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Potestne igitur earum rerum, quae nihil habent rationis, quare futurae sint, esse ulla praesensio? Quid est enim aliud fors, quid fortuna, quid casus, quid eventus, nisi cum sic aliquid cecidit, sic evenit, ut vel aliter cadere atque evenire potuerit? Quo modo ergo id, quod temere fit caeco casu et volubilitate fortunae, praesentiri et praedici potest? Medicus morbum ingravescentem ratione providet, insidias imperator, tempestates gubernator; et tamen ii ipsi saepe falluntur, qui nihil sine certa ratione opinantur; ut agricola, cum florem oleae videt, bacam quoque se visurum putat, non sine ratione ille quidem; sed non numquam tamen fallitur.

Quodsi falluntur ii, qui nihil sine aliqua probabili coniectura ac ratione dicunt, quid existimandum est de coniectura eorum, qui extis aut avibus aut ostentis aut oraclis aut somniis futura praesentiunt?

Può dunque esservi una previsione di quegli eventi riguardo ai quali non c'è nessuna ragione per cui debbano accadere? Che altro è, in realtà, la sorte, la fortuna, il caso, l'accadimento, se non il capitare, l'accadere di qualcosa che avrebbe anche potuto capitare e accadere altrimenti? Ma in che modo, dunque, si può presentire e predire quel che avviene alla ventura, per cieco caso e per volubilità della sorte?
Il medico prevede l'aggravarsi di una malattia seguendo il filo di un ragionamento; e allo stesso modo il comandante prevede un agguato, il navigatore le tempeste; eppure anch'essi, non di rado, si sbagliano, pur non formandosi alcuna opinione senza una ragione ben precisa; così come il contadino, quando vede un olivo in fiore, ritiene che vedrà anche i frutti, non senza ragione; e tuttavia qualche volta si sbaglia. E se si sbagliano coloro che nulla dicono senza aver fatto qualche ipotesi e qualche ragionamento probabile, che cosa dobbiamo pensare delle profezie di quelli che predicono il futuro in base alle viscere, agli uccelli, ai prodigi, agli oracoli, ai sogni? [trad. V. Todisco]