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Leopardi
Di solito pensiamo a Leopardi come un poeta completamente pessimista che contempla la sua infelicità, isolato dal mondo e da tutti i problemi della società. In realtà, il suo pessimismo nasce solo come reazione alla sua condizione e dimostra proprio un bisogno di gioia e di energia, quasi come una protesta, una ribellione, contro la natura e contro la società, che soffocano la felicità umana.
Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, paese delle Marche, che all’epoca apparteneva allo Stato pontificio. La sua era una famiglia nobile, di proprietari terrieri, suo padre era un conte e possedeva una grande biblioteca, nella quale Giacomo studia fin da piccolo, con dei precettori, che però rispecchiano un ambiente autoritario, conservatore e, quasi arretrato, considerando le idee di rivoluzione che giravano nell’800. Già a 10 anni però, si dimostrò estremamente intelligente, tanto che non ebbe più bisogno di insegnanti. A causa anche della mancanza di affetto da parte della famiglia, si dedica completamente agli studi, da solo, per 7 anni, nella biblioteca del padre, peggiorando il suo fisico già fragile.
Inizialmente si dedicò alla cultura classica (imparando greco, latino e ebraico) e ad opere scientifiche che però rispecchiavano una cultura superata. Nel 1816, si evolve il suo stile di scrittura e si concentra sulla bellezza dell’arte, mentre nel 1819 tenta la fuga dai genitori, ma viene scoperto e, mandato a casa, cade in depressione. A questo punto però il suo pensiero matura ancora, passando dal “bello” al “vero”, e si dedica completamente alla scrittura (proprio in questo periodo scrive l’Infinto).
In quel periodo iniziò anche l’amicizia, tramite lettere, con Pietro Giordani, uno degli intellettuali più importanti di quegli anni, che aveva idee laiche e democratiche. Con lui, Leopardi trova sia una guida intellettuale, sia un senso di affetto che mancava in famiglia.
Dal 1822 riesce ad uscire dall’ambiente chiuso di Recanati, andando prima a Roma (dove però resta deluso da un’ambiente praticamente vuoto); poi a Milano e a Bologna, lavorando per un editore; a Firenze, dove si innamora di una donna e stringe amicizia con Antonio Ranieri; infine a Napoli, dove vive per 4 anni insieme a Ranieri, fino alla sua morte nel 1837.
Lettere e scritti autobiografici
Di Leopardi ci è rimasto un ampio gruppo di lettere, tra le quali:
- Quelle a Pietro Giordani, che diventò un vero e proprio confidente, con il quale parlava dei suoi pensieri, delle idee letterarie e dei suoi progetti.
- Quelle ai familiari: al fratello Carlo e alla sorella Paolina, che si mostrano affettuosi e vicini; mentre nelle lettere al padre traspare proprio un bisogno di affetto.
- Scrisse poi diverse lettere anche a intellettuali del tempo come Vincenzo Monti o Vieusseux.
Leopardi pensava di scrivere anche un romanzo autobiografico, usando come modelli i Werther di Goethe e l’Ortis di Foscolo. Di questo progetto sono rimasti vari appunti nei quali si riconoscono i temi che saranno poi ripresi nelle poesie.
Pensiero
Il pensiero di Leopardi è caratterizzato dal pessimismo.
L’uomo cerca un piacere infinito, sia come durata che come intensità, che dia quindi felicità. Ma nessuno dei piaceri provati dall’uomo è infinito; la conseguenza è quindi un senso continuo di vuoto, di insoddisfazione, dal quale nasce l’infelicità dell’uomo.
Solo l’età dell’infanzia può essere felice, perché si hanno ancora speranze e fiducia nel futuro, che svaniranno nell’età adulta.
Il pessimismo leopardiano si divide in varie fasi:
- Pessimismo individuale: caratterizza il periodo giovanile, nel quale Leopardi crede di essere l’unico a soffrire, a causa della mancanza di gioie nella vita, del suo aspetto fisico, e del contesto in cui si trova. Per questo quindi pensa di essere destinato all’infelicità.
Qui però arriva la natura, in questa fase concepita come benigna, che offre un rimedio all’uomo, ovvero immaginazione e illusioni, con le quali nasconde agli uomini la loro condizione. Per questo i Greci e i Romani (così come i bambini), che erano più vicini alla natura (al contrario degli uomini moderni) erano felici. - Pessimismo storico: si sviluppa quando scopre che il dolore è di tutti gli uomini ed è provocato dal progressivo allontanamento dalla natura.
Il progresso della civiltà e della ragione hanno portato ad un progressivo allontanamento dalla natura e hanno generato egoismo, corruzione e avidità.
La colpa dell’infelicità è attribuita quindi all’uomo stesso, che si è allontanato dalla natura benigna.
Leopardi dà anche un duro giudizio sulla civiltà dei suoi anni, piatta e decaduta dalla grandezza del passato, e assume un atteggiamento titanico, cerca quasi di sfidare da solo il fato che ha colpito l’Italia. - Pessimismo cosmico: col tempo però la concezione di una natura benigna entra in crisi: Leopardi si rende conto che è stata proprio la natura a mettere nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza però dargli i mezzi per soddisfarlo.
La natura diventa quindi maligna, che colpisce indifferentemente tutti gli uomini. L’uomo non è più la causa della propria infelicità ma è solo una vittima innocente della crudeltà della natura.
L’infelicità non è più legata ad una condizione storica ma diventa un dato eterno e immutabile.
Leopardi allora abbandona la poesia civile e il titanismo, e assume un atteggiamento di contemplazione, più distaccato e rassegnato anche se in seguito ritornerà l’atteggiamento di protesta e di sfida alla natura, fino al termine della sua vita, quando, nella Ginestra, arriva ad una concezione del progresso e della vita sociale, secondo la quale gli uomini devono aiutarsi a vicenda per fronteggiare l’infelicità comune.
La poetica del “vago e indefinito”
Se un piacere infinito è impossibile da raggiungere nella realtà, lo si può raggiungere nell’immaginazione. L’immaginazione diventa quindi l’alternativa alla vera realtà, che è fatta solamente di infelicità.
E quello che stimola l’immaginazione, quasi a costruire una realtà parallela, è tutto ciò che è vago e indefinito, aiutato dalla vista (teoria della visione: ad esempio la vista impedita da un ostacolo, stimola l’immaginazione) e dall’udito (teoria del suono: grazie ad una serie di suoni vaghi, che quindi stimolano a immaginare, come un canto che si allontana.
Il bello poetico, per Leopardi, consiste quindi in tutto quello che è “vago e indefinito” ma questo tipo di immagini sono suggestive anche perché ci hanno affascinato da bambini. Si parla infatti di poetica della rimembranza: la poesia quindi è il recupero, attraverso il ricordo, di quello che, da bambini, suscitava la nostra immaginazione (esempi: “lontano”, “notte”, “eterno”).
E i maestri della poesia vaga ed indefinita sono stati gli antichi che, essendo più vicini alla natura, avevano l’immaginazione dei bambini. Al contrario, l’uomo moderno, allontanandosi dalla natura, ha perso questa capacità di immaginare ed è destinato ad una poesia sentimentale, consapevole dell’infelicità, anche se Leopardi non si rassegna e scrive comunque una poesia d’immaginazione.
Leopardi e il Romanticismo
La formazione di Leopardi è stata rigorosamente classicista e fu influenzata anche dall’amicizia con Pietro Giordani, che era classicista. Leopardi infatti, nella polemica tra classicisti e romantici, si schierò con i primi.
Però le sue tesi sono molto più originali rispetto a quelle dei classicisti, si può parlare infatti di un classicismo romantico: Leopardi critica il classicismo accademico, che si rifaceva a precisi canoni di imitazione e abusava della mitologia classica ma criticava anche i romantici, che ricercavano troppo le cose strane ed erano troppo attaccati al “vero”, distruggendo l’immaginazione.
Con Leopardi i modelli restano i classici, ma trattati con uno spirito romantico, esaltando la spontaneità, la fantasia e l’immaginazione.
Leopardi inoltre preferisce una lirica che esalta la soggettività e i sentimenti e appare più vicino alla poesia romantica del resto d’Europa, grazie ai temi che troviamo nelle sue opere (come la tensione verso l’infinito, il titanismo, i sentimenti, la soggettività e il dolore generale).
Bisogna però precisare che in quel periodo Leopardi aveva la concezione della natura benigna, tipica dei romantici. In seguito, con la natura maligna, Leopardi si distacca da quei temi e prevale quello del “vero”, al posto del vago e indefinito e delle illusioni.
I canti
Il periodo del 1816 sino alla crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterali, anche se molti restano solo progetti incompiuti.
Nel 1831, dopo aver già pubblicato vari componimenti, raccoglie dei testi e li pubblica in un volume, che chiama Canti. Ci starà una seconda edizione della raccolta che comprenderà componimenti successivi.
Il titolo Canti, rimanda al carattere lirico di queste poesie, che nascono dalla soggettività dell’autore (anche per temi civili e filosofici); allo stesso modo presenta generi poetici diversi, ovvero, canzoni, elegie, epistole, e testi scritti in forma libera.
Le Canzoni
Sono componimenti di impianto classicistico, che riproducono lo schema metrico fissato sin dalla lirica duecentesca e da Dante. Presentano uno stile e un linguaggio aulico e sublime.
Le prime cinque affrontano una tematica civile. Alla base vi è il pensiero del pessimismo storico. Sono animate da spunti polemici contro la realtà presente. A questa polemica si contrappone un’esaltazione alle antiche età, generose e magnanime.
Con altri componimenti, cambiano le caratteristiche. Si parla delle canzoni di Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo. Leopardi non ne parla in prima persona ma delega il discorso poetico ai due personaggi, entrambi dell’antichità e suicidi.
Vi è una svolta nel pessimismo storico, si delinea l’idea di un’umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Si incolpano infatti gli Dei e il fato, visto come forze malvagie che perseguitano l’uomo. Ad esse si contrappone l’uomo singolo, che si ribella arrivando ad un gesto di sfida suprema, la morte.
È questa la rappresentazione del titanismo eroico che caratterizza il primo Leopardi.
Gli Idilli
Un carattere molto diverso dalle Canzoni presentano gli Idilli, sia nelle tematiche, che sono più intime e autobiografiche, sia nel linguaggio, che è più colloquiale e semplice. Con questo titolo Leopardi designò alcuni componimenti, scritti tra il 1819 e il 1821, come: L’infinito, Alla luna, il sogno ecc.
Il titolo non compare nella raccolta dei Canti, ma è rimasto nome comune per indicare i componimenti.
La parola idillio deriva dal greco e significa “immagine, quadro”, quindi “quadretto”, ed indicava componimenti brevi ambientati in un mondo pastorale idealizzato.
Inizialmente Leopardi era rimasto sulle tematiche pastorali, ma poi, dal 1828 definì gli idilli come espressione di sentimenti, affezioni e avventure del suo animo.
I grandi Idilli
Quando si rende conto di trovarsi solamente davanti a delle illusioni (le illusioni giovanili, dell’infanzia), Leopardi smette di scrivere, abbandona gli atteggiamenti titanici e presenta una visione distaccata della realtà.
Dopo il periodo felice trascorso a Pisa risorgono i suoi sentimenti e le sue emozioni e scrive quelli che oggi chiamiamo grandi idilli (A Silvia, Il passero solitario, Il sabato del villaggio ecc).
Questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti, degli idilli: vi sono illusioni, speranze, rimembranze. Si presenta un linguaggio limpido e musicale.
La distanza dai primi idilli
I grandi idilli e i precedenti hanno importanti differenze, essendo stati scritti dopo una maturazione del pensiero di Leopardi:
- Con i grandi idilli compaiono temi decisivi per la poetica di Leopardi, come la fine delle illusioni giovanili, la consapevolezza del vero e la consapevolezza di un dolore assoluto.
- C’è una maggiore consapevolezza del dolore, della morte e del vuoto dell’esistenza.
- Di conseguenza, Leopardi ha un atteggiamento più distaccato, di contemplazione.
- Non viene più usato l’endecasillabo sciolto ma una strofa nella quale si ripetono endecasillabi e settenari. Questo tipo di metrica è detta proprio “canzone libera leopardiana”.
Il “Ciclo di Aspasia”
L’ultima stagione leopardiana (dopo il 1830 e dopo il definitivo allontanamento da Recanati) segna una nuova svolta rispetto alla poesia precedente. Resta quel pessimismo assoluto ma Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del suo tempo. Egli appare più pronto e combattivo nel diffondere le proprie idee.
L’apertura si verifica anche sul piano umano e sentimentale. A Firenze fa amicizia con Ranieri e ha la prima esperienza d’amore.
Dalla delusione, scrive il “ciclo di Aspasia”, dal nome greco con il quale Leopardi identificava la donna amata. Il ciclo è costituito da 5 componimenti.
Si ha una poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili. Vi compaiono atteggiamenti eroici, il linguaggio si fa aspro, musicale e la sintassi è complessa.
La polemica contro l’ottimismo progressista
In questo periodo si instaura un rapporto intenso con le correnti ideologiche del tempo.
Leopardi però critica tutte le ideologie che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento indefinito della vita degli uomini. A queste ideologie contrappone le proprie concezioni pessimistiche che escludono ogni miglioramento della condizione umana, affermando che l’infelicità e la sofferenza sono eterni e immodificabili.
La ginestra e l’idea leopardiana del progresso
Una svolta essenziale si presenta con La ginestra, la sua ultima lirica, che è quasi un testamento spirituale.
Il componimento ripropone la dura polemica anti-ottimistica e antireligiosa.
Però qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: cerca anzi di costruire un'idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La consapevolezza lucida della reale condizione umana, indicando la natura come la vera nemica, può indurre gli uomini a unirsi in una «social catena» per combattere la sua minaccia. La ginestra, sul piano letterario, è un vasto poemetto, costruito con sapiente alternanza di toni, dal grandioso al tragico.
Leopardi
Di solito pensiamo a Leopardi come un poeta completamente pessimista che
contempla la sua infelicità, isolato dal mondo e da tutti i problemi della società.
In realtà, il suo pessimismo nasce solo come reazione alla sua condizione e
dimostra proprio un bisogno di gioia e di energia, quasi come una protesta, una
ribellione, contro la natura e contro la società, che soffocano la felicità umana.
Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, paese delle Marche, che all’epoca
apparteneva allo Stato pontificio. La sua era una famiglia nobile, di proprietari
terrieri, suo padre era un conte e possedeva una grande biblioteca, nella quale
Giacomo studia fin da piccolo, con dei precettori, che però rispecchiano un
ambiente autoritario, conservatore e, quasi arretrato, considerando le
idee di rivoluzione che giravano nell’800. Già a 10 anni però, si dimostrò
estremamente intelligente, tanto che non ebbe più bisogno di insegnanti. A
causa anche della mancanza di affetto da parte della famiglia, si dedica
completamente agli studi, da solo, per 7 anni, nella biblioteca del padre,
peggiorando il suo fisico già fragile.
Inizialmente si dedicò alla cultura classica (imparando greco, latino e ebraico) e
ad opere scientifiche che però rispecchiavano una cultura superata. Nel 1816,
si evolve il suo stile di scrittura e si concentra sulla bellezza dell’arte, mentre
nel 1819 tenta la fuga dai genitori, ma viene scoperto e, mandato a casa, cade
in depressione. A questo punto però il suo pensiero matura ancora, passando
dal “bello” al “vero”, e si dedica completamente alla scrittura (proprio in
l’Infinto).
questo periodo scrive
In quel periodo iniziò anche l’amicizia, tramite lettere, con Pietro Giordani,
uno degli intellettuali più importanti di quegli anni, che aveva idee laiche e
democratiche. Con lui, Leopardi trova sia una guida intellettuale, sia un senso
di affetto che mancava in famiglia.
Dal 1822 riesce ad uscire dall’ambiente chiuso di Recanati, andando prima a
Roma (dove però resta deluso da un’ambiente praticamente vuoto); poi a
Milano e a Bologna, lavorando per un editore; a Firenze, dove si innamora di
una donna e stringe amicizia con Antonio Ranieri; infine a Napoli, dove vive
per 4 anni insieme a Ranieri, fino alla sua morte nel 1837.
Lettere e scritti autobiografici
Di Leopardi ci è rimasto un ampio gruppo di lettere, tra le quali:
Quelle a Pietro Giordani, che diventò un vero e proprio confidente, con
il quale parlava dei suoi pensieri, delle idee letterarie e dei suoi
progetti.
Quelle ai familiari: al fratello Carlo e alla sorella Paolina, che si
mostrano affettuosi e vicini; mentre nelle lettere al padre traspare
proprio un bisogno di affetto.
Scrisse poi diverse lettere anche a intellettuali del tempo come
Vincenzo Monti o Vieusseux.
Leopardi pensava di scrivere anche un romanzo autobiografico, usando
come modelli i Werther di Goethe e l’Ortis di Foscolo. Di questo progetto
sono rimasti vari appunti nei quali si riconoscono i temi che saranno poi
ripresi nelle poesie.
Pensiero
Il pensiero di Leopardi è caratterizzato dal pessimismo.
infinito,
L’uomo cerca un piacere sia come durata che come intensità, che
dia quindi felicità. Ma nessuno dei piaceri provati dall’uomo è infinito; la
conseguenza è quindi un senso continuo di vuoto, di insoddisfazione,
dal quale nasce l’infelicità dell’uomo.
Solo l’età dell’infanzia può essere felice, perché si hanno ancora
speranze e fiducia nel futuro, che svaniranno nell’età adulta.
Il pessimismo leopardiano si divide in varie fasi:
Pessimismo individuale : caratterizza il periodo giovanile, nel
quale Leopardi crede di essere l’unico a soffrire, a causa della
mancanza di gioie nella vita, del suo aspetto fisico, e del contesto
in cui si trova. Per questo quindi pensa di essere destinato
all’infelicità.
Qui però arriva la natura, in questa fase concepita come benigna,
che offre un rimedio all’uomo, ovvero immaginazione e illusioni,
con le quali nasconde agli uomini la loro condizione. Per questo i
Greci e i Romani (così come i bambini), che erano più vicini alla
natura (al contrario degli uomini moderni) erano felici.
Pessimismo storico : si sviluppa quando scopre che il dolore è di
tutti gli uomini ed è provocato dal progressivo allontanamento
dalla natura.
Il progresso della civiltà e della ragione hanno portato ad un
progressivo allontanamento dalla natura e hanno generato
egoismo, corruzione e avidità.
La colpa dell’infelicità è attribuita quindi all’uomo stesso, che si è
allontanato dalla natura benigna.
Leopardi dà anche un duro giudizio sulla civiltà dei suoi anni, piatta
e decaduta dalla grandezza del passato, e assume un
atteggiamento titanico, cerca quasi di sfidare da solo il fato che
ha colpito l’Italia.
Pessimismo cosmico : col tempo però la concezione di una natura
benigna entra in crisi: Leopardi si rende conto che è stata proprio la
natura a mettere nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza
però dargli i mezzi per soddisfarlo.
La natura diventa quindi maligna, che colpisce indifferentemente
tutti gli uomini. L’uomo non è più la causa della propria infelicità
ma è solo una vittima innocente della crudeltà della natura.
L’infelicità non è più legata ad una condizione storica ma diventa
un dato eterno e immutabile.
Leopardi allora abbandona la poesia civile e il titanismo, e
assume un atteggiamento di contemplazione, più distaccato e
rassegnato anche se in seguito ritornerà l’atteggiamento di
protesta e di sfida alla natura, fino al termine della sua vita,
Ginestra,
quando, nella arriva ad una concezione del progresso e
della vita sociale, secondo la quale gli uomini devono aiutarsi
a vicenda per fronteggiare l’infelicità comune.
La poetica del “vago e indefinito”
Se un piacere infinito è impossibile da raggiungere nella realtà, lo si può
raggiungere nell’immaginazione. L’immaginazione diventa quindi
l’alternativa alla vera realtà, che è fatta solamente di infelicità.
E quello che stimola l’immaginazione, quasi a costruire una realtà
parallela, è tutto ciò che è vago e indefinito, aiutato dalla vista (teoria
della visione: ad esempio la vista impedita da un ostacolo, stimola
l’immaginazione) e dall’udito (teoria del suono: grazie ad una serie di
suoni vaghi, che quindi stimolano a immaginare, come un canto che si
allontana.
Il bello poetico, per Leopardi, consiste quindi in tutto quello che è “vago
e indefinito” ma questo tipo di immagini sono suggestive anche perché ci
hanno affascinato da bambini. Si parla infatti di poetica della
rimembranza: la poesia quindi è il recupero, attraverso il ricordo, di
quello che, da bambini, suscitava la nostra immaginazione (esempi:
“lontano”, “notte”, “eterno”).
E i maestri della poesia vaga ed indefinita sono stati gli antichi che,
essendo più vicini alla natura, avevano l’immaginazione dei bambini. Al
contrario, l’uomo moderno, allontanandosi dalla natura, ha perso
questa capacità di immaginare ed è destinato ad una poesia
sentimentale, consapevole dell’infelicità, anche se Leopardi non si
rassegna e scrive comunque una poesia d’immaginazione.
Leopardi e il Romanticismo
La formazione di Leopardi è stata rigorosamente classicista e fu
influenzata anche dall’amicizia con Pietro Giordani, che era classicista.
Leopardi infatti, nella polemica tra classicisti e romantici, si schierò con i
primi.
Però le sue tesi sono molto più originali rispetto a quelle dei classicisti, si
può parlare infatti di un classicismo romantico: Leopardi critica il
classicismo accademico, che si rifaceva a precisi canoni di imitazione e
abusava della mitologia classica ma criticava anche i romantici, che
ricercavano troppo le cose strane ed erano troppo attaccati al “vero”,
distruggendo l’immaginazione.
Con Leopardi i modelli restano i classici, ma trattati con uno
spirito romantico, esaltando la spontaneità, la fantasia e
l’immaginazione.
Leopardi inoltre preferisce una lirica che esalta la soggettività e i
sentimenti e appare più vicino alla poesia romantica del resto
d’Europa, grazie ai temi che troviamo nelle sue opere (come la tensione
verso l’infinito, il titanismo, i sentimenti, la soggettività e il dolore
generale).
Bisogna però precisare che in quel periodo Leopardi aveva la concezione
della natura benigna, tipica dei romantici. In seguito, con la natura
maligna, Leopardi si distacca da quei temi e prevale quello del “vero”, al
posto del vago e indefinito e delle illusioni.
I canti
Il periodo del 1816 sino alla crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterali, anche se
molti restano solo progetti incompiuti.
Nel 1831, dopo aver già pubblicato vari componimenti, raccoglie dei testi e li
Canti.
pubblica in un volume, che chiama Ci starà una seconda edizione della
raccolta che comprenderà componimenti successivi.
Il titolo Canti, rimanda al carattere lirico di queste poesie, che nascono dalla
soggettività dell’autore (anche per temi civili e filosofici); allo stesso modo presenta
generi poetici diversi, ovvero, canzoni, elegie, epistole, e testi scritti in forma
libera. Canzoni
Le
Sono componimenti di impianto classicistico, che riproducono lo schema
metrico fissato sin dalla lirica duecentesca e da Dante. Presentano uno stile
e un linguaggio aulico e sublime.
Le prime cinque affrontano una tematica civile. Alla base vi è il pensiero
del pessimismo storico. Sono animate da spunti polemici contro la realtà
presente. A questa polemica si contrappone un’esaltazione alle antiche età,
generose e magnanime.
Con altri componimenti, cambiano le caratteristiche. Si parla delle canzoni di
Bruto minore l’Ultimo canto di Saffo.
e Leopardi non ne parla in prima
persona ma delega il discorso poetico ai due personaggi, entrambi
dell’antichità e suicidi.
Vi è una svolta nel pessimismo storico, si delinea l’idea di un’umanità infelice
non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Si incolpano
infatti gli Dei e il fato, visto come forze malvagie che perseguitano l’uomo.
Ad esse si contrappone l’uomo singolo, che si ribella arrivando ad un gesto di
sfida suprema, la morte.