Il ventiseiesimo capitolo de “I Promessi sposi” continua a vedere l’ingresso di alcuni nuovi personaggi, tra cui Don Gonzalo Fernandez de Cordoba; il tempo che fa da sfondo alle vicende è dicembre del 1628 e le settimane seguenti, i luoghi sono il paese di Renzo e Lucia, Milano e Bergamo mentre i temi prevalenti rimangono invariati.
Indice
Il confronto tra Don Abbondio e il cardinale
Don Abbondio rimane senza parole dinanzi alle domande insistenti da parte dal Cardinale Borromeo, e perfino l’autore confessa con ironia di trovarle eccessive rispetto al contesto, anche se si consola al pensiero che il prelato non si limita a parlare ma mette in pratica quanto affermato. Federigo osserva che Don Abbondio resta in silenzio nel momento in cui comprende di aver mancato nel suo dovere, dacché non so egli ha piegato il capo di fronte alle minacce di non celebrare il matrimonio, ma ha addirittura accampato futili pretesti per sottrarsi ai suoi compiti e ha tenuto all’oscuro i due promessi riguardo la minaccia in cui incombevano. Don Abbondio capisce che Lucia e Agnese devono aver riferito al cardinale delle sue scuse per rimandare le nozze, mentre Federigo deve constatare che il curato ha effettivamente mentito ai due giovani per tenerli all’oscuro, cosa di cui ora dovrebbe pentirsi e chiedere perdono al suo superiore. Il curato pensa tra sé che il Cardinale non ha esitato ad abbracciare l’Innominato nonostante i suoi delitti, mentre ora accusa lui per una piccola ed innocente bugia detta al fine di salvarsi la vita, lamentandosi che è destinato ad essere perseguitato da tutti: chiede poi ancora al superiore come avrebbe dovuto comportarsi in una circostanza del genere, al che il cardinale ribadisce, irritato leggermente dalla caparbietà di Don Abbondio, che avrebbe dovuto amare e pregare, facendo il proprio dovere senza timore di perdere la vita. In ogni caso, avrebbe anche potuto tranquillamente informare il suo superiore, che sarebbe prontamente intervenuto a proteggere i due promessi e la vita stessa del curato, come prescrive il suo compito, e ciò avrebbe ridotto a dei consigli anche il prepotente che lo aveva minacciato. Don Abbondio osserva poi con amarezza tra sé che questi erano proprio i consigli che Perpetua gli aveva dato dopo l’incontro coi bravi, benché continui a pensare che un giorno Don Rodrigo farà ritorno in paese e il cardinale non potrà di certo proteggerlo dalla sua ira.
Il pentimento di Don Abbondio
Il cardinale ribadisce che Don Abbondio ha agito così in quanto troppo attaccato alla sua vita terrena che deve finire, al che il curato si lascia sfuggire l’obiezione che in realtà è toccato a lui trovarsi di fronte a dei bravi che lo minacciavano, per cui è fin troppo facile che il cardinale parlare senza essersi trovato lui stesso in una simile situazione. Don Abbondio si pente subito dopo delle sue parole forse fin troppo franche e teme di subire un duro rimprovero da parte del prelato, ma con stupore, vede che il porporato ha assunto quasi un aspetto pensieroso e contrito: Federigo ribatte che, in effetti, la sua condizione di superiorità è penosa, dal momento che è quasi costretto a rimproverare gli altri di quelle debolezze che forse anche egli stesso ha dimostrato. Deve dunque dare il buon esempio e non pretendere dagli altri ciò che lui stesso non sarebbe pronto a fare, cosicché esorta Don Abbondio a fargli notare francamente le sue eventuali mancanze, affinché comprenda che i rimproveri provengono da Dio stesso che parla per bocca di un umile vescovo. Don Abbondio pensa tra sé che il cardinale è, in fondo, davvero un santo e vorrebbe fare l’inquisitore anche su sé stesso, e afferma che tutti conoscono l’impegno e le doti del Borromeo: al che questi risponde che non voleva certo una lode dal curato ma esortarlo a riflettere con lui sull’alto valore del ministero sacerdotale e a comprendere quanto le sue azioni siano contrarie alla legge divina. Don Abbondio riconosce che tutto è contro di lui, benché anche i due promessi abbiano le proprie colpe in quanto, hanno tentato l’insidia del “matrimonio a sorpresa”: Federigo ribatte di essere a conoscenza del fatto, tuttavia è ben triste che il curato tenta di difendersi accusando i suoi fedeli, poiché i due giovani non avrebbero di certo attuato quel sotterfugio se avessero potuto sposarsi regolarmente. Inoltre, prosegue il prelato, quale vantaggio avrebbe portato al curato il loro silenzio, dal momento che il mondo corrotto si compiace a costringere le vittime dei soprusi? I suoi fedeli hanno detto parola di sfogo al loro vescovo e ciò non deve suscitare la collera di Don Abbondio, anzi, il cardinale lo esorta proprio in queste occasioni di amarli di più, perché son poveri, indifesi e bisognosi di ogni protezione.
Don Abbondio rimane in silenzio ascoltando attentamente le parole del cardinale, ma il suo silenzio non è più impaziente come quello di prima, ma bensì di un uomo che è portato a riflettere sui rimproveri ricevuti per la sua condotta: Federigo lo ha portato a considerare gli insegnamenti del vangelo che egli ben conosce e che è stato indotto a trascurare per paura. Il curato prova leggermente un po' di rimorso, sia pure a causa della paura per la propria vita che è rimasta sempre presente nel suo cuore, simile allo stoppino umido di una candela che è accostato alla fiamma; non giunge al punto di piangere e chiedere perdono per le colpe commesse, ma si mostra abbastanza commosso perché il cardinale comprenda che le sue parole hanno sortito l’effetto sperato. Federigo afferma che, purtroppo, ora Renzo e Lucia sono separati l’uno dall’altro, con un incerto avvenire di fronte a sé; dunque, non hanno bisogno dell’aiuto di Don Abbondio, ma questi viene lo stesso incitato a stare in attesa degli eventi, in quanto la Provvidenza potrebbe ancora dargli modo di essere utile e farsi perdonare per le sue mancanze. Il curato promette con sincerità che, in tal caso, non mancherà nuovamente nel suo dovere e il cardinale si scusa in parte della durezza mostrata nei suoi rimproveri, augurandosi che il curato ripaghi la fiducia nel mantenerlo nel posto cui ha gravemente mancato. A questo punto, Federigo esce accompagnato dal curato, con cui ha successivi colloqui che non vengono specificato dall’autore, così come sono taciute le molte opere pie compiute del Borromeo.
La separazione di Lucia e Agnese
Il mattino dopo giunge in paese, secondo gli accordi già prefissati, donna Prassede a prendere con sé Lucia, la quale si separa non senza pianti dalla madre Agnese, che potrà in ogni caso vederla prima della partenza per Milano, in quanto la nobildonna si tratterrà solo alcuni giorni nella villa vicino al villaggio del sarto. Intanto il Cardinal Borromeo riceve la visita proprio del curato della parrocchia di quel paesino, il quale chiede di parlargli e gli consegna da parte dell’Innominato un involto contenente cento scudi d’oro e una lettera: in questa il bandito prega il cardinale di fare avere la somma ad Agnese come parziale risarcimento per il male fatto a Lucia, o tutt’al più come dote per la giovane, esortando le due donne a rivolgersi a lui per qualunque motivo o necessità. Il cardinale fa chiamare subito a sé Agnese, riferendole ogni cosa, e consegnandole poi il denaro che la donna accetta senza fare troppe cerimonie e pregando il Borromeo di ringraziare per parte sua l’Innominato, raccomandando poi al prelato di mantenere il segreto dal momento che il paese è pieno di chiacchieroni. Agnese ritorna dunque a casa e ammira con suo grande stupore il mucchietto d’oro che le è stato consegnato, contando e ricontando più volte le monete, non cessando per tutta la giornata di fantasticare su ciò che la figlia potranno fare con tanto denaro.
La rivelazione del voto di Lucia
Il giorno seguente Agnese si incammina di buon mattino verso la villa di Donna Prassede per incontrare Lucia, alla quale rivela subito con grande eccitazione l’inaspettata fortuna del denaro donato all’Innominato: la ragazza non sembra tuttavia rallegrarsene e Agnese, stupita dal suo atteggiamento, le rammenta che lei e Renzo sono tutta la sua famiglia e lei è ben disposta a lasciare il suo paese per trasferirsi con loro dove vorranno andare ad abitare, al sicuro dalle inside di Don Rodrigo, purché a Renzo non sia accaduta qualche disgrazia (il giovane infatti non ha dato più notizie di sé); grazie a quella somma di denaro, tutto è diventato più facile, specie dopo che la giustizia ha requisito i risparmi di Renzo, e infatti Agnese è pronta a venire a Milano a prendere Lucia in compagnia di un uomo assennato, giacché le disgrazie subite l’hanno abituata ad affrontare la vita con occhi diversi. Lucia sembra accorata dalle parole della madre, e alle domande di questa, le rivela che non può più sposare Renzo e ciò per via del voto pronunciato alla Madonna quando era prigioniera al castello dell’Innominato, scusandosi per non aver detto prima alla madre di quel doloroso segreto. Agnese rimane sconfortata ed è tentata a rimproverare la figlia per essere stata precipitosa, ma ne è dissuasa sia dal racconto della figlia, sia dalla consapevolezza che il voto è qualcosa di sacro e violarlo può portare a castighi terribili, tanto più che la Madonna ha realmente esaudito le preghiere della ragazza. Questa, dichiara di essersi rivolta alla Vergine e di essere nelle sue mani, affermando poi di non voler più pensare a Renzo, poiché, evidentemente, non erano destinati a sposarsi: prega poi la madre di informare il giovane facendo scrivere una lettera in cui gli spieghi le circostanze del voto, sperando che possa mettersi l’animo in pace. Agnese dichiara che lo farà senz’altro e che, in fin dei conti, lei non si aspettava che da quel denaro, anche se è certa che la somma non sarà neanche per Renzo fonte di consolazione, dal momento che dovrà rinunciare a Lucia. Le due donne si separano poi con affettuosi saluti e ripromettendosi di rivedersi l’autunno seguente, mentre la ragazza continua a pregare ancora la madre di non dire nulla in giro circa la faccenda del voto.
Le voci su Renzo
Passano i giorni e Agnese non riesce a reperire nessuna notizia di Renzo, il quale a sua volta non ha nemmeno fatto sapere nulla di sé e nessuno nei dintorni sembra avere la minima idea di che cosa le sia successo. La donna non è l’unica a cercare notizie del giovane filatore, poiché anche il Cardinale tiene fede alla promessa fatta a Lucia di raccogliere informazioni su Renzo, e già prima di far ritorno a Milano ha scritto una lettere proprio per questo proposito: la risposta però che riceve non è del tutto rassicurante, poiché gli viene spiegato che il giovane ha effettivamente abitato per un po' nel paese del cugino Bortolo, ma un giorno improvvisamente se ne è andato e da lì non si sa più cosa ne sia stato di lui, poiché anche lo stesso Bortolo afferma che forse si è arruolato per andare a combattere in oriente, o forse è partito per la Germania, o forse è addirittura morto. Queste voci si spargono ben presto anche nel paesino di Agnese, allarmando non poco la donna, che tenta di capire quali notizie siano vere e quali frutto di chiacchiere o fantasia.
La verità su Renzo
In realtà tutte queste voci su Renzo sono fondate sulla falsità, ed a spiegare come siano andate veramente le cose è direttamente l’autore: tutto ha inizio quando il governatore dello Stato di Milano, don Gonzalo Fernandez de Cordoba, protesta col residente di Venezia in Lombardia per il fatto che la Repubblica offre asilo e rifugio a un famigerato lestofante ed eccitatore di disordini pubblici di nome Lorenzo Tramaglino, che per di più è riuscito a scappare all’arresto dopo che è finito nelle mani della giustizia. Il residente risponde di non saperne più nulla e che scriverà subito a Venezia per ottenere qualche dettaglio; la Repubblica di Venezia, precisa l’autore, incoraggia gli operai milanesi della seta a trasferirsi nel territorio di Bergamo come ha fatto Renzo, dunque la sua politica è di assicurar loro molti vantaggi tra cui principalmente la sicurezza: per questo motivo qualcuno avverte Bortolo che il cugino farebbe meglio a cambiare paese e ad assumere una falsa identità per diverso tempo, quindi Bortolo lo porta subito in un filatoio non molto distante da quello in cui lavora già e lo presenta come Antonio Rivolta al padrone. Renzo viene assunto grazie alle ottime conoscenze del cugino e il nuovo padrone ne è alquanto contento, salvo il fatto che il giovane, quando viene chiamato “Antonio” non si volta subito, dando l’impressione di essere un po' tardo di mente. Poco dopo giunge da Venezia un ordine scritto al capitano di Bergamo, che gli fa capire che bisogna prendere informazione su Renzo in modo da non trovarlo e che la risposta dovrà essere negativa, compito che il capitano esegue alla perfezione. In seguito, Bortolo risponde in modo evasivo alle domande su Renzo e talvolta inventa anche delle storie strampalate per giustificare la sua scomparsa, anche quando le vengono chieste per conto del cardinale. L’autore avverte tuttavia che sarebbe ingenuo crede che Don Gonzalo, un altissimo funzionario dello stato, sia accanito contro Renzo poiché lo crede un soggetto pericoloso, tanto più che egli ha ben altre questioni di cui occuparsi: il fatto è però che Renzo si è trovato, a suo malgrado, coinvolto in affari molto più grandi di lui.