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Concetti Chiave

  • I biomarcatori devono persistere nel sangue abbastanza a lungo per essere utili nell'identificazione di condizioni mediche.
  • L'acido lattico è sensibile per rilevare un infarto, ma la sua emivita breve lo rende poco pratico per la diagnosi in ospedale.
  • L'AST, un enzima nelle cellule cardiache, aumenta solo 24 ore dopo un infarto, rendendo il suo dosaggio poco utile nelle emergenze.
  • La finestra diagnostica efficace richiede che i biomarcatori aumentino o diminuiscano nel momento giusto per una diagnosi tempestiva.
  • Valutare la gravità di una condizione attraverso i biomarcatori può essere difficile senza un valore di riferimento iniziale.

Finestra diagnostica

Persistere nel sangue per un periodo di tempo sufficiente a garantire un’adeguata finestra diagnostica. Questa condizione rientra in parte nel discorso relativo al punto 3. ma con una precisazione in più. È doveroso, infatti, poter disporre di un biomarcatore la cui alterazione nella concentrazione sia misurabile nel momento in cui viene effettuato il dosaggio. Ad esempio, si consideri l’acido lattico come biomarcatore per l’infarto. Esso risulta essere il più sensibile fra i marcatori esistenti per questa condizione: l’infarto è infatti causato da un’ischemia prolungata quindi, in caso di mancata ossigenazione delle cellule, queste passano da un metabolismo aerobico (con glicolisi, ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa, che si basa su citocromi ed ossigeno) ad un metabolismo anaerobico, con produzione di piruvato e acido lattico. Se fosse possibile, dunque, dosare l’acido lattico nel giro di tre minuti dopo che è avvenuto l’infarto, si riscontrerebbe un dato molto elevato che porterebbe immediatamente a una diagnosi certa. Purtroppo però, l’acido lattico ha un’emivita di 5-10 minuti. Quando il paziente arriva in ospedale questo tipo di esame risulta inutile. In qualità di biomarcatore quindi, l’acido lattico presenta un incremento troppo precoce, per risultare diagnosticamente rilevante.
Un altro esempio significativo è quello di AST (aspartato transaminasi); questo è un enzima contenuto all’interno delle cellule cardiache (ma anche nel fegato, tessuto muscolare e altri organi) e che in passato veniva dosato in laboratorio poiché il suo aumento è sempre correlato a casi di infarto. Si potrebbe quindi pensare di usare il suo dosaggio come strumento diagnostico, e tuttavia ciò è impossibile, perchè questo enzima aumenta in modo considerevole solo dopo 24 ore. Nelle prime 8 ore non si riscontra AST aumentato e, in caso di un paziente con elettrocardiogramma positivo ed infarto STEMI, non è possibile aspettare questo tempo prima di intervenire. In entrambe le circostanze ci si trova dunque al di fuori della finestra diagnostica: nel caso dell’acido lattico perchè esso aumenta troppo precocemente e nel caso dell’AST perchè aumenta troppo tardivamente.
Idealmente, maggiore il valore del biomarcatore e peggiore sarà il decorso della condizione. Ad esempio, un paziente che presenta un valore di emoglobina pari a 140 g/L, e che passa poi a 80 g/L, desterà più preoccupazione rispetto ad un soggetto che subisce una diminuzione da 140 a 130 g/L. Analogamente, un paziente che passa da 140 a 110 è più preoccupante di un paziente che passa da 85 a 80. Anche in questo caso, però, nella pratica non è sempre così, anche perchè spesso senza il dato iniziale non si può risalire al grado di diminuzione/aumento del valore.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza della finestra diagnostica nel contesto dei biomarcatori?
  2. La finestra diagnostica è cruciale perché un biomarcatore deve persistere nel sangue abbastanza a lungo per essere misurabile al momento del dosaggio, garantendo così una diagnosi accurata.

  3. Perché l'acido lattico non è un biomarcatore efficace per l'infarto?
  4. L'acido lattico non è efficace perché aumenta troppo rapidamente dopo un infarto, rendendo il suo dosaggio inutile quando il paziente arriva in ospedale.

  5. Quali sono le limitazioni dell'AST come biomarcatore per l'infarto?
  6. L'AST aumenta significativamente solo dopo 24 ore, rendendolo inadeguato per una diagnosi tempestiva in caso di infarto, dove è necessario intervenire rapidamente.

  7. Come si interpreta il cambiamento nei valori dei biomarcatori in relazione alla gravità della condizione?
  8. Un maggiore cambiamento nei valori dei biomarcatori indica generalmente un decorso peggiore della condizione, ma senza il dato iniziale, è difficile determinare l'entità del cambiamento.

Domande e risposte

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