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Una volta lasciato solo con l’innominato, Federigo Borromeo accoglie costui con un volto sereno, dato che si tratta di uno dei figli che voleva da tanto tempo abbracciare come riferito dal narratore, ma all’improvviso cala il silenzio nella stanza; infatti il temuto signore è preso da due emozioni contrastanti: da una parte si vergogna di aprirsi e confessare i suoi crimini, dall’altra sente un vicino sollievo per un confronto molto prossimo.
Col passare del tempo però il suo orgoglio viene meno alla carità del cardinale, che lascia sfogare tutto il dolore del suo interlocutore senza giudicarlo, ma limitandosi a comprendere bene la faccenda e a trovare un modo per aiutarlo; alla fine, al signore stesso viene prospettata la possibilità di iniziare una nuova vita, che però gli verrà concessa solo qualora ammettesse tutte le sue colpe, venendo meno alla sua fama di malavitoso.
Così, alla fine del loro dialogo, egli si lascia andare a un pianto accorato e si getta tra le braccia del cardinale arcivescovo, sentendosi avvolto da un sollievo mai provato in precedenza.
A questo punto, è confessato dall’innominato anche il rapimento della povera Lucia, che Borromeo ascolta con grande attenzione e da cui prospetta un’occasione, con la liberazione della fanciulla, per la continuazione del processo di redenzione del temuto criminale.
Quindi viene richiamato il cappellano crocifero, che a sua volta torna all’esterno per chiamare il curato del paese dell’innominato e quello del paese di Lucia, ovvero don Abbondio; da qui viene spiegato il suo piano: infatti, Borromeo prospetta di cercare in paese una donna di cuore e di testa capace di confortare Lucia e di convincerla ad abbandonare il castello, per poi inviare don Abbondio assieme all’innominato e a un uomo che si occuperà di trasportarla in una lettiga a prenderla; inoltre, si prospetta la possibilità di inviare anche qualcuno al paese di Lucia per avvisare la madre Agnese e portarla al paese dell’innominato.
All’udire una tale proposta, don Abbondio tenta in tutti i modi di affibbiare il suo incarico a qualcun altro, poiché è terrorizzato dall’innominato e non vorrebbe averci a che fare, ma alla fine tutti i suoi sforzi si rivelano inutili.
Così, durante la via che li condurrà al castello dello stesso signore il curato con un lungo e per certi versi comico soliloquio maledice tutti, da Lucia, che ritiene la prima colpevole delle sue spiacevoli vicende, all’innominato, del quale accusa i crimini scellerati, passando per Perpetua, la quale l’aveva convinto a recarsi con gli altri parroci della zona in tale paese.
Si domanda anche se la conversione del famigerato criminale sia vera o si tratti solo di un imbroglio, ma viene tranquillizzato dalle parole di quest'ultimo una volta arrivati al suo castello, non rivoltegli in modo brusco e scontroso ma con un tono pacato e calmo.