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Nel XVI secolo maturarono nuove idee filosofiche che portarono l’uomo a un radicale mutamento del suo modo di ragionare, di ricercare e di interrogare la natura. Vengono soppiantati i dogmi aristotelici che la dottrina cristiana aveva fatto propri, a favore di nuove correnti di pensiero. Ma questa “rivoluzione scientifica” ha radici antiche, che partono dal medioevo, con la crisi della scolastica. Si può quindi affermare che i pensatori-scienziati del ‘600 furono dei sistematori, che ripresero concetti espressi da altri filosofi nei secoli precedenti. Questa rivoluzione è un prodotto esclusivo della filosofia occidentale, in quanto nel mondo arabo, in quello antico e in quello cinese, malgrado un grande progresso tecnico e culturale non ci fu la necessità di una nuova scienza a servizio dell’uomo che costruisse per lui macchine per migliorargli la vita e alleggerirgli il lavoro, essendo società fondate sulla schiavitù, che forniva forza-lavoro sufficiente. La differenza fra il concetto scienza tecnica tra greci e moderni è che mentre per i primi la "tecnica" è subordinata e adattata alla natura, per i nuovi scienziati diventa invece “tecnologia”, scienza che sottomette la natura.
Il cammino che porta alla rivoluzione scientifica inizia nel basso medioevo, durante l’ultimo periodo della scolastica. Ci fu un recupero della matematica “pitagorica”, abbinata alla ricerca e alla sperimentazione della natura.
Roberto Grossatesta fu il primo filosofo a compiere un passo verso la rivoluzione scientifica. Studioso di ottica e autore della “metafisica della luce”, era fermamente convinto nella validità scientifica dell’esperienza sensibile. Mosse, come tanti altri filosofi nei secoli successivi, un’aspra critica ad Aristotele e ai suoi sillogismi. In verità nel filosofo di Stagira si possono trovare molte somiglianze con i pensatori del tempo della rivoluzione scientifica, come il credere nella necessità di interrogare direttamente la natura. Ma con i secoli il suo pensiero fu filtrato, e correnti come la scolastica diedero particolare peso solo alla logica Aristotelica. Grossatesta fu molto vicino alla filosofia pitagorica riguardo all’aspetto “matematico” della natura, ritenendo che quest’ultima si comportasse in maniera geometrica sotto l’impulso della luce, caratteristica fondamentale del suo pensiero scientifico.
Ruggiero Bacone fu allievo di Grossatesta, ma anche di Pietro pellegrino (che nel ‘200 era già studioso di magnetismo). Era nativo di Oxford, la cui università privilegiava una filosofia più scientifica. “Due sono i modi della conoscenza: argomentazione ed esperimento” diceva, gettando le basi di un nuovo concetto di conoscenza, fondata su tesi teoriche precedute e verificate da confutazioni e da esperimenti. Riprese dal maestro anche l’idea pitagorica di una matematica che fosse la vera essenza della realtà fisica. Fu inoltre un inventore rivoluzionario, brevettando gli occhiali e progettando il cannocchiale sfruttando delle lenti più potenti, e ideò esplosivi, macchine volanti e senza cavalli, e soprattutto pensò di circumnavigare il globo, cosa possibile solo partendo dal presupposto che la terra sia sferica.
Nel ‘400 anche la nuova corrente dell’umanesimo diede il suo contributo verso la rivoluzione scientifica. Furono filosofi come Telesio, che diceva di studiare la natura “iuxta propria principia”, Giordano Bruno, Campanella e Cusano che si distaccarono definitivamente dal pensiero logico della scolastica e dai dogmi aristotelici, fondando la corrente del “naturalismo”. Emblematica fu una frase di quest’ultimo, “la Terra mi appare il centro, ma se stessi sulla Luna quella mi apparirebbe il centro”, che rivela come già fossero sotto gli occhi degli uomini del XIV secolo tutte le falle del modello aristotelico-tolemaico. L’umanesimo fu un periodo più vicino a Platone, grazie a pensatori come Ficino e Pico della Mirandola, anche se non mancarono gli aristotelici come Pietro Pomponazzi. A questa filosofia ancor più vicina alla scienza della natura mancava però un metodo, che gli fu dato solo da Cartesio. Il ‘400 fu il secolo dell’UTOPIA, centro del pensiero di filosofi come Tommaso Moro. Il pensiero Utopico è il gettare l’amo verso il futuro. E’ un modello di società e di struttura dello stato ideale, verso cui l’uomo deve dirigersi con tutte le proprie forze per migliorare la propria condizione.
Quello della rivoluzione scientifica fu un periodo di rottura da un passato classicista, che preferiva il vecchio al nuovo. I nuovi pensatori invece volevano fondare una scienza inedita e definitiva in nome del progresso, per migliorare le condizioni dell’uomo. Questa rivoluzione fu stimolata dall’affermarsi di un nuovo modello astronomico eliocentrico supportata dalla nuova matematica proposta dal neo-platonismo. Copernico diede il via a quest’epoca con il de revolutionibus orbium celestium, pubblicato nel 1543, in cui teorizzava come il sole fosse il centro dell’universo (termine nato in opposizione a “cosmo”, che non include la terra, considerata dagli antichi come un corpo diverso da quelli celesti). Copernico considerava queste orbite come qualcosa di materiale e di circolare. Bisogna aspettare Tycho Brahe e Keplero per avere orbite “geometriche” (ovvero risultanti dal moto circolare dei pianeti, non invece come dei “solchi nell’etere”) ed ellittiche. Si abbatte la barriera kosmos-terra: le leggi fisiche sono uguali in tutti i punti dell’universo secondo i nuovi filosofi. Questo nuovo universo è infinito, il che non significa che non ha confini, ma che non ha un centro. In questo terremoto culturale l’uomo perde la propria presunta importanza come creatura prediletta, e inizia a porsi domande sul come sia possibile la vita e se ce ne sia anche altrove, non avendo la Terra nulla di più degli altri pianeti. Viene rivoluzionato il concetto di scienza, non più cartacea (quello che per secoli era stato lo studio di Aristotele), ma sul campo, interrogando direttamente la natura. Crollano quindi le superstizioni, la magia, l’alchimia e l’astrologia di fronte ai fatti portati dalla rivoluzione scientifica. La chiesa, ridimensionata dalla riforma luterana, cercò di contrastare queste nuove teorie: fu proprio il cardinale Bellarmino a screditare maggiormente Galilei, mentre in campo luterano grandi resistenze furono espresse dal monaco Hosiander, che scrisse un prologo all’opera di Copernico in cui cercava di far apparire la nuova teoria non come una descrizione della realtà, ma come un modello di calcolo per astronomi.
Le scritture non parlano di scienza. E’ questo il fondamento del pensiero del pisano Galileo GALILEI. Lo scontro con Aristotele per lui fu immediato: se per il greco nell’indagine della natura nulla poteva essere più vero dei sensi, Galileo invece non li riteneva capaci di dare risposte sempre esaustive ai problemi della scienza per i loro limiti biologici. Bisogna costruire delle macchine che sostituiscano i sensi dove essi non arrivano. Nasce quindi il cannocchiale come mezzo fondamentale per l’osservazione astronomica, che rivela come il moto delle stelle sia solo apparente, che la Luna è come la terra, che il Sole ha le macchie e Saturno gli anelli. Galileo è fautore del sistema eliocentrico in quanto più semplice, poiché spiega meglio il moto degli astri. Malgrado questa rottura con il passato galileo cercò però un incontro con le certezze e i dogmi della chiesa, che nonostante ciò lo condannò per due volte e lo costrinse all’abiura. Il fulcro del pensiero scientifico di Galilei sono le “sensate esperienze”, ovvero ciò che viene constatato direttamente tramite esperimenti (che possono essere non solo pratici, ma anche solo mentali, di ragionamento, nel caso in cui non sia possibile produrre in laboratorio i fenomeni indagati), con le “necessarie dimostrazioni”, ovvero i modelli matematici che spiegano in modo teorico i fenomeni della natura. Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni sono alla base del metodo scientifico galileiano. Lo scienziato pisano introdusse il concetto di scienza “perfettibile”, in continuo progresso, con leggi nuove che soppiantano quelle vecchie errate. Secondo il filosofo Dario Antiseri, il nuovo sapere introdotto da Galileo è “ermeneutico”, ovvero che nasce da un’intuizione teorica che viene confermata da esperimenti. Si sviluppa quindi l’idea di “comunicare” i risultati delle proprie ricerche fra i vari scienziati: nasce il concetto di “comunità scientifica”.
Con la rivoluzione scientifica si sente il bisogno di spiegare le nuove leggi della fisica e dell’astronomia attraverso una nuova matematica che rompe con il passato: non si parla più di “aritmogeometria" e di figure, ma di algebra, di geometria analitica. Nasce quindi la MECCANICA RAZIONALE, quella categoria del pensiero scientifico che spiega le leggi fisiche alle quali gli enti si attengono. Queste forze fisiche sono, in termini aristotelici, “cause efficienti”. Nei nuovi modelli astronomici il moto è la condizione naturale, non più la quiete. Inoltre questa meccanica rompe con il passato anche perché esclude il concetto di creazione “ex nihilo”, poiché ha come postulato fondamentale che energia e materia si conservano. Il tempo diventa fondamentale: non è più subordinato allo spazio, ma diventa un elemento fondamentale, una “quarta dimensione” della realtà, come direbbe Einstein. E diventa fondamentale anche nella natura stessa delle cose: l’ente fisico, non è più tale poiché in possesso di una "morfè" ma in poiché ha una determinata condizione in un certo momento del tempo. Cambia quindi anche il concetto di orbita, che non è più qualcosa di fisico, ma è una traiettoria ideale risultante da determinate forze di attrazione e repulsione in un dato momento. La domanda che quindi si pone questa meccanica razionale non è più “che cos’è?”, ma “com’è?” (in quel dato momento nello spazio e nel tempo).
La rivoluzione scientifica pose una cesura fra il pensiero classico e quello moderno. Il motivo di questa rottura con il passato fu l’elaborazione di una NUOVA METAFISICA e di un nuovo punto di vista nella comprensione dell’universo. Per i classici la materia era stupida e informe, e riceveva ordine e movimento grazie a un’intelligenza che la plasmava (come il "nous" di Anassagora e il Demiurgo o di Platone). In quest’ottica è il più intelligente che forma il più elementare. Con il pensiero scientifico moderno invece la situazione è l’opposta: la materia è priva di intelligenza, ma ottiene una forma e un movimento in base ad alcune leggi fisiche e raggiunge un ordine intellegibile. E’ il più semplice (la particella) che causa il cosmo e la vita complessa. Viene quindi negata l’esistenza di un’anima mundi: non c’è vita nella materia. In quest’ottica Dio è “trascendente”, al di fuori, rispetto al creato, che non ha nulla di divino. Da questa concezione nasce l’idea di “macchina”, un prodotto dell’uomo capace di avere un proprio movimento e di lavorare da solo, pur non avendo un’anima, non essendo viva. La metafisica è stata quindi completamente ribaltata dagli scienziati del ‘600, che hanno negato anche la “teleologia”, il finalismo del creato. E’ la negazione più completa del platonismo.
In questo contesto si inserisce Francesco Bac one, pensatore che, tra tutti i filosofi della rivoluzione, fu il meno scienziato, poiché diede ancora tanta importanza alla "morfè" aristotelica (mentre ad esempio Galileo teneva molto più in considerazione le forze che governano i corpi, non i corpi stessi), ma fu quello che maggiormente parlò di utopia e di scienza a servizio del progresso intellettuale, sociale e culturale dell’uomo. Nella sua opera principale, la “nuova Atlantide”, profetizza uno stato non solo ideale, ma realizzabile, tanto da somigliare allo stato contemporaneo, detto “tecnocrazia”, in cui sono gli scienziati a guidare il popolo migliorandogli la qualità della vita con le proprie scoperte. Come tutti gli utopisti è contrario all’autorità della tradizione: ciò che viene dopo, se suffragato da dimostrazioni, è sempre migliore del vecchio. I retaggi del passato, che lui stesso chiama idola, frenano il progresso a favore della conservazione di tutto ciò che è vecchio. Si possono dividere in:
-“idoli della tribù”, ovvero le tradizioni di un popolo, che filtrano il modo in cui vediamo la realtà secondo i canoni imposti dalla nostra religione, dallo stato, dalle consuetudini;
-“idoli della spelonca”, quei retaggi personali tipici del singolo individuo, come l’educazione ricevuta e la scorretta formazione personale;
-“idoli del foro”, ovvero quei canoni imposti nel rapporto fra gli uomini, come ad esempio il linguaggio;
-“idoli del teatro”, quegli errori della filosofia e della scienza, che però non vengono soppiantati, ma erroneamente tramandati come appunto delle “favole del teatro”.
Nella filosofia naturale di Bacone non c’è posto per la logica e per l’induzione aristotelica. Nonostante ciò riprende dal filosofo greco il concetto di scienza come “conoscenza delle cause”. Delle quattro cause per Bacone ha importanza solo quella formale: commette in questo un errore, poiché per la scienza ha più importanza la causa efficiente: in linguaggio moderno possiamo dire che è più importante la forza che la materia. Proprio per questo il pensatore inglese non è considerato un grande scienziato. Secondo Bacone lo scienziato deve tenere presente lo schematismo e il processo latente, ovvero la struttura e la forza, per ottenere la causa formale di un ente. Bisogna quindi considerare la “la tavola delle presenze”, ovvero tutti i tipi di fenomeni che appartengono a quell’ente, la “tavola delle assenze prossime”, ovvero quei fenomeni che gli appartengono solo apparentemente, e la “tavola dei gradi”, ovvero l’intensità del fenomeno. Si fa la “vendemmiatio” dei dati, ovvero la raccolta, e si fanno delle ipotesi, che vengono verificate non per correttezza logica, ma per “instantia crucis”, a incrocio (ne scarto una e ne tengo un’altra). La certezza scientifica si ottiene solo tramite esperimento. Questo è il METODO BACONIANO, formalmente corretto, ma sbagliato nel suo presupposto, ovvero nella ricerca della causa materiale e non di quella efficiente.
La filosofia di Bacone, come quella di tutti gli utopisti e filosofi della rivoluzione scientifica, si può quindi riassumere in quattro punti:
1) Fede nel progresso,
2) Fede nell’uomo, capace di costruire per se una società nuova con meno lavoro e meno fatica,
3) Fede nella scienza e nella tecnica,
4) Fede nella macchina, che si evolverà per aiutare l’uomo nel dominare la natura.
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
DAI MEDIEVALI A BACONE
Nel XVI secolo maturarono nuove idee filosofiche che portarono l’uomo a un radicale
mutamento del suo modo di ragionare, di ricercare e di interrogare la natura. Vengono
soppiantati i dogmi aristotelici che la dottrina cristiana aveva fatto propri, a favore di
nuove correnti di pensiero. Ma questa “rivoluzione scientifica” ha radici antiche, che
partono dal medioevo, con la crisi della scolastica. Si può quindi affermare che i
pensatori-scienziati del ‘600 furono dei sistematori, che ripresero concetti espressi da
altri filosofi nei secoli precedenti. Questa rivoluzione è un prodotto esclusivo della
filosofia occidentale, in quanto nel mondo arabo, in quello antico e in quello cinese,
malgrado un grande progresso tecnico e culturale non ci fu la necessità di una nuova
scienza a servizio dell’uomo che costruisse per lui macchine per migliorargli la vita e
alleggerirgli il lavoro, essendo società fondate sulla schiavitù, che forniva forza-lavoro
sufficiente. La differenza fra il concetto scienza tecnica tra greci e moderni è che mentre
per i primi la è subordinata e adattata alla natura, per i nuovi scienziati diventa
invece “tecnologia”, scienza che sottomette la natura.
Il cammino che porta alla rivoluzione scientifica inizia nel basso medioevo, durante
l’ultimo periodo della scolastica. Ci fu un recupero della matematica “pitagorica”,
abbinata alla ricerca e alla sperimentazione della natura.
Roberto GROSSATESTA fu il primo filosofo a compiere un passo verso la rivoluzione
scientifica. Studioso di ottica e autore della “metafisica della luce”, era fermamente
convinto nella validità scientifica dell’esperienza sensibile. Mosse, come tanti altri
filosofi nei secoli successivi, un’aspra critica ad Aristotele e ai suoi sillogismi. In verità
nel filosofo di Stagira si possono trovare molte somiglianze con i pensatori del
tempo della rivoluzione scientifica, come il credere nella necessità di interrogare
direttamente la natura. Ma con i secoli il suo pensiero fu filtrato, e correnti come la
scolastica diedero particolare peso solo alla logica Aristotelica. Grossatesta fu molto
vicino alla filosofia pitagorica riguardo all’aspetto “matematico” della natura,
ritenendo che quest’ultima si comportasse in maniera geometrica sotto l’impulso
della luce, caratteristica fondamentale del suo pensiero scientifico.
Ruggiero BACONE fu allievo di Grossatesta, ma anche di Pietro pellegrino (che nel
‘200 era già studioso di magnetismo). Era nativo di Oxford, la cui università
privilegiava una filosofia più scientifica. “Due sono i modi della conoscenza:
argomentazione ed esperimento” diceva, gettando le basi di un nuovo concetto di
conoscenza, fondata su tesi teoriche precedute e verificate da confutazioni e da
esperimenti. Riprese dal maestro anche l’idea pitagorica di una matematica che
fosse la vera essenza della realtà fisica. Fu inoltre un inventore rivoluzionario,
brevettando gli occhiali e progettando il cannocchiale sfruttando delle lenti più
potenti, e ideò esplosivi, macchine volanti e senza cavalli, e soprattutto pensò di
circumnavigare il globo, cosa possibile solo partendo dal presupposto che la terra sia
sferica.
Nel ‘400 anche la nuova corrente dell’umanesimo diede il suo contributo verso la
rivoluzione scientifica. Furono filosofi come Telesio, che diceva di studiare la natura
“iuxta propria principia”, Giordano Bruno, Campanella e Cusano che si distaccarono
definitivamente dal pensiero logico della scolastica e dai dogmi aristotelici,
fondando la corrente del “naturalismo”. Emblematica fu una frase di quest’ultimo,
“la Terra mi appare il centro, ma se stessi sulla Luna quella mi apparirebbe il centro”,
che rivela come già fossero sotto gli occhi degli uomini del XIV secolo tutte le falle
del modello aristotelico-tolemaico. L’umanesimo fu un periodo più vicino a Platone,
grazie a pensatori come Ficino e Pico della Mirandola, anche se non mancarono gli
aristotelici come Pietro Pomponazzi. A questa filosofia ancor più vicina alla scienza
della natura mancava però un metodo, che gli fu dato solo da Cartesio.
Il ‘400 fu il secolo dell’UTOPIA, centro del pensiero di filosofi come Tommaso Moro.
Il pensiero Utopico è il gettare l’amo verso il futuro. E’ un modello di società e di
struttura dello stato ideale, verso cui l’uomo deve dirigersi con tutte le proprie forze
per migliorare la propria condizione.
Quello della rivoluzione scientifica fu un periodo di rottura da un passato classicista,
che preferiva il vecchio al nuovo. I nuovi pensatori invece volevano fondare una
scienza inedita e definitiva in nome del progresso, per migliorare le condizioni
dell’uomo. Questa rivoluzione fu stimolata dall’affermarsi di un nuovo MODELLO
ASTRONOMICO ELIOCENTRICO supportata dalla nuova matematica proposta dal
neo-platonismo. Copernico diede il via a quest’epoca con il de revolutionibus orbium
celestium, pubblicato nel 1543, in cui teorizzava come il sole fosse il centro
dell’universo (termine nato in opposizione a “cosmo”, che non include la terra,
considerata dagli antichi come un corpo diverso da quelli celesti). Copernico
considerava queste orbite come qualcosa di materiale e di circolare. Bisogna
aspettare Tycho Brahe e Keplero per avere orbite “geometriche” (ovvero risultanti
dal moto circolare dei pianeti, non invece come dei “solchi nell’etere”) ed ellittiche.
terra:
Si abbatte la barriera le leggi fisiche sono uguali in tutti i punti
dell’universo secondo i nuovi filosofi. Questo nuovo UNIVERSO è INFINITO, il che
non significa che non ha confini, ma che non ha un centro.
In questo terremoto culturale l’uomo perde la propria presunta importanza come
creatura prediletta, e inizia a porsi domande sul come sia possibile la vita e se ce ne
sia anche altrove, non avendo la Terra nulla di più degli altri pianeti.
Viene rivoluzionato il concetto di scienza, non più cartacea (quello che per secoli era
stato lo studio di Aristotele), ma sul campo, interrogando direttamente la natura.
Crollano quindi le superstizioni, la magia, l’alchimia e l’astrologia di fronte ai fatti
portati dalla rivoluzione scientifica.
La chiesa, ridimensionata dalla riforma luterana, cercò di contrastare queste nuove
teorie: fu proprio il cardinale Bellarmino a screditare maggiormente Galilei, mentre
in campo luterano grandi resistenze furono espresse dal monaco Hosiander, che
scrisse un prologo all’opera di Copernico in cui cercava di far apparire la nuova
teoria non come una descrizione della realtà, ma come un modello di calcolo per
astronomi.
Le scritture non parlano di scienza. E’ questo il fondamento del pensiero del pisano
Galileo GALILEI. Lo scontro con Aristotele per lui fu immediato: se per il greco
nell’indagine della natura nulla poteva essere più vero dei sensi, Galileo invece non li
riteneva capaci di dare risposte sempre esaustive ai problemi della scienza per i loro
limiti biologici. Bisogna costruire delle macchine che sostituiscano i sensi dove essi
non arrivano. Nasce quindi il cannocchiale come mezzo fondamentale per
l’osservazione astronomica, che rivela come il moto delle stelle sia solo apparente,
che la Luna è come la terra, che il Sole ha le macchie e Saturno gli anelli. Galileo è
fautore del sistema eliocentrico in quanto più semplice, poiché spiega meglio il moto
degli astri. Malgrado questa rottura con il passato galileo cercò però un incontro con
le certezze e i dogmi della chiesa, che nonostante ciò lo condannò per due volte e lo
costrinse all’abiura. Il fulcro del pensiero scientifico di Galilei sono le “sensate
esperienze”, ovvero ciò che viene constatato direttamente tramite esperimenti (che
possono essere non solo pratici, ma anche solo mentali, di ragionamento, nel caso in
cui non sia possibile produrre in laboratorio i fenomeni indagati), con le “necessarie
dimostrazioni”, ovvero i modelli matematici che spiegano in modo teorico i
fenomeni della natura. Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni sono alla base
del METODO SCIENTIFICO GALILEIANO. Lo scienziato pisano introdusse il concetto di
scienza “perfettibile”, in continuo progresso, con leggi nuove che soppiantano quelle
vecchie errate. Secondo il filosofo Dario Antiseri, il nuovo sapere introdotto da
Galileo è “ermeneutico”, ovvero che nasce da un’intuizione teorica che viene
confermata da esperimenti. Si sviluppa quindi l’idea di “comunicare” i risultati delle
proprie ricerche fra i vari scienziati: nasce il concetto di “comunità scientifica”.
Con la rivoluzione scientifica si sente il bisogno di spiegare le nuove leggi della fisica
e dell’astronomia attraverso una nuova matematica che rompe con il passato: non si
parla più di “aritmogeometria" e di figure, ma di algebra, di geometria analitica.
Nasce quindi la MECCANICA RAZIONALE, quella categoria del pensiero scientifico
che spiega le leggi fisiche alle quali gli enti si attengono. Queste forze fisiche sono, in
termini aristotelici, “cause efficienti”. Nei nuovi modelli astronomici il moto è la
condizione naturale, non più la quiete. Inoltre questa meccanica rompe con il
passato anche perché esclude il concetto di creazione “ex nihilo”, poiché ha come
postulato fondamentale che energia e materia si conservano.
Il tempo diventa fondamentale: non è più subordinato allo spazio, ma diventa un
elemento fondamentale, una “quarta dimensione” della realtà, come direbbe
Einstein. E diventa fondamentale anche nella natura stessa delle cose: il
l’ente ma
fisico, non è più tale poiché in possesso di una in poiché ha
una determinata condizione in un certo momento del tempo. Cambia quindi anche il
concetto di orbita, che non è più qualcosa di fisico, ma è una traiettoria ideale
risultante da determinate forze di attrazione e repulsione in un dato momento.
La domanda che quindi si pone questa meccanica razionale non è più “che cos’è?”,
ma “com’è?” (in quel dato momento nello spazio e nel tempo).
La rivoluzione scientifica pose una cesura fra il pensiero classico e quello moderno. Il
motivo di questa rottura con il passato fu l’elaborazione di una NUOVA METAFISICA
e di un nuovo punto di vista nella comprensione dell’universo.
Per i classici la materia era stupida e informe, e riceveva ordine e movimento grazie
di
a un’intelligenza che la plasmava (come il Anassagora e il Demiurgo o di
Platone). In quest’ottica è il più intelligente che forma il più elementare. Con il
pensiero scientifico moderno invece la situazione è l’opposta: la materia è priva di
intelligenza, ma ottiene una forma e un movimento in base ad alcune leggi fisiche e