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Sintesi

Percorso che parte dalla definizione di ecositema, procede attraverso le reazioni echimiche e le relazioni biologiche che hanno luogo nell'ecosistema; breve presentazione dell'acquario come esempio di ecosistema; progetto della Nasa di portare la vita su Marte. Le biosfere.

Estratto del documento

questo caso l'animale non è in grado di sintetizzarle a partire dai singoli

elementi chimici e deve nuovamente cibarsi della pianta,se è un consumatore

primario, o di altri animali, se è un consumatore secondario.

1.2.3. I batteri

Presto o tardi il ciclo vitale di tutti i singoli esseri viventi è destinato a

concludersi e quando un animale o una pianta muoiono entrano in gioco i batteri

o meglio i decompositori. I decompositori sono organismi eterotrofi, per la

maggior parte batteri e funghi, che decompongono le materie complesse di

organismi morti, assorbono alcuni dei prodotti decomposti per i loro

fabbisogni, e liberano materie nutritive inorganiche utilizzabili dai produttori.

La funzione primaria della composizione è la mineralizzazione dei residui

organici e la produzione di sostanze nutritive per le piante. Se volessimo

potremmo dividere la decomposizione in tre stadi:

-il primo è la produzione di detrito particolato per azione fisica e biologica;

-il secondo stadio è la produzione relativamente rapida di humus e la

liberazione di sostanze organiche solubili ad opera dei decompositori (batteri

e funghi);

-il terzo è la lenta mineralizzazione dell'humus.

La decomposizione è una forma vitale perché, se non si verificasse, tutte le

sostanze nutritive rimarrebbero imprigionate negli organismi morti e non si

potrebbe più avere alcuna forma di vita.

1.3. Quando l'ecosistema diventa autosufficiente

Per definizione un ecosistema è considerato autosufficiente nel momento in

cui si verifica una situazione di equilibrio, equilibrio tra produttori e

consumatori, tra consumatori primari e consumatori di altri gradi e tra la

velocità del processo di produzione di sostanze organiche e la velocità di

decomposizione. Generalizzando si deve verificare una situazione nella quale il

ciclo, o meglio i cicli delle sostanze chimiche essenziali per gli esseri viventi

(carbonio, azoto, ossigeno e fosforo) siano in equilibrio. Per fare un esempio,

se in un dato sistema abbiamo una quantità totale di fosforo è necessario che

la velocità con cui le piante lo estraggono dal terreno sia la stessa con cui il

8

fosforo compie tutto il suo ciclo passando attraverso i consumatori primari,

secondari e così via fino a essere nuovamente reintrodotto nel terreno

attraverso la decomposizione.

Fino a qui potrebbe sembrare che valutare se un ecosistema sia in condizione

di equilibrio o meno sia facile, ma il problema non è quasi mai di per sé

controllare che i vari cicli siano in una condizione di equilibrio ma definire

quale sia la zona chiusa da considerare l'ecosistema in questione nella quale

questi cicli hanno luogo.

Le cose sono intuitivamente semplici come nel caso di uno stagno o di un lago,

che hanno caratteristiche fisiche così drasticamente diverse da ciò che li

circonda da implicare una flora ed una fauna anch'esse del tutto diverse.

In molti casi l'individuazione di un ecosistema non può essere affidata

all'intuizione, che o non è in grado di distinguere differenze significative tra

una zona e un'altra o è portata a sopravvalutare differenze puramente

superficiali. Come delimitare, ad esempio, una baia che costituisca una unità

organica? A differenza del lago non ci sono frontiere ben definite,

caratterizzate da una discontinuità delle proprietà fisiche. La tipica reazione

a queste difficoltà è quella di allargare enormemente la regione da

considerare come ecosistema (il mare invece della baia), col risultato che quasi

tutti gli ecosistemi sarebbero così complessi da rendere il loro studio

praticamente impossibile. Perciò il concetto di ecosistema sarebbe in molti

casi una scatola vuota e non sarebbe molto utile.

Una soluzione vera e propria alla questione non esiste perché ogni ecosistema

è in interazione costante con gli ecosistemi adiacenti e esistono infiniti criteri

tutti egualmente validi per definire l'area di un ecosistema. Una parziale

soluzione la si trova se si considera come ecosistema una porzione di

territorio in relazione alla caratteristica o alle caratteristiche più rilevanti

nell'ambito del nostro studio. 9

1.4. Basi di chimica organica

La chimica organica si occupa delle caratteristiche chimiche e fisiche delle

molecole organiche. Si definiscono convenzionalmente composti organici i

composti del carbonio con eccezione degli ossidi, dell'acido carbonico e dei

suoi sali.

L'aggettivo "organica" fu inizialmente legato al fatto che questa branca della

chimica studiava composti più o meno complessi estratti da organismi viventi,

vegetali o animali. Tale definizione fu abbandonata a favore di quella sopra

citata in seguito alla sintesi in laboratorio dell'urea e di altre semplici

molecole, ove si dimostrò che le sostanze prodotte in laboratorio a partire da

composti inorganici erano in tutto identiche a quelle aventi la medesima

struttura isolate da organismi viventi.

In questo paragrafo saranno analizzate le principali reazioni chimiche che

avvengono negli esseri viventi e che hanno appunto come protagonista il

carbonio e altri elementi chimici come l'idrogeno, l'ossigeno, l'azoto, il

fosforo, lo zolfo, il boro e gli alogeni fluoro, cloro, bromo e iodio.

Per iniziare cerchiamo di capire perché il carbonio riveste un ruolo così

importante e quali siano le sue caratteristiche.

L'atomo di carbonio è composto da sei protoni e

sei neutroni nel nucleo e da sei elettroni sui suoi

orbitali ma la cosa più importante è che

nell’orbitale più esterno, il carbonio ha quattro

elettroni che può facilmente mettere in

compartecipazione per formare un numero

massimo di quattro legami. La proprietà più

singolare dell’atomo di carbonio è comunque la

capacità di condividere coppie di elettroni con

Atomo di carbonio altri atomi di carbonio, dando luogo alla

formazione di legami omopolari carbonio-carbonio. Questo comportamento

unico è alla base della chimica organica in quanto permette la formazione di

svariate strutture carbonio-carbonio lineari, ramificate, cicliche e a gabbia,

completate eventualmente da idrogeno, ossigeno, azoto e altri elementi capaci

di formare legami covalenti. 10

Per conoscere le caratteristiche di tutti i composti organici del carbonio non è

sufficiente far ricorso alla formula chimica in quanto essa ci indica solo il

numero di atomi di ciascun elemento contenuti nella molecola. Ad esempio, il

fruttosio, di formula C6H12O6, è una molecola formata da 6 atomi di

carbonio, 12 di idrogeno e 6 di ossigeno.

In chimica organica esistono numerosi composti che, pur avendo uguale

formula molecolare, sono caratterizzati da una diversa distribuzione dei

legami e sono di conseguenza notevolmente differenti in quanto a proprietà

chimiche, fisiche e biologiche. Tali composti, con uguale formula molecolare,

ma diversa struttura, sono detti isomeri. All’aumentare del numero di atomi di

carbonio aumenta il numero possibile di isomeri. Ad esempio, la formula C8H18

ha 18 isomeri, mentre la formula C20H42 ne ha addirittura 366.319. Per

risolvere questo problema nel 1890 l’Unione internazionale di chimica pura e

applicata (IUPAC, International Union of Pure and Applied Chemistry) si

accordò sulla adozione di un sistema di nomenclatura, valido per tutti i

composti, compresi quelli di più recente scoperta che fu appunto chiamata

nomenclatura IUPAC.

1.4.1 Le reazioni chimiche nelle piante -fotosintesi

Fino ad ora abbiamo detto che le piante sono in grado utilizzare e intrappolare

l'energia solare in molecole energetiche chiamate carboidrati attraverso un

lungo processo chiamato fotosintesi clorofilliana.

Per comprendere a fondo il funzionamento della fotosintesi bisogna prima

definire cosa sia e come si comporti la luce per interagire con le piante o

meglio con la loro clorofilla. La radiazione luminosa visibile, che è

quella che interessa a noi, si definisce

come un'onda di lunghezza λ compresa

tra 400 e 750 nanometri circa. La

luce che noi tutti vediamo e che ci

pare essere bianca, è in realtà il

risultato di tante lunghezze d'onda

Luce visibile diverse messe assieme. Ogni

11

lunghezza d'onda infatti corrisponde a un colore visibile e questi colori vanno

dal rosso delle onde a grande lunghezza d'onda e bassa energia al blu delle

onde a breve lunghezza e alta energia.

Il nostro occhio è in grado di percepire le varie lunghezze d'onda e quindi i

diversi colori. Se noi osserviamo un oggetto illuminato da una luce naturale e

questo è in grado i riflettere tutte le diverse lunghezze d'onda noi lo vediamo

bianco, se invece l'oggetto in questione assorbe tutte le lunghezze d'onda

tranne una, quella per esempio del verde, noi lo vediamo verde. Esiste il caso in

cui vengano riflesse più di una lunghezza d'onda e allora noi vediamo l'oggetto

del colore risultante dai colori riflessi.

Nelle piante sono contenuti dei pigmenti che assorbono determinate lunghezze

d'onda della luce per fornire l'energia necessaria alla sussistenza della pianta.

I pigmenti principali presenti nelle piante sono: le clorofille (di colore verde), i

carotenoidi ( di colore giallo-arancio) e i pigmenti dei fiori che si trovano di

tutti i colori. Le clorofille, o meglio la clorofilla a è

il pigmento più importante per la

nostra analisi in quanto è

fondamentale per la fotosintesi.

Questo particolare pigmento assorbe

tutte le lunghezze d'onda tranne

quella relativa al verde. Gli altri

pigmenti (tra cui la clorofilla b e i

carotenoidi) assorbono diverse

lunghezze d'onda e sembra siano in

grado di trasmettere parte della loro

energia alla clorofilla a per rendere

più efficiente la fotosintesi. Per fare

ciò questi pigmenti assorbono la

radiazione luminosa e gli elettroni, all'interno delle loro molecole, vengono

spinti a livelli di energia superiori; nella maggior parte dei casi, gli elettroni

ridiscendono quasi immediatamente ai loro livelli energetici di partenza e

l'energia liberata può essere assorbita da una molecola vicina di clorofilla a, i

12

cui elettroni vengono spinti a livelli di energia più alti.

Prima di analizzare nello specifico le

varie reazioni chimiche che portano

alla produzione delle “molecole

energetiche” c'è ancora da dire che la

clorofilla è contenuta, assieme ad

altri pigmenti, in membrane

specializzate chiamate tilacoidi i quali

hanno, in genere, la forma di piccoli

sacchetti appiattiti e che sono a loro

volta contenuti in speciali organuli

detti cloroplasti.

Pile di tilacoidi al microscopio

Ogni cellula di una foglia contiene

migliaia di cloroplasti ed è possibile

arrivare a contarne fino a 500000 per

millimetro quadrato. I cloroplasti,

come i mitocondri, sono delimitati da

due membrane. Intorno ai tilacoidi,

all'interno del cloroplasto, c'è una

soluzione densa, lo strema, che ha una Cloroplasto al microscopio

composizione diversa dal citosol.

La fotosintesi può essere divisa in due stadi differenti, uno che comprende le

reazioni direttamente dipendenti dalla luce e uno di reazioni luce-indipendenti.

Le reazioni luce-dipendenti hanno origine in sofisticati sistemi contenuti nei

tilacoidi e composti da pigmenti recettori detti pigmenti antenna e da

molecole recettive di clorofilla a. Questi sistemi sono chiamati fotosistemi e

in un solo tilacoide se ne possono trovare fino a 400. Esistono due tipi di

fotosistemi che si differenziano per il tipo di clorofilla a che funge da

molecola reattiva: nel fotosistema II è la clorofilla P680 dove P sta per

pigmento e 680 è la lunghezza d'onda in nanometri della luce assorbita da

questa molecola, mentre nel fotosistema I la molecola di clorofilla in questione

è la P700. 13

Tutto comincia quando, nel fotosistema II, la clorofilla assorbe la radiazione

luminosa, i suoi elettroni salgono a livelli energetici superiori e vengono infine

catturati da un accettore primario di elettroni che impedisce loro di tornare

ai livelli energetici normali. Gli elettroni vengono poi fatti scendere lungo una

catena di trasporto che li conduce fino al fotosistema I. Nella loro discesa gli

elettroni liberano energia che viene utilizzata per pompare dei protoni

presenti liberi nello stroma all'interno del tilacoide. La molecola reattiva di

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