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Concetti Chiave

  • Il contenuto evoca un'intensa nostalgia e commozione tra i naviganti e i pellegrini al calar della sera, con un'atmosfera di contemplazione e preghiera.
  • Gli angeli appaiono nel cielo con spade fiammeggianti e abiti verdi, rappresentando giustizia e misericordia, e proteggendo dalle tentazioni.
  • Nino Visconti, incontrato da Dante, esprime sentimenti di delusione e riflessioni sulle relazioni umane, in particolare riguardo a Giovanna e Beatrice.
  • Il simbolismo degli stemmi, come il biscione e il gallo, sottolinea una critica sottile sulle alleanze e la fedeltà all'interno delle famiglie nobili.
  • Corrado Malaspina dialoga con Dante, elogiando la sua famiglia per la sua fama e virtù e preannunciando il futuro esilio di Dante con una nota di speranza e integrità.

Indice

  1. Nostalgia e preghiera serale
  2. Apparizione degli angeli
  3. Interpretazione allegorica
  4. Incontro con Nino Visconti
  5. Riflessioni su Giovanna e Beatrice
  6. Simbolismo degli stemmi
  7. Sdegno di Nino e visione celeste
  8. Dialogo con Corrado Malaspina
  9. Elogio della famiglia Malaspina

Nostalgia e preghiera serale

Era ormai l'ora (l'ultima della sera) che fa tornare un senso di nostalgia nel cuore dei naviganti e ne riempie l'animo di commozione ricordando il giorno nel quale hanno detto addio alle persone care;

era l'ora che fa sentire più struggente l'amore al pellegrino che ha appena abbandonato la sua terra, mentre ode il suono lontano d'una campana che sembra piangere il giorno che muore,

quando io cominciai a non udire più la voce di Sordello e il canto dei principi e cominciai a fissare una delle anime che, levatasi in piedi, chiedeva con un cenno della mano che tutte l'ascoltassero.

Essa congiunse ed elevò al cielo le mani, rivolgendo lo sguardo intento verso l'oriente, nell'atteggiamento di chi dice a Dio: "Nient'altro mi preme".

Dalle sue labbra l'inno «Te lucis ante» uscì con tale devota e modulata dolcezza, che mi rapì in estasi;

poi tutte le altre anime dolcemente e con devozione la seguirono cantando tutto l'inno, tenendo gli occhi fissi alle sfere celesti.

O lettore, qui aguzza bene gli occhi della tua intelligenza a ciò che veramente voglio sìgnificare, poiché il velo (che copre il senso nascosto di quanto ora segue) è così sottile che certamente non ti costerà fatica il penetrarlo esattamente.

Apparizione degli angeli

Finito il canto, io vidi quella nobile schiera di anime guardare intensamente verso l'alto, pallide ed umili, come chi aspetta qualcosa;

e vidi uscire dall'alto del cielo e scendere in basso due angeli, ciascuno con una spada fiammeggiante, tronca e priva della punta.

Erano verdi come foglioline appena spuntate le vesti che essi portavano fluenti, percosse e agitate dal vento delle verdi ali.

Uno degli angeli venne a posarsi poco più in alto di noi, l'altro invece scese sulla sponda opposta (della valletta), in modo che le anime furono racchiuse tra loro due.

Scorgevo distintamente la loro testa bionda; ma nel fulgore del volto l'occhio si smarriva, come ogni facoltà sensitiva si confonde di fronte a un oggetto superiore alle sue capacità,

«Vengono entrambi dal cielo Empireo, dove sta Maria» disse Sordello «per far la guardia alla valle, a causa del serpente che verrà da un momento all'altro.»

Interpretazione allegorica

L'invito che Dante rivolge al lettore è stato generalmente interpretato come un'esortazione a cogliere il significato emblematico dell'apparizione dei due angeli sulla sponda della "valletta" e del serpente che verrà vie via.

Ma non giustificando questo solenne richiamo la facilità con cui quell'allegoria (la tentazione che la preghiera respinge invocando l'intervento divino) si può interpretare, già Pietro di Dante avvisava che essa celava una profondità maggiore di quanto potesse apparire ad una prima lettura. Infatti tali anime, essendo salve, non possono più temere di peccare, ma, poiché la seconda cantica vuole essere l'esplicazione della vita dell'anima che inizia la sua ascesa, esse rappresentano, allegoricamente, la condizione di quelle creature che in terra hanno appena cominciato la loro penitenza e che quindi sono ancora soggette alla tentazione.

Se l'esercito di quei principi, muti, pallidi nell'aspettazione del miracolo ("si ricordi - osserva il Mattalia - dai canti precedenti, con quanta facilità le anime del Purgatorio impallidiscono per un'emozione: è la loro caratteristica: un'umbratile emotività"), è immagine di grande delicatezza, di grande vigore rappresentativo è quell'uscir dell'alto dei due angeli, grandiosi nelle loro linee, possenti nelle loro masse, pieni di quell'austerità che contraddistingue le apparizioni degli angeli danteschi, dal messo celeste che apre le porte della città di Dite all'angelo nocchiero, a quello che siederà davanti alla porta del purgatorio (canto IX, versi 78 sgg.). Canto    8 Purgatorio - Prosa articoloIl Donadoni nota con molta acutezza che gli angeli di Dante si confonderanno con l'uomo solo quando l'uomo si sarà innalzato fino ad essi, compiendo tutta la sua purificazione. Bene il Signorelli, traducendo i primi undici canti del Purgatorio nei monocromati affreschi della cattedrale di Orvieto, ha saputo ritrarre l'attimo di esaltazione energetica delle due creature angeliche, le quali si abbattono fulmineamente, come sparvieri, sull'acuminato piedistallo di due pinnacoli, anche se solo la pittura del Beato Angelico avrebbe potuto ritrarre, nelle sue tinte lievi e smorzate, la dolce luce del crepuscolo, che rende "vago" e "sfumato" questo momento poetico.

Secondo l'Anonimo Fiorentino il verde degli abiti e delle penne degli angeli indica "la etternità della speranza, la quale si figura verde", le due spade simboleggiano "la giustizia e la misericordia di Dio". ma sono senza punta per dimostrare "che non con rigore di giustizia [Dio] condanna senza misericordia, né con misericordia senza giustizia", il rosso che le affoca ricorda "l'ardore della carità con la quale sono menate". Altri commentatori ritengono invece che i due angeli rappresentino le due supreme potestà in terra, l'Impero e la Chiesa.


Incontro con Nino Visconti

Perciò io, che non sapevo da che parte (sarebbe venuto il serpente), mi guardai intorno, e tutto gelido per la paura, mi strinsi al fianco del mio fidato maestro.

Poi Sordello soggiunse: « Ora scendiamo nella valle in mezzo alle grandi ombre, e parleremo ad esse: sarà loro assai gradito vedervi».

Credo di esser disceso soltanto di tre passi. e mi trovai in basso, e vidi un'ombra che guardava con insistenza verso di me, come se mi volesse riconoscere.

In quel momento l'aria già si faceva buia, ma non tanto che a breve distanza non lasciasse scorgere chiaramente ciò che prima rendeva invìsibile.

Egli si portò verso di me, e io andai verso di lui: o nobile giudice Nino, quanta gioia provai quando vidi che non eri tra i dannati!

Nessuna affettuosa espressione di saluto fu risparmiata fra noi; poi egli chiese: « Da quanto tempo sei giunto nell'antipurgatorio attraverso l'oceano? »

« Oh! » gli risposi, « sono giunto questa mattina attraverso l'inferno, e sono ancora vivo, sebbene, facendo questo viaggio, io cerchi di guadagnare la vita eterna».

All'udire la mia risposta, Sordello e Nino si ritrassero come chi è colto da improvviso smarrimento.

Sordello si volse a Virgilio e Nino Visconti a uno che stava seduto lì accanto, gridando: « Su, Corrado! vieni a vedere quale mirabile cosa Dio volle per grazia speciale ».

Poi, rivolto a me, disse: « Per quella particolare gratitudine che tu devi a Dio che tiene così occulte le ragioni ultime del suo operare, che non esiste possibilità per l'uomo di giungere mai a comprenderle.

quando ritornerai sulla terra, di' a Giovanna che preghi per me il cielo dove vengono esaudite le invocazioni delle anime innocenti.

Non credo che sua madre mi ami più, dopo che passò a seconde nozze (trasmutò le bianche bende: le vedove portavano veli bianchi su vesti nere), anche se accadrà che, infelice!, debba rimpiangere il suo primitivo stato vedovile.

Dal suo esempio facilmente si comprende quanto poco duri in una donna il fuoco dell'amore, se di continuo non sia tenuto acceso dalla vista o dalla presenza dell'amato.

Riflessioni su Giovanna e Beatrice

Giovanna, l'unica figlia di Nino Visconti, aveva solo nove anni nel 1300; sposò poi Rizzardo da Camino, e, rimasta vedova nel 1312, visse dal 1323 al 1339, anno della sua morte, a Firenze. La moglie di Nino fu Beatrice d'Este, figlia di Obizzo Il, la quale nel 1300 si risposò con Galeazzo Visconti, signore di Milano, che, dopo essere stato scacciato dalla città nel 1302, trascorse il resto della vita in esilio fra gravi difficoltà. A queste tristi vicende alludono le parole di Nino al verso 75, anche se Beatrice, dopo la morte del secondo marito, poté rientrare a Milano, quando il figlio Azzo riconquistò la città.

La spiritualizzazione a cui il Poeta ha saputo innalzare la prima parte del canto ottavo attraverso la similitudine iniziale, l'intensità della preghiera corale, l'intervento di potenze sovrannaturali e l'accento posto sul tema della amicizia, nell'incontro con Nino, prima che su altre realtà terrene, attenuano la rievocazione di motivi umani che altrimenti graverebbero sull'anima con il peso di un dolore troppo crudo. Il mondo di là dalle larghe onde, per le lontane acque, riportatogli dall'arrivo dell'amico, per Nino non significa l'eco di lotte politiche o di battaglie, ma la presenza di un mondo più intimo e suo, fatto delle immagini di persone che gli furono e gli sono ancora care. "E se anche il cuore ha una dolorosa certezza, umanamente vuole ancora illudersi che un simile oblio non possa esser vero. Beatrice, la moglie, non è più tale per Nino; è solo la sua madre, la madre di Giovanna; eppure egli premette quel non credo, che vorrebbe salvare un'ultima speranza, non credo che la sua madre più m'ami. E spiega il perché di tale oblio velando la cosa - le seconde nozze di Beatrice - in un particolare esteriore che ne attenua la crudezza: poscia che trasmutò le bianche bende, ed ha, ultimo bagliore d'una tenerezza non sopita, un senso di pietà anche per lei mutevole, fragile creatura che fa soffrire, anche dopo la morte, soffrendo anche lei com'è destino degli uomini: le quai convien che, misera!, ancor brami." (Grabher)

Simbolismo degli stemmi

L'insegna del biscione intorno alla quale i Milanesi sogliono porre il campo in tempo di guerra, quando sarà scolpita sul suo sepolcro non lo renderà così bello, come l'avrebbe reso il gallo di Gallura ».

Lo stemma dei Visconti (una vipera con in bocca un bambino) non darà alla tomba di Beatrice quell'onore che le avrebbe conferito l'immagine del gallo, stemma dei Visconti pisani, che indicava anche il loro possesso del giudicato di Gallura. Varie sono le interpretazioni intorno al paragone fra i due stemmi, perché secondo alcuni esso è solo una critica al fatto che Beatrice non si è mantenuta fedele al marito morto, secondo altri si risolve in un biasimo per la donna che da una famiglia guelfa è passata ad una famiglia ghibellina, quale quella dei Visconti di Milano. Probabilmente Dante intende alludere all'uno e all'altro motivo.


Sdegno di Nino e visione celeste

Così parlava Nino, avendo impresso sul volto, quel giusto sdegno che senza eccedere gli ardeva nel cuore.

I miei occhi, avidi di novità, si volgevano con insistenza al cielo, sempre verso il polo dove le stelle girano più lente, allo stesso modo che i raggi di una ruota (si muovono più lenti) nella parte più vicina all'asse.

E la mia guida mi domandò: « Figliolo, che cosa quardi lassu? » Io gli risposi: « Guardo quelle tre piccole luci che illuminano tutto quanto il polo antartico ».

Perciò egli replicò: « Le quattro stelle luminose che vedevi stamattina sono già scese sotto l'orizzonte, e queste sono salite al loro posto ».

Mentre Virgilio parlava, ecco che Sordello lo attirò a sé dicendo: «Vedi là il nostro avversario»; e indicò col dito il punto dove guardare.

Dal lato dove la valletta non è chiusa da alcuna sponda, c'era un serpente, simile forse a quello che diede a Eva il frutto, causa di tante amarezze.

Il serpe maligno veniva strisciando tra l'erba e i fiori, volgendo il capo ora a destra ora a sinistra, e leccandosi il dorso come una bestia che si liscia (con la lingua il pelo).

Non riuscii a vedere, e perciò non posso dire, come spiccarono il volo i due angeli; ma vidi bene l'uno e l'altro dopo che si furono mossi.

Al solo udire il rumore delle verdi ali che fendevano l'aria, il serpente fuggì, e allora gli angeli si voltarono, ritornando con volo concorde in alto ai loro posti di guardia.

L'anima che s'era accostata al giudice Nino, quando questi l'aveva chiamata durante tutto l'assalto (degli angeli contro il serpente) non si era per nulla distolta dal guardarmi.

« Possa la grazia divina che ti è guida verso l'alto, trovare nella tua libera volontà tanta corrispondenza, quanta ne occorre per salire fino alla vetta del monte smaltata di verde »

cominciò a dire, « se hai notizie certe della Val di Magra (in Lunigiana) o dei paesì vicini, dimmele, poiché un tempo io ero potente in quei luoghi.

Mi chiamai Corrado Malaspina; non sono Corrado Malaspina il vecchio, ma da lui sono disceso: alla mia famiglia e alla sua potenza portai un amore che qui si purifica d'ogni scoria. »

Corrado Malaspina il giovane, morto nel 1294, fu nipote di Corrado il vecchio, capostipite dei Malaspina dello Spino secco, che dominarono la Lunigiana. Dante fu in Lunigiana nel 1306 (perché il suo nome appare in un documento di tale anno, allorché dai marchesi Franceschino, Moroello e Corradino ebbe l'incarico di porre fine ad alcune controversie con il vescovo di Luni) e fu legato da grande amicizia con Moroello, marchese di Giovagallo, al quale indirizzò l'Epistola IV.


Dialogo con Corrado Malaspina

« Oh! » gli dissi, « non sono mai stato nei vostri paesi; ma vi può essere un luogo in tutta Europa dove essi non siano noti?

La fama che onora la vostra casata, esalta i signori e gli abitanti di tutta la regione, in modo tale che viene conosciuta anche da chi non è ancora passato per quei luoghi.

E vi giuro, così possa io salire fino alla vetta del monte, che la vostra nobile famiglia continua a fregiarsi delle virtù della liberalità e della prodezza.

L'abitudine alla virtù e l'indole naturale la pongono in una condizione così privilegiata, che, per quanto la cattiva guida del Papa e dell'Imperatore faccia deviare il mondo dalla retta via, essa sola continua nella strada della perfezione e disprezza il male. »

Ed egli: « Ora va; il sole non tornerà sette volte in quel tratto dell'eclittica che la costellazione dell'Ariete (con la quale il sole è ora in congiunzione) copre e cavalca con tutte e quattro le zampe ripiegate (cioè non passeranno sette anni),

che questa gentile opinione (sulla mia famiglia) ti sarà fissata nella mente con argomenti più persuasivi che non siano i discorsi della gente,

a meno che non si arresti il corso dei decreti divini».

Elogio della famiglia Malaspina

Nell'atmosfera di sospeso silenzio, seguita all'assalto del serpente, si prepara la severa grandezza dell'ultima scena: Corrado Malaspina, che non aveva mai distolto gli occhi dal privilegiato viandante (versi 110~111), "come a penetrare, con uno sguardo lungo, intenso e silenzioso, nelle profondità del doloroso tempo che per quel vivente si apparecchiava" (Sacchetto), è l'eletto a rappresentare, nella "valletta fiorita", il principe ideale, l'esponente degno di quella famiglia, che, fra i grandi d'Italia e d'Europa, si pone come quella che sola va dritta e 'l mal cammin dispregia, il nobile signore che ha realizzato, secondo il giudizio del Sacchetto, con la esemplarità della sua vita e l'assolvimento pieno della sua missione, il sogno generoso di Dante.

Si stacca dalla schiera dei principi raccolti nella valletta... Non lo hanno sfiorato le accuse scagliate dal Poeta contro i mali reggitori della terra. E, durante l'assalto del serpente, è apparso persino sdegnoso di seguirne la vicenda, come a sottolineare che egli si poneva al di sopra delle suggestioni esercitate dalla cupidigia, radice di ogni male. Né ha cessato di guardare insistentemente il Poeta. E ciò non tanto perché intorno a costui fosse lo stupore del gran privilegio per cui attraversava, vivente, il regno dei morti, quanto perché egli era colui che avrebbe, con la sua non peritura parola, celebrato nella gloria della sua casa quelle virtù che, sole, avrebbero restituito al genere umano la promessa e la certezza di un ordine migliore." (Sacchetto) E nella profezia dell'esilio è il ricordo della Val di Magra, "una delle poche regioni di cui Dante abbia conservato un ricordo puro, senza veleno, un'acuta nostalgia, senz'ombra di amaritudine... sopra tutto lo ha consolato, in essa, l'ospitalità schietta del nobile signore che lo ha accolto, e della cui casa, celebrata in tutta Europa per il retto uso della borsa e della spada, c'è appunto, in questo canto, l'elogio alto e commosso" (Sacchetto). Perciò il preannuncio severo e solenne dell'esilio è consolato dal dono di quella gentilezza e di quella cortesia che lo salveranno dalla disperazione.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato allegorico dell'apparizione degli angeli nella "valletta"?
  2. L'apparizione degli angeli simboleggia la protezione divina contro la tentazione, rappresentata dal serpente. Le anime, pur essendo salve, sono ancora soggette alla tentazione, riflettendo la condizione di chi inizia la penitenza sulla terra.

  3. Chi è Nino Visconti e quale messaggio affida a Dante?
  4. Nino Visconti è un'anima incontrata da Dante, che esprime gioia nel non trovarsi tra i dannati. Chiede a Dante di dire a sua figlia Giovanna di pregare per lui, poiché non crede che sua madre, Beatrice d'Este, lo ami ancora dopo essersi risposata.

  5. Qual è il simbolismo degli stemmi menzionati nel testo?
  6. Lo stemma del biscione dei Visconti di Milano è paragonato al gallo dei Visconti pisani. Questo confronto critica Beatrice per non essere rimasta fedele a Nino e per il suo passaggio da una famiglia guelfa a una ghibellina.

  7. Come viene descritto l'incontro con Corrado Malaspina?
  8. Corrado Malaspina, un nobile della Lunigiana, chiede a Dante notizie della sua terra. Dante elogia la famiglia Malaspina per la loro virtù e liberalità, nonostante la cattiva guida del Papa e dell'Imperatore.

  9. Qual è l'importanza della famiglia Malaspina secondo il testo?
  10. La famiglia Malaspina è celebrata per la sua virtù e liberalità, rappresentando un ideale di nobiltà e rettitudine. Dante prevede che la loro reputazione sarà confermata da eventi futuri, sottolineando la loro importanza e integrità.

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