D'annunzio.
Inglese - Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray.
Storia - Le conseguenze sociali della Rivoluzione Industriale.
Storia dell'Arte - Manet, L'Olympia, Venere moderna.
Latino - Petronio, Il Satyricon .
Geografia astronomica - Il pianeta Venere.
BACCO, TABACCO E VENERE
Camilla Ciccalè III B
attraverso l’Asia.
Nel primo episodio troviamo sulla scena l’indovino Tiresia e il vecchio
re Cadmo, nonno di Penteo, vestiti alla maniera delle baccanti, pronti a
rispondere al richiamo del dio che nel frattempo ha indotto alla follia
tutte le donne tebane, spingendole ad abbandonare le loro case e a
recarsi sul monte Citerone per celebrare i suoi riti.
Sopraggiunge poi Penteo che, allarmato dalle notizie che corrono
riguardo a ciò che sta avvenendo nella sua città, accorre per fermare ciò
che crede l’imbroglio di un ciarlatano e un inganno tessuto dalle donne
per soddisfare i propri piaceri. Rimane sgomento però alla vista di Cadmo
e Tiresia, per lui esempi di saggezza, trascinati anch’essi in questo folle
raggiro. Gli anziani lo invitano ad accogliere il dio ma, derisi, lasciano il re
al suo destino.
Segue poi il primo stasimo, con l’invocazione del coro alla Purezza che
contiene un’amara condanna all’empietà di Penteo e una esaltazione del
culto bacchico.
Nel secondo episodio le guardie mandate dal re tornano dopo aver
catturato lo straniero e riferiscono a Penteo che le donne da lui
imprigionate sono fuggite. Il re interroga lo straniero, ottenendo però solo
risposte vaghe ed ironiche che contribuiscono ad irritarlo ancora di più;
minaccia allora di rinchiuderlo nelle stalle del palazzo. Segue poi il
secondo stasimo in cui il coro lamenta l’ostilità che Tebe, città natale
del dio, nutre per Dioniso di cui rifiuta il culto. Il coro invoca allora su
Penteo l’aiuto del dio, perché possa avere pietà della sua ὕβρις.
Il terzo episodio ha inizio con la voce di Dioniso che proviene
dall’interno della reggia, accompagnata dai rumori provocati da un
terremoto. Esce di nuovo sulla scena lo straniero che racconta come si
sia liberato prendendosi gioco di Penteo con visioni allucinatorie. Esce poi
il re confuso e irato dopo aver udito delle azioni efferate che le baccanti
stanno compiendo sul Citerone. A questo punto diviene facile preda delle
suadenti parole dello straniero che lo invitano a recarsi personalmente
sul monte a controllare, vestito anche lui da baccante in modo da non
dare nell’occhio.
Nel terzo stasimo il coro esalta la vendetta divina che sta per
compiersi, lodando coloro che sanno godersi le gioie di ogni giorno e che
si pongono così al riparo dalle sofferenze. Penteo è ormai preda della
volontà e delle parole dello straniero e, seguendolo, si avvia
inconsapevole verso il suo tragico destino.
La conclusione della vicenda giunge all’orecchio del pubblico tramite il
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racconto di un messaggero che espone come si sia compiuta la vendetta
di Dioniso: Penteo, arrivato sul monte vestito da baccante, viene scorto
sulla cima di un albero e, scambiato per bestia feroce, viene trascinato
giù e fatto a pezzi dalle baccanti invasate e dalle mani della stessa
madre.
Nell’esodo entra in scena Agave che, orgogliosa, riporta in città la testa
mozzata del figlio, come si trattasse di un trofeo di caccia. Scende dal
Citerone anche Cadmo che, recando con sé le membra dilaniate del
nipote, cerca di far tornare in sé la figlia.
Rinsavita, Agave si rende consapevole della scelleratezza del suo gesto e
piange insieme al padre l’orribile sventura. La tragedia si conclude con il
lamento dell’infelice madre e con le parole di Dioniso che, dichiarata
giusta la morte di Penteo, annuncia che ad Agave, alle sorelle e a Cadmo
è riservato l’esilio. Si compie così la terribile vendetta del dio.
Nelle Baccanti Euripide offre un affresco vivido e suggestivo di quelli
che erano i rituali bacchici, i
quali furono oggetto di reazioni
diverse e contrastanti come ci
dimostrano le risposta degli
anziani Cadmo e Tiresia da una
parte e di Penteo dall’altra.
Dioniso è per eccellenza il
simbolo dell’ambiguità: da una
parte appare come dio giusto e
liberatore dall’altra come
vendicatore, oppresso ma
anche oppressore, vittima e
carnefice, dio della follia e dio
della saggezza.
La sua figura attrae e respinge
allo stesso tempo, incuriosisce e suscita disprezzo. E’ proprio da
questo aspetto di doppiezza che Penteo è attratto e sarà questo il
motivo della sua rovina.
Duplice è anche l’aspetto con cui si presentava il rituale bacchico:
da un lato vi erano infatti pratiche cruente, riconosciute come lecite
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dalla società greca, che prevedevano che gli iniziati si nutrissero
delle carni crude e palpitanti delle vittime sacrificali e da questo
punto di vista i baccanali possono suscitare disgusto per via della
loro forma selvaggia; dall’altro però essi sono accompagnati da
celebrazioni più civilizzate, legate alla figura di Dioniso così come ci
è stata tramandata dalla tradizione e come ci viene presentata dallo
stesso tiaso all’interno del primo stasimo: un dio amante della
serenità e della festa, di una vita semplice e moderata, i cui culti
permettono il contatto diretto e profondo tra uomo e natura.
Nella figura di Dioniso convivono dunque questi due aspetti
contrastanti ma anche complementari: Bacco non è solo il benefico
dio del vino, egli è l’incarnazione di una potenza arcana e
terrificante, di quelle forze naturali e primordiali che la civilizzazione
tenta continuamente di tenere a freno. Egli è il dio che libera in
primo luogo da se stessi, grazie al benefico influsso del vino che
contribuisce ad allentare i freni inibitori, ma soprattutto grazie al
suo rituale estatico ed orgiastico, il cui fine ultimo è la liberazione
dei fedeli dalla propria coscienza individuale e la loro mistica
fusione nell’identità collettiva del gruppo, in una regressione
catartica alla ricerca del contatto con il vitalismo del mondo
naturale e selvaggio. Proprio il superamento dei confini del proprio
io insieme all’identificazione spirituale con il dio è l’elemento
centrale dell’esperienza dionisiaca nella quale si verificava un
fenomeno di straniamento, di invasamento e, non da ultimo, di
rovesciamento.
Durante i baccanali infatti avviene una sospensione delle condizioni
normali di esistenza, tutto o quasi diviene possibile e, in particolare,
ciò che di solito non lo è: così le donne possono non solo uscire di
casa ma addirittura abbandonare il tetto paterno o coniugale e le
occupazioni domestiche per soggiornare sui monti al servizio del
dio; i vecchi ritrovano le forze perdute, perché il dio infonde loro
nuova giovinezza. Non vi sono più distinzioni di censo, di età o di
condizione sociale, vengono annullate le usuali barriere e distanze,
quelle sociali, quelle politiche, quelle tra uomo e natura, ma anche
quelle tra mondo mortale e mondo divino. Seppur per breve tempo,
all’uomo è concesso di assaporare la beatitudine divina, in un
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superamento mistico della propria condizione di mortale, in un
connubio di danze, musica, pratiche orgiastiche e vino, un
terreno.
godimento concreto, immediato e
Euripide delinea un panorama interessante di una civiltà in lotta con
se stessa, la crisi di un mondo in cui il modello di vita armonico e
razionale non risulta più capace di far fronte all’inquietante
diffusione di culti alternativi, apparentemente destinati a rispondere
ad esigenze basilari e profonde degli individui e della società, ma in
realtà portatori di valenze distruttive e inconciliabili con la vita
cittadina, almeno nelle forme elaborate da quella stessa società di
cui anch’essi sono il prodotto.
ὃς τάδ᾽ ἔχει, E il dio ci offre questi doni:
θιασεύειν τε χοροῖς guidare i tiasi ai cori,
μετά τ᾽ αὐλοῦ γελάσαι ridere con il flauto,
380 troncare gli affanni,
ἀποπαῦσαί τε μερίμνας, quando lo splendore dei
ὁπόταν βότρυος ἔλθῃ grappoli
γάνος ἐν δαιτὶ θεῶν, κισ- entra nei conviti divini
σοφόροις δ᾽ ἐν θαλίαις ἀν-
δράσι κρατὴρ ὕπνον ἀμ- e versa il suo velo di sonno
φιβάλλῃ. sulle tavole d’edera
385b incoronate.
Baccanti,
(Euripide, vv. 378-385b)
ὁ δαίμων ὁ Διὸς παῖς ἴσαν δ᾽ ἔς τε τὸν ὄλβιον
χαίρει μὲν θαλίαισιν, τόν τε χείρονα δῶκ᾽ ἔχειν
φιλεῖ δ᾽ ὀλβοδότειραν Εᾇ- οἴνου τέρψιν ἄλυπον·
ρήναν, κουροτρόφον θεάν. μισεῖ δ᾽ ᾧ μὴ ταῦτα μέλει,
420
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BACCO, TABACCO E VENERE
Camilla Ciccalè III B
κατὰ φάος νύκτας τε φίλας il piacere del vino senza
425 affanni.
εὐαίωνα διαζῆν, E odia chi non si cura
σοφὰν δ᾽ ἀπέχειν πραπίδα φρένα τε di passare felice il tempo della
περισσῶν παρὰ φωτῶν· vita
alla luce del giorno e nelle notti
amiche,
Il dio, figlio di Zeus, e chi non sa tenere, con
saggezza, mente
s’allieta delle gioie dei conviti, e cuore lontano da uomini
ama la Pace, dea che dona superbi.
ricchezza
e nutre i figli. Baccanti,
(Euripide, vv. 417-
In parti eguali dispensa 432)
al ricco e al povero
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NIETZSCHE - Apollineo e dionisiaco
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE (1844-1900)
– Biografia
Figlio di un pastore protestante, Friedrich Wilhelm Nietzsche
nacque a Röcke nel 1844. Studiò all'università di Bonn e di
Lipsia. Giovanissimo, vinse la cattedra di filologia classica
all'università di Basilea. In questa città Nietzsche ebbe modo
di frequentare Richard e Cosima Wagner con i quali strinse un
rapporto di intenso scambio culturale ed affettivo, rotto più
tardi nel momento in cui Nietzsche percepì in Wagner le componenti decadenti
e antisemite.
Nel 1879 per problemi di salute fu costretto a lasciare l'insegnamento e
trascorse circa un decennio peregrinando in diversi paesi europei, dedicandosi
a un'intensa attività di studio e di scrittura, mentre la sua malattia (era affetto
da sifilide) si aggravava fino a culminare nella pazzia. Morì a Weimar nel 1900.
Apollineo e Dionisiaco
La nascita della tragedia,
Nella sua opera, Nietzsche critica
fortemente la tendenza neoclassicista che guarda la cultura greca
come un modello di equilibrio, armonia e bellezza, che, a suo
avviso, si limita solo ad una fase della storia greca e soltanto ad
alcuni aspetti, quali l’architettura e la scultura. Nietzsche offre allora
una suggestiva reinterpretazione della civiltà greca, riconoscendo in
essa due principi contrastanti e complementari: l’apollineo e il
dionisiaco.
Essi sono istinti naturali che i greci hanno incarnato nelle figure
divine di Apollo e Dioniso. Sebbene si tratti in entrambi i casi di
impulsi, essi non sono ugualmente originari, infatti il principio
apollineo nasce come reazione e difesa di fronte al dionisiaco.
Secondo Nietzsche l’apollineo è espressione della serena armonia,
della proporzione equilibrata, è il dominio cosciente che l’uomo ha
della materia e che realizza grazie all’ordine delle forme. Il
dionisiaco invece è simbolo dell’ebbrezza orgiastica, della forza
creativa, espressione dell’adesione entusiastica all’essenza della
realtà; è irrazionalità, ma allo stesso tempo dolore, è la sofferenza
che nasce nell’uomo nel momento in cui vacilla la sua confidenza
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BACCO, TABACCO E VENERE
Camilla Ciccalè III B
con il mondo delle certezze conoscitive e delle forme compiute.
Dioniso però compensa questo stato di dolore con l’ebbrezza e la
gioiosa vertigine che si generano nell’uomo quando il fondamento
del suo conoscere e la coscienza
individuale gli si rivelano illusori.
L’impulso dionisiaco mostra una realtà più
profonda che riesce a trovare espressione e
far raggiungere uno stato di estasi e di
catarsi tramite l’uso di bevande narcotiche
o condizioni naturali, come l’avvicinarsi
della primavera. Tutti questi elementi sono