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Sintesi
Italiano: Pirandello

Filosofia: Nietzsche

Inglese: Joyce
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scolastic La crisi delle certezze

o

2012 Anno

2011- ITALIANO

Luigi Pirandello

Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete

«

saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso. »

[Luigi Pirandello]

LA VITA :

Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nei pressi di Girgenti (Agrigento); il

padre Stefano, ex-garibaldino, amministra e dirige miniere di zolfo; la madre

Caterina viene da famiglia di tradizioni antiborboniche. Giovanissimo, comincia

già a scrivere tragedie e poesie. Con la famiglia, per un dissesto finanziario, si

trasferisce a Palermo, dove continua gli studi liceali e, terminati, torna nel 1886

a Girgenti per aiutare il padre nella conduzione delle zolfare. Dopo aver tentato

invano di lavorare nell’amministrazione

di famiglia, si iscrive all’Università di Palermo in Lettere, per poi passare a quella di Roma, che frequenta per due anni.

Nel 1889 per un contrasto insorto con un professore, continua gli studi a Bonn, dove si laurea nel 1891 in filologia

romanza. Rientrato in Italia, si stabilisce a Roma e sposa, con un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie e

senza che i due neanche si conoscano, Maria Antonietta Portulano, da cui avrà tre figli, e conobbe intellettuali tra

cui Capuana, che lo incoraggiò nel suo mestiere di scrittore. La sua vita è sconvolta da un disastroso rovescio familiare

e dalla malattia mentale della moglie, che, già sofferente di ricorrenti stati depressivi, è colpita da una gravissima crisi

di nervi per la declassazione dovuta all’allagamento delle miniere di zolfo. Così è costretto a cercarsi nuove fonti di

guadagno dando lezioni private, traducendo testi tedeschi e intensificando la propria produzione letteraria: nel 1904

esce “Il fu Mattia Pascal” a puntate sulla Nuova Antologia. Durante la prima guerra mondiale, il figlio Stefano, è fatto

prigioniero per alcuni mesi dagli Austriaci e il padre si adopera invano per ottenerne la liberazione. E’ questo un

periodo decisivo per la sua attività di drammaturgo teatrale: in poco tempo Pirandello conquista la solida fama come

autore teatrale. La sua vita subisce un altro cambiamento, dal momento che egli intraprende continui viaggi in Europa e

in America per seguire all’estero le sue commedie, messe in scena a Parigi, Atene, Londra, New York. Sistema dal

punto di vista editoriale la sua produzione: raccoglie le novelle sotto il titolo Novelle per un anno e scrive il

romanzo Uno, nessuno e centomila. Iscritto al partito fascista dal 1924, ottiene da Mussolini i finanziamenti necessari

per assumere la direzione della compagnia del Teatro d’Arte di Roma, che aveva come attrice principale la giovane

Marta Abba, con la quale Pirandello inizia una profonda relazione e che lascia erede dei diritti delle sue ultime opere.

Viene nominato Accademico d’Italia e nel 1934 è insignito a Stoccolma del Premio Nobel per la letteratura per

l’innovazione nel teatro. Muore per una polmonite, a Roma il 10 dicembre 1936, mentre lavora alla riduzione

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cinematografica del romanzo “Il fu Mattia Pascal”.

:

LA VISIONE DEL MONDO

I testi narrativi e drammatici di Pirandello presentano delle tematiche che sono molto innovative e che si distaccano

dalle credenze comuni. In primo luogo alla base del mondo pirandelliano vi è una concezione vitalistica del mondo,

che vede la realtà non più come una entità definita e statica ma come un continuo fluire di eventi, come un eterno

divenire. Tutto ciò che si stacca da questo fluire prende una forma ben definita e comincia a irrigidirsi e comincia pian

piano a morire. Così avviene anche per l’identità di ogni uomo.

Infatti noi non siamo altro che una parte indistinta di questo perpetuo scorrere della vita ma tendiamo a cristallizzarci

in forme individuali, a fissarci in realtà che noi stessi ci formiamo, in personalità statiche e coerenti. In verità però

questa realtà in cui ci racchiudiamo non è altro che un illusione che proviene dalla nostra visione soggettiva del mondo

che ci impedisce di assaporare a pieno la vita lasciandone una parte nel buio. Non solo noi però ci fissiamo delle

forme, ma anche ognuno degli altri individui che incontriamo per strada, che conosciamo, che sono nostri amici, a loro

volta ci danno delle forme anche molto diverse da quella fissata da noi stessi, dandoci delle sfaccettature differenti a

seconda di chi ci osserva. Sotto queste forme però non rimane altro che un volto indefinito, in continuo movimento,

dunque non rimane nulla di fermo ma tutto è un continuo cambiamento di stati, per cui un istante dopo non siamo più

quello che eravamo prima. Il reale è multiforme, polivalente, non possiede una prospettiva privilegiata da cui

osservarlo; al contrario, le prospettive possibili sono infinite. Caratteristico è dunque il radicale relativismo

conoscitivo di Pirandello, in cui non si da’ una realtà o un identità fissata a priori. Ognuno ha la sua verità, che nasce

dal suo modo soggettivo di osservare le cose. Ne consegue una evidente difficoltà di comunicazione fra gli uomini, i

quali non possono intendersi perché ognuno fa riferimento alla realtà con il suo punto di vista differente da quello

altrui. Questa incomunicabilità accresce il senso di solitudine dell’individuo che capisce di non essere rilevante e di

non rappresentare nulla. La realtà, quindi, non è più una totalità organica, ma si sfalda in una pluralità di frammenti che

non hanno un senso complessivo. Il particolare non si nota essendo semplicemente una particella isolata per l’assenza

di un Tutto. Non resta dunque che prendere atto di questa incoerenza del senso del reale. Questa apertura porta

Pirandello in un clima tipicamente novecentesco. Così avviene per il soggetto. Il Romanticismo, come

successivamente il Decadentismo, poneva l’io al centro del mondo identificando il soggetto con il mondo stesso.

Per Pirandello questo è impossibile, perché il soggetto si annulla in un insieme di stati incoerenti e da entità assoluta

diviene sostanzialmente “nessuno”. Lo scrittore, influenzato anche dalla psicologia di Binet sulle alterazioni della

personalità, il quale era convinto che nell’uomo coesistessero più persone, condusse dunque una critica forte al

concetto di “identità” a cui era legata la tradizione filosofica precedente. Senza punti di riferimento l’io si frantuma,

si disgrega, perde la sua consistenza, si sfalda naufragando nella perdita di ogni certezza.

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LA POETICA:

Da questo visione complessiva del mondo scaturisce la concezione dell’arte e la poetica di Pirandello enunciate nel

1908 dal suo saggio “L’umorismo”.

L’umorismo pirandelliano è l’espressione del pensiero e della cultura del relativismo filosofico il quale presuppone sia

la messa in discussione del positivismo, sia delle ideologie romantiche. Del positivismo Pirandello rifiuta il criterio

della verità oggettiva, garantita dalla scienza; del Romanticismo l’idea della verità soggettiva e della centralità del

soggetto. Entrano in crisi tanto soggettività quanto la oggettività, ed è il concetto stesso di verità che viene posto

radicalmente in questione. Ne deriva un assoluto relativismo che sul piano artistico trova elaborazione nella poetica

pirandelliana dell’umorismo.

La dicotomia comicità/umorismo è alla base del pensiero pirandelliano, non per nulla lo scrittore siciliano dedicò a

tale argomento vari saggi teorici, tra i quali appunto L'umorismo. In questo saggio Pirandello dà queste definizioni: la

comicità è l'avvertimento del contrario, l'umorismo, invece, è il sentimento del contrario, e per illustrarle ricorre,

tra l'altro, ad un esempio di questo genere: supponiamo di vedere una donna anziana, truccata e vestita in modo

appariscente. La nostra prima reazione sarà una gustosa risata, in questo consiste la comicità, una sorpresa che ci coglie

del tutto impreparati. Ma se riflettiamo sui motivi psicologici di tale comportamento, se pensiamo che la donna anziana

si atteggia in tal modo perché tenta di allontanare da sé lo spettro della vecchiaia e della morte, non ridiamo più ma,

grazie al sentimento del contrario, individuiamo nella sorte di lei la nostra, comune a tutta l'umanità. Quindi possiamo

definire la comicità superficiale e l'umorismo approfondito e riflesso.

Tutta la migliore produzione di Pirandello si muove all'insegna dell'umorismo con due tendenze costanti e congiunte:

per un verso quella di aggredire tutte le false certezze, smascherare i luoghi comuni, gli atteggiamenti fossilizzati

dall'abitudine, dall’altro una posizione di larga comprensione e benevolenza.

L’umorismo quindi va oltre i generi del comico e del tragico: li supera poiché con la riflessione smaschera gli inganni

che si celano dietro le apparenze e svela le contraddizioni e la disarmonia dell’esistenza.

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IL FU MATTIA PASCAL

Il fu Mattia Pascal è un celebre romanzo di Luigi Pirandello che apparve dapprima a puntate

sulla rivista “Nuova Antologia” nel 1904 e pubblicato, nello stesso anno, in volume. Fu il primo

grande successo di Pirandello, scritto in un momento difficile della sua vita.

I capitoli XII e XIII :

Nel Capitolo XII si descrive quanto succederebbe in seguito ad uno strappo nel cielo di carta di

un teatrino: l’eroe tradizionale, Oreste, che crede in valori assoluti, che sa distinguere nettamente

il bene dal male ed è perciò pronto ad uccidere per fare giustizia, si distrarrebbe di fronte all’imprevisto, all’”oltre” che

gli si spalanca davanti: improvvisamente cesserebbe di vivere e comincerebbe a “guardarsi vivere” trasformandosi in

una sorta di moderno Amleto e divenendo di fatto un’antieroe, un inetto incapace d’azione. Lo strappo nel cielo di

carta rappresenta il nostro comprendere di non essere al centro dell’universo, e la consapevolezza della propria

piccolezza insignificante nell’economia della storia e dell’universo. Se il cielo si strappasse, all’uomo alimentato da

grandi valori, si sostituirebbe l’uomo contemporaneo pensoso, diviso, contraddittorio ed incapace di decisioni e azioni.

Un’altra parte che l’autore riprenderà quasi integralmente nel suo saggio l’Umorismo, è parte del testo del capitolo

XIII sulla teoria del lanternino: Anselmo Paleari espone la seguente teoria ad Adriano, quando questi deve stare per

un certo periodo al buio a seguito dell’operazione ad un occhio (fatta per “raddrizzare” lo strabismo e nello stesso

tempo cambiare i connotati di Mattia). Paleari sostiene che a differenza degli altri elementi naturali (alberi, animali),

noi ci sentiamo vivere, ci sentiamo cioè distinti dalla realtà che ci circonda; tale realtà è per noi come un grande buio,

rispetto al quale noi siamo come un lanternino che illumina una piccola sfera circostante; la luce è la nostra visione

della realtà, determinata dalle idee dominanti nelle diverse epoche, è il modo di illuminare il buio: più forti sono le

certezze, più grande è la luce; oggi ci sono luci piccole e allo sbando (mancano fedi, ideali, certezze).

A complicare le cose va aggiunto che gli stessi lanternini delle coscienze individuali cessano di illuminare il cammino

nei momenti di trapasso e di crisi: infatti essi perdono la luce dei lanternoni, cioè delle grandi ideologie collettive che

sono storicamente determinate. Quando questi lanternoni cessano di fare luce a causa dello sviluppo storico che rende

improponibili i valori del passato, anche i lanternini si spengono.

FILOSOFIA

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2011- Nietzsche

Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! »

« [Friedrich Wilhelm Nietzsche]

LA VITA:

Nacque nel 1844 a Röcken, in Germania, figlio del pastore Karl Ludwig e di Franziska Oehler, anch’essa figlia di un

pastore. Rimasto orfano del padre in tenera età, crebbe affidato alle cure della madre, donna di solide qualità morali

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