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Collegamenti Percorso bellezza nel mondo
Italiano: Andrea Sperelli (Il Piacere)
Filosofia: il giovane Friedrich Nietzsche
Francese: teoria sull'arte di Marcel Proust
Matematica: sezione aurea, quadrato magico, identità di Eulero.
La bellezza è nel mondo
Che cos'è la bellezza ? Quando ci viene posta questa domanda non possiamo non fare riferimento
alla nostra soggettività e quindi finiamo per rispondere con frasi del tipo “la bellezza sta negli
occhi di chi guarda” o “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.
Quando giudichiamo bello un oggetto, un'opera d'arte, una persona, un paesaggio, nel nostro
giudizio si manifesta un qualcosa che “sentiamo” e che nello stesso tempo non riusciamo a definire
in termini logico-concettuali. Ma anche sui dizionari alla voce bellezza si trova: “qualità di ciò che
appare o è ritenuto bello ai sensi e all'anima”, quindi non viene data una risposta oggettiva e
universalmente valida all'interrogativo iniziale, ma si rimanda sempre al soggetto che prova
determinate sensazioni ed emozioni di fronte ad un oggetto osservato.
Etimologicamente, invece, il termine bellezza deriva dal latino “bellus”, diminutivo di una forma
antica di “bonus”, quindi l'idea di bello rinvia alle idee di bene, di armonia e di ordine e trova, in
questo senso più oggettivo, piena espressione nella filosofia greca.
Ad esempio, i pitagorici identificano il bello con la simmetria e la proporzione.
L'idea di armonia è anche un punto nodale del pensiero rinascimentale sul bello, che viene
ancora, in questo periodo, identificato in una caratteristica obiettiva, ottenibile artisticamente e
conoscibile criticamente.
Ma a partire dal XVIII secolo, quando si inizia a dare più valore alla percezione del soggetto, si
arriva alla fondazione dell'estetica come disciplina autonoma e alla connessione sistematica di
bellezza e arte. Il bello viene identificato inizialmente con la perfezione sensibile della
rappresentazione artistica e successivamente con il piacere da esso suscitato.
L'estetica romantica identifica definitivamente l'arte con il bello, interpretandolo addirittura come
manifestazione di verità: ne sono un esempio Schelling, Hegel o Schopenhauer .
Nell'estetica contemporanea, invece, è stata rimarcata la distinzione fra la bellezza come
sinonimo di “valore estetico e artistico” e la bellezza come uno fra i tanti valori.
Proprio su questa concezione di bello si basa il film di Paolo Sorrentino, vincitore del premio
Oscar 2014 come miglior sceneggiato straniero: “La grande bellezza”.
Protagonista è Jep Gambardella, giornalista napoletano e critico teatrale, dal fascino innegabile,
impegnato a districarsi tra gli eventi mondani di una Roma così immersa nella bellezza del passato,
quanto distrutta dallo squallore del presente. Egli trasferitosi a Roma all'età di 26 anni per
pubblicare il suo primo e unico romanzo “L'apparato umano”, viene presentato nel bel mezzo della
festa dei suoi 65 anni quando, estraniatosi dai volgari e rocamboleschi balli, fa un'analisi interiore
di sé stesso, definendosi sin da giovane «destinato alla sensibilità, destinato a diventare uno
scrittore». Eppure questa sensibilità è stata divorata dalla vita che egli stesso ha condotto, è stata
divorata dalla gente e dai luoghi che ha frequentato. Jep, di cui tutti hanno apprezzato l'intensità
emotiva nel suo romanzo giovanile, afferma inizialmente che non ha più potuto scrivere perché è
«uscito troppo spesso la sera. Roma ti deconcentra, ti fa perdere un “sacco di tempo”».
Una mattina, tornando da una delle sue solite feste, incontra il marito di Elisa, il suo primo (e
probabilmente unico) amore, che lo attende davanti alla porta di casa. Sua moglie è morta,
lasciandosi dietro solo un diario dove narra dell'amore, mai perduto, verso Jep, di cui il marito è
stato solo un surrogato per trentacinque anni, «nient'altro che un buon compagno». Questo
episodio turba particolarmente Jep, il quale si rende conto che il sogno di recuperare la sua identità
di scrittore e letterato, di ritornare a quell'innocente bellezza del primo amore adolescenziale,
sembrano infrangersi di fronte allo spettacolo miserabile che egli stesso affronta ogni sera e così, in
un momento di piena consapevolezza, arriva ad affermare:« Sono anni che tutti mi chiedono perché
non torno a scrivere un nuovo romanzo. Ma guarda sta gente, sta fauna. Questa è la mia vita: non è
».
niente. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente e non c'è riuscito, ci posso mai riuscire io?
Ma la frequentazione con Ramona, spogliarellista non più giovane e figlia di un suo caro amico,
segna nella vita di Jep l'inizio di un graduale cambiamento; la genuinità della donna, in mezzo alla
fredda ipocrisia cui era abituato, è contagiosa e sembra riportarlo lentamente alle sponde del suo
vero essere.
Inoltre, le scene finali della storia sono pervase dalla figura di una suora che tutti chiamano “la
Santa”, in un mondo che si nutre di chiacchiere il peso del suo vissuto dissipa nel cuore di Jep gli
ultimi indugi, ella sostiene:«le radici sono importanti», e così alla fine il protagonista tornato
sull'isola in cui ha vissuto quel suo primo amore, ritrovato un senso per la propria vita,
dichiara:«Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita. Nascosta sotto il bla
bla bla. É tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento.
L'emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e
l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla bla bla.
Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In
fondo è solo un trucco. Sì, è solo un trucco».
Jep Gambardella rappresenta un dandy dei nostri giorni così come Andrea Sperelli, protagonista
de “Il Piacere” e alter ego del suo autore, rappresenta il perfetto esteta degli anni di D'Annunzio.
Per Andrea Sperelli l'arte è il valore assoluto: la vita stessa viene concepita come un'opera d'arte.
Egli fa di Roma il teatro della propria affermazione sociale e della propria ricerca di raffinatezza.
Andrea passa da un'avventura galante a un'altra, ma la sua abilità a seguire questo copione con
perfetto equilibrio è incrinata dal rimpianto per Elena Muti, un'amante la cui bellezza sensuale e la
cui forte personalità hanno eccezionalmente turbato Andrea. Interrotta la loro relazione per
un'improvvisa fuga della donna da Roma, Andrea tenta invano di ristabilire i contatti con lei in
occasione del suo ritorno,due anni dopo, quando ella è ormai sposata.
Minacciato da un'inquietudine interiore che lo porta a una sgradita consapevolezza della propria
aridità esistenziale, Andrea cerca scampo nella consueta vita frenetica e dissoluta, finché resta
ferito in un duello scatenatosi a causa della gelosia di uno spasimante di Donna Ippolita, con cui
Andrea aveva una relazione. Si apre quindi una parentesi di convalescenza nella villa di campagna
presso la cugina di Andrea. Qui il protagonista recupera una serenità interiore, riavvicinandosi ai
suoi interessi artistici ed è sempre qui che incontra Maria Ferres, donna con una bellezza delicata,
sensibile, spirituale, ben diversa da quella dell'Elena Muti. A poco a poco i due iniziano una
relazione amorosa, turbata però dalla continua tensione erotica che porterà Andrea a nominare
Elena tra le braccia di Maria, la quale lo lascia.
La conclusione del romanzo segna quindi il fallimento del protagonista e del suo progetto d'esteta.
Jep e Andrea hanno giocato i loro ruoli entrambi su un palcoscenico di ineguagliabile bellezza,
Roma. Ma questa Roma ha anche il suo lato buio, oscurata da una società malata e miserabile, che
fa perdere la rotta ai due uomini che cercano di inseguire il loro ideale di bellezza: Jep si fa
corrompere da questo lato oscuro di Roma, non rinuncia mai alle volgari e squallide feste sfrenate;
Andrea, oltre a essere fuorviato dalla società in generale, si fa corrompere soprattutto dalla figura
di Elena Muti, donna che lo possiede totalmente e che sembra compiacersi di questo suo “potere”.
Entrambi trovano però un po' di tranquillità attraverso la presenza nelle loro vite di due donne:
Jep grazie alla genuinità di Ramona; Andrea grazie alla sensibilità di Maria.
Mentre, però, Andrea non si riesce mai a distaccare neppure dall'immagine che ha in mente di
Elena; Jep proprio attraverso Ramona si rende conto del profondo squallore di ciò che lo circonda
e trova così riscatto nella scrittura che gli concede attraverso “dei trucchi” di svelare quegli
«sparuti, incostanti sprazzi di bellezza» che fanno pur sempre parte delle nostre vite, del nostro
mondo, e non di un ipotetico altrove”.
“
Così come per Jep, anche per Marcel Proust la scrittura possiede una grandiosa dignità. Egli infatti,
nel suo capolavoro “À la recherche du temps perdu”, afferma che “la vera vita è la letteratura”,
perché essa ci dà la possibilità di scoprire le mille sfaccettature del mondo. Proust scrive:«La vraie
vie, la vie enfin découverte et éclaircie, la seule vie par conséquent réellement vécue, c'est la
littérature». L'auteur considère l'art comme l'instrument capable de faire ressurgir à la surface tous
les mysteres du monde qui sont normalement cachès. En outre, coscient de vivre dans une societè
où aucune veritable communication n'est possible, aucun sentiment ne dure, Proust pense que l'art
seulment permet aux hommes de transmettre leurs visions personnelles e profondes de la vie.
Un altro personaggio, vissuto poco prima di Proust, che ha iniziato il proprio percorso filosofico
dalla questione sull'arte, è Nietzsche (sebbene nel corso del suo pensiero ne arriva a negare
qualunque valore). Egli, attraverso quella che denomina “metafisica d'artista”, pone al centro del
suo pensiero l'arte, capace di comprendere veramente il mondo. Infatti, esso è visto come una sorta
di gioco estetico e tragico, costituito dalla lotta fra gli opposti primordiali, primi fra tutti l'impulso
razionale e armonico dell'apollineo e l'impulso irrazionale e caotico del dionisiaco (che nell'antica
Grecia trovavano manifestazione nelle tragedie).
Ma in un mondo sopraffatto dallo spirito apollineo e per questo in uno stato di continua decadenza,
Nietzsche predica la supremazia dello spirito dionisiaco, sinonimo di un'accettazione totale
dell'essere nella globalità dei suoi aspetti.
Il rapporto dionisiaco con il mondo è per il filosofo un rapporto di fedeltà con la terra, ma è anche
un'accettazione della vita stessa, un'esaltante adesione, all’orribile e allo spaventoso, alla morte e al
disfacimento.
Ecco dunque che in un certo senso Jep Gambardella riprende il pensiero del filosofo tedesco:
egli cercava la bellezza probabilmente in qualcosa di ideale e non l'ha trovata, ma alla fine si rende
conto che “la bellezza è nel mondo” e che la vita è bella così com'è, cioè il risultato del contrasto
fra la miseria interiore dell'uomo e la sua stessa “grande bellezza”.
Ma oltre alla bellezza, esteticamente intesa, per qualcosa di materiale, vi è una bellezza che si
nasconde dietro a simboli e numeri: è la bellezza matematica.
Quando i matematici affermano che determinate equazioni sono bellissime, non mentono affatto.
Recentemente sono stati condotti degli esperimenti in cui alcuni matematici, posti di fronte a
determinate equazioni o formule, dovevano esprimere il loro giudizio. Gli esperti hanno scoperto
che i loro cervelli, quando affermavano che un'equazione era bella, avevano gli stessi impulsi della
gente comune quando parla di un bellissimo quadro o di una musica sublime.
Ma in generale il concetto di bellezza matematica è legato, soprattutto, a tre elementi:
l'identità di Eulero, la sezione aurea e il quadrato magico.
La sezione aurea o numero aureo indica il rapporto fra due lunghezze disuguali, delle quali la
maggiore (a) è medio proporzionale fra la minore (b) e la somme delle due (a+b), quindi
b : a = a : (a+b).
Tale valore è un numero irrazionale illimitato e vale all'incirca Φ=1,61803398...
Sia le sue proprietà geometriche e matematiche, che la frequente riproposizione in svariati contesti