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Sintesi

Collegamenti Percorso Videogiochi



Biologia - L'evoluzionismo darwiniano (Pokemon).
Inglese - Il flusso di coscienza (The stanley parable).
Filosofia - Kierkegaard e l'angoscia (The path).
Italiano - Il superuomo dannunziano (Far cry 3).
Fisica - Il motore fisico (Havok).
Storia dell'arte - Dadaismo e ready-made (Garry's mod).
Storia - La breccia di Porta Pia (Gioventù ribelle).
Estratto del documento

Videogiochi: non solo intrattenimento

Troppo spesso i videogiochi vengono visti dalle persone come un qualcosa che distrae i ragazzi

dalle cose più importanti, come lo studio, gli amici o delle semplici attività all’aria aperta,

segregandoli davanti ad un televisore a rovinarsi la vista ecc., tuttavia è anche vero che esistono

potenziali reazioni positive agli stimoli videoludici, consentendo ad esempio un’elaborazione più

veloce dei dati visivi e uditivi, o la capacità di memorizzazione. In ogni caso i videogiochi sono

comunque un prodotto umano, nato dal lavoro di sviluppatori con idee, creatività e pensieri che

hanno saputo manifestare sotto forma di questa arte, al pari di un dipinto o di un libro. Per cui dietro

questa lavorazione c’è innanzitutto un’idea di base che avrà, nel corso del tempo, “un’evoluzione”

ed è questo il termine chiave nel mondo Pokemon.

Nel 1995 Satoshi Tajiri ebbe l’idea di sviluppare un videogioco basato sulla sua passione per la

caccia agli insetti; da qui poi si ampliò introducendo il concetto di “evoluzione” differente però

dalla canonica idea di evoluzione darwiniana: per Darwin l’evoluzione è basata sulla selezione

naturale, ove un individuo con caratteristiche particolarmente favorevoli ad un determinato

ambiente (quello in cui vive) è in grado di sopravvivere e di generare prole. Questo iniziale gruppo

di individui condivide lo stesso pool genico, ovvero l’insieme degli alleli dei geni che definisce le

loro caratteristiche. Grazie a quest’ultimo, o meglio alle modifiche che esso può subire (mutazioni,

deriva genetica o la diploidia), c’è la possibilità di generare prole diversa dai genitori che avrà a sua

volta fattori favorevoli o meno a seconda dell’ambiente in cui vivono. Nell’universo Pokemon

invece l’evoluzione è legata ad un fattore di esperienza, acquisita combattendo, che raggiunta una

certa soglia variabile da pokemon in pokemon, permette il cambiamento a livello estetico e

statistico (più veloce, più forte o più agile) del pokemon. Tuttavia, come avviene per il pool genico,

i pokemon si posso accoppiare e dare origine ad una prole con caratteristiche simili ai genitori,

anche se questo si basa non sull’estetica ma sulle statistiche che esso può ricevere, in quanto non è

programmato la generazione di pokemon differenti da quelli stabiliti; inoltre, essendo queste

creature ovipari, non c’è un vero e proprio meccanismo di speciazione ma vengono raggruppati in

uno o più “gruppi uovo”, limitando cosi gli accoppiamenti. Un altro fattore simile è l’adattabilità di

queste creature. Se nella vita reale abbiamo avuto la mutazione della giraffa, che ha saputo sfruttare

la lunghezza del suo collo per raggiungere i rami più alti, nell’universo di gioco un predatore

acquatico, risalente a più di 3000 anni fa, nel corso della storia ha dovuto adattarsi alla vita terreste

per sopravvivere. Il suo carapace si è ridotto e alleggerito, le zampe posteriori sono diventate più

agili e prestanti e ha sviluppato delle “ali” che gli consentono di spiccare balzi sulle sue prede. In

seguito, vivendo vicino alle città industrializzate, ha rafforzato il suo indifeso corpo con gli scarti

dei metalli della lavorazione, ricoprendosi totalmente. Riprendendo invece il discorso della

diploidia (durante la meiosi gli spermatozoi contengono la metà dei cromosomi che si sommano a

quelli contenuti negli ovuli, generando un organismo diploide), vi sono differenze estetiche tra

pokemon di sesso maschile e femminile, nonostante questa differenza serva a poco se non per un

puro fatto estetico, come la diversa colorazione della ali, che cambia in base al continente o all’area

geografica in cui si vive.

Tuttavia spesso non è solo l’aspetto esteriore che muta nei protagonisti dei videogiochi, ma anche il

loro modo di pensare come nel caso di Stanley.

(In inglese) Stanley è un semplice impiegato di una multinazionale, della quale non conosce i fini; il

suo unico compito è premere di volta in volta dei pulsanti di una tastiera che gli vengono inviati

tramite uno schermo. Un giorno però questa monotonia viene interrotta e sullo schermo non apparse

alcun input. Stanley decise cosi di uscire dall’ufficio, ma si accorse che tutti i suoi colleghi erano

spariti. Tutto il gioco è vissuto dalla voce di un narratore che ci accompagnerà nel corso della storia,

descrivendo, in prima o terza persona, la moltitudine di pensieri e sensazioni che il personaggio sta

vivendo, come il flusso di coscienza di Joyce e Woolfe. Il narratore di Stanley ha delle

caratteristiche riprese da entrambi gli autori inglesi: Joyce concede al protagonista piena libertà di

pensiero e non impedisce a quest’ultimo di allontanarsi da quella che è effettivamente la trama,

mentre in Woolfe il narratore è sempre presente per condurre il protagonista sulla retta via e per

consentire al lettore di orientarsi nel testo, il narratore di Stanley ha un ruolo ambiguo: a volte

concede libertà di scelta, nonostante ci siano dei percorsi precisi da seguire, altre volte non permette

che si vaghi in giro, posizionando barriere e disegnando percorsi sul terreno obbligando il giocatore

a seguirli. È presente inoltre il tema della fuga e della paralisi di Joyce, vissuta nel protagonista

rispettivamente nel primo finale (ce ne sono una ventina) in cui si uscirà dall’azienda per vivere la

vita come voleva Stanley, mentre la paralisi è generata dalla onnipresenza del narratore.

Molto spesso, un po’ come Stanley, ci si ritrova davanti a delle scelte da fare che generano angoscia

o disperazione nell’individuo, figura centrale della filosofia di Kierkegaard. Rinnega quindi l’idea

di universalità, incentrata sul generico, che riduce lo spirito umano, quando è quest’ultimo coinvolto

direttamente nel proprio destino e non il genere umano. Fondamentale è concentrarsi sull’agire del

singolo, inteso come il compiere delle scelte.

Kierkegaard concepisce l’esistenza quindi come possibilità e incertezza. L’angoscia è generata dalle

numerose possibilità che l’uomo ha dinanzi a se, una sorta di apertura al mondo.

Esistono, in tal modo, tre stadi dell’esistenza identificabili nella vita estetica, etica e religiosa;

paragonabili alle differenti possibilità che il gioco offre.

Innanzitutto il gioco si basa sulla storia di cappuccetto rosso, rivisitato in chiave oscura, che metta il

giocatore nei panni di una delle ragazze, di diversa età e ognuna con diversi problemi. Scopo del

gioco è raggiungere la casa della nonna ma, nonostante ci venga chiesto di rimanere sul sentiero, è

possibili esplorare la foresta mutando in tal modo l’ambiente, passando da essere aperto e solare, a

chiuso, oscuro e angoscioso e abitato da un lupo (che non è proprio un animale, ma varia a seconda

della ragazza). La vita dell’esteta è simile alla ricerca del lupo: l’esteta, figurante nel Don Giovanni,

ricerca nella vita forti emozioni e di tutto ciò che c’è di interessante, ripudia la ripetizione e la

monotonia. La ricerca di emozioni col tempo però genera noia e disperazione, dovuta alla

riflessione sui peccati, sugli eccessi e sulla impossibilità di una scelta concreta.

La vita etica, incarnata dal marito devoto, è il passaggio dall’indifferenza dell’esteta al mettersi in

gioco, allo scegliere di scegliere. Accetta il matrimonio, la fedeltà, per vivere serenamente e in

tranquillità in un ambiente sociale, ma questo confrontarsi con l’universalità finisce col negare se

stesso. Nel gioco, scopo secondario, sarà “ricostruire” la casa della nonna con degli oggetti trovabili

nella foresta. Il giocatore per cui abbandonerà il bisogno degli eccessi (il lupo) per dedicarsi ad un

compito più concreto che gli permetterà di ottenere un finale migliore (la casa della nonna).

La vita religiosa è incarnata da Abramo, figura biblica, che ha dedicato tutta la sua vita seguendo le

leggi morali e seguendo il volere divino. Questo stile di vita, insensato e illogico per lo più, vede

l’individuo nella sua singolarità al cospetto di Dio. Abbandonando la noia, cede alla chiamata

divina, in quanto questa mancanza di Dio è la causa della noia. La verità quindi è nella soggettività,

e la fede, essendo la strada che conduce alla salvezza, permette di ottenerla. La fede è comunque un

atto illogico, per cui si ha la possibilità di credere o meno. Seguendo il sentiero, come ci viene detto

all’inizio del gioco, raggiugeremo la nostra metà, la verità, ma sarà davvero il finale che ci si

aspetta? In effetti no, poiché in questo modo il gioco ci segnalerà che avremmo fallito lo scopo della

storia.

Abbiamo visto quindi che la libertà mentale influisce molto sulle decisioni intraprese dai

personaggi, ma spesso le situazioni in cui ci si ritrova a doverle prendere comportano a conseguenze

positive e negative; sono proprio quest’ultime che rendono il personaggio impotente di reagire, un

inetto. In questo caso prendiamo in esempio Jason, protagonista del terzo capitolo di Far Cry, che si

ritroverà su di un’isola sperduta del pacifico a festeggiare con i suoi amici, e la sua ragazza, la fine

dell’università. Tuttavia non sono soli perché nel luogo in cui si trovano vengono gestiti traffici

illegali di armi e droga. I ragazzi vengono scoperti e catturati, ma fortunatamente Jason riesce a

sfuggire al controllo del capo di questi “pirati”, Vaas. Viene trovato da una tribù nativa dell’isola

che lo aiuterà nella sua impresa di liberare i suoi amici.

Da qui, e per tutto il resto del gioco, ci ritroveremo a dover fronteggiare il nostro avversario in un

continuo tentare e fallire (tra l’altro Vaas darà al protagonista il suo significato di follia ovvero “fare

sempre la stessa cosa, ancora, ancora, ancora”) che spesso ci metterà in pericolo di vita, rendendoci

piccoli e inetti rispetto al nemico, similmente a Giorgio Aurispa, protagonista del romanzo “il

trionfo della morte” di Gabriele d’Annunzio che è tormentato costantemente dal pensiero della

morte e cerca sollievo “fuggendo” da essa per trovare pace al suo mal di vivere, spostandosi da

Roma alla sua terra natia e per tutto l’Abruzzo. Riprendendo sempre un personaggio dannunziano,

Jason ha molte caratteristiche in comune con l’Andrea Sperelli de “Il Piacere”: entrambi hanno una

vita devota alle emozioni più sfrenate, alla ricerca dell’arte, del bello ed entrambi hanno ricadute

morali causate uno dalla natura intrinseca umana di supremazia, l’altro dal suo carattere duplice e

manipolatore infatti Sperelli si ritroverà a corteggiare due donne. La prima Elena Muti, conosciuta

durante un suo soggiorno a Roma, lo ammalierà per la sua sensualità e passione, la quale gli

procurerà una ferita quasi mortale in seguito ad un duello contro il suo amante. La seconda Maria

Ferres, conosciuta durante il periodo della convalescenza, si dimostrerà più “angelica” e fedele, in

quanto già sposata, appassionata di arte e religiosa. Nella parte finale del romanzo si può notare che

Sperelli, nonostante sedotto da Elena, egli è innamorato di Maria e, scoperta la fugga di Elena verso

il nuovo amante, si abbandonerà totalmente a Maria. Trascorsa la notte amorosa tuttavia Andrea

pronuncerà per errore il nome sbagliato dell’amante, rimanendo solo. Questa inettitudine

condizionata dalla situazione tragica di due donne è affrontata anche nella parte del gioco. Jason si

ritroverà a dover scegliere se abbandonare l’isola con la sua ragazza (che per tutta la durata della

storia si è dimostrata sconcertata dal cambiamento di quest’ultimo) e la regina della tribù che lo ha

aiutato, seducendolo e promettendogli di divenire il nuovo re. Sotto questo punto di vista la regina

ha molte caratteristiche in comune con Elena (la passionalità, la sensualità e l’impeto travolgente),

mentre la fidanzata mantiene la parte delle fedeltà, seppur vista come la necessità di fuggire

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