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Alla luna di Giacomo Leopardi
In Alla luna ci troviamo nell’edizione dei canti, raccolta di testi, canzoni e versi, del 1831. Ci troviamo in quella fase del pessimismo individuale dove l’autore ritiene che il male del mondo non sia dovuto a causa della natura. Difatti ella è madre benigna e propone dei rimedi all’infelicità dell’uomo: l’immaginazione, le illusioni e i ricordi.
Nella prima parte di questo idillio, che va dal v.1 al v.9, l’autore ci presenta un paesaggio notturno dominato dalla luna in cui lui stesso proietta la propria angoscia: questo risulta evidente nei v.v. 9-10 in cui l’autore chiama la sua vita “travagliosa”. La luna è descritta attraverso i suoi occhi ed è una luna sfocata, deformata a causa del pianto. Guarda questa sfera luminosa come la guardava un anno prima (“or volge l’anno” v.2), il tempo è passato, ma lui e la sua disposizione d’animo non sono cambiati. L’autore mostra di provare dei sentimenti verso la luna e lo si può notare dagli aggettivi con cui la “umanizza”: “graziosa” (v.1), “diletta luna” (v.10).
Nella seconda parte dell’idillio, che va dal v.10 al v.16 Leopardi presenta uno dei suoi più cari temi, l’importanza del ricordo. “Oh come grato occorre…il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l’affanno duri!” (v.v. 12-15-16), per l’autore il ricordo rende meno acuto il dolore e provoca sentimenti di pacatezza dell’animo, anche se, il ricordare delle cose tristi e passate lo tormenta. Il ricordo, quindi, assume uno valore consolatorio perché consente di ridare vita a ciò che è finito per sempre. In generale, per Leopardi, i ricordi dell’infanzia sono particolarmente positivi e sono quelli che portano maggior conforto; infatti egli vede l’età della fanciullezza in modo positivo in quanto risulta essere la migliore di tutta l’esistenza di ogni individuo (i bambini sono sempre felici perché capaci di immaginare).
La “ricordanza”, inizialmente titolo dell’idillio, è essenziale e principale nel sentimento poetico proprio perché il presente non può esser poetico: il poetico consiste infatti, nel lontano, nell’indefinito e nel vago.
Alla luna presenta punti di contatto con l’infinito per quanto riguarda la brevità della poesia (16 e 15 endecasillabi) e per quanto riguarda il contenuto e quindi il significato.
Entrambi gli idilli sono stati scritti da leopardi nel 1819-1820, un periodo abbastanza difficile per l’autore a causa delle sue condizioni di salute e del problema alla vista.
Nella fase del pessimismo individuale Leopardi, partendo da una concezione meccanicistica e materialistica della realtà e dal suo sensismo, ha portato la riflessione sull’infelicità dell’uomo uguagliandola con la teoria del piacere. Sia nell’ infinito sia in alla luna l’autore ha cercato di trovare dei rimedi a questa infelicità: nel primo idillio la sofferenza ha come rimedio l’immaginazione, nel secondo idillio il dolore ha come rimedio il “rimembrar”.
Quindi la teoria del piacere è un tema presente in entrambi gli idilli ed è proprio quel desiderio raggiungibile al momento ma irraggiungibile nella realtà poiché una volta soddisfatto un piacere se ne creerà un altro e così via all’infinito.
Entrambe le poesie sono introdotte da aggettivi intimi e affettivi nei confronti della natura perché la natura per leopardi, nella prima fase del pessimismo, è madre benigna: nell’infinito al verso 1 “caro” riferito al colle, in alla luna sempre al verso 1 “graziosa” riferito alla luna.
Gli uomini del tempo cercano di dimenticare il travagliato e triste passato, mentre Leopardi afferma, nell’idillio in questione, che ricordare il passato, anche se triste, gli è piacevole, così come nell’infinito il piacere dell'immaginazione faceva vedere a Leopardi certe immagini mentali gradite.
Leopardi colloca entrambi gli idilli sullo stesso sfondo, il paesaggio è il monte Tabor nei pressi di Recanati, la sua città natale. Sia l’“L’Infinito” che Alla luna terminano in modo positivo: in particolare nell’infinito il perdersi della coscienza individuale nel mare dell’infinito provoca un senso di dolcezza (v. 15 “E il naufragar m’è dolce in questo mare”), mentre in alla luna il ricordo del tempo giovanile è gradito perché la gioventù è caratterizzata dalla speranza.
Per Leopardi, infatti, la felicità ultima di tutti gli esseri umani risiede nella speranza per il meglio. Questo è ciò che ci fa sopportare l'infelicità della vita. Pertanto, sebbene la speranza sia un'illusione falsa e negativa, non è altro che un meccanismo che allevia il dolore della sua esistenza.
Il concetto di speranza all’interno del pensiero leopardiano è descritto come uno squilibrato desiderio di felicità e viene messo a confronto con la ragione, considerata sua opposta. Questo perché la “speme” va oltre quella realtà finita, tipica dell’intelletto umano.
La speranza non abbandona mai l’uomo e subentra soprattutto nei momenti in cui non c’è più nulla da fare: Leopardi mostra come l’atteggiamento di non programmare il futuro sia tipico degli anziani, coloro che hanno già trascorso la loro vita e sperano di viverla più a lungo possibile. L’autore uguaglia il mondo antico con quello della giovinezza perché liberi dalla razionalità e soprattutto capaci di immaginare.
Le speranze oggi sono assai diverse rispetto all’antichità poiché, in relazione al pensiero di Leopardi, l’uomo non riesce più ad immaginare e a raccogliersi in un momento di tranquillità con sé stesso, questo perché il progresso e la ragione ha bloccato tale “meccanismo”.
In sostanza Leopardi non è un uomo del tutto pessimista perché, da un lato crede che l’uomo è e sarà sempre infelice, ma dall’altro crede che ci sia uno spiraglio di luce alla fine del tunnel, ovvero la speranza.
Alla luna, è un componimento che leopardi compone probabilmente nel 1820 e
che inserisce nell’edizione dei canti, raccolta di testi, canzoni e versi, del 1831.
Ci troviamo in quella fase del pessimismo individuale dove l’autore ritiene che il
male del mondo non sia dovuto a causa della natura. Difatti ella è madre
benigna e propone dei rimedi all’infelicità dell’uomo: l’immaginazione, le
illusioni e i ricordi.
Nella prima parte di questo idillio, che va dal v.1 al v.9, l’autore ci presenta un
paesaggio notturno dominato dalla luna in cui lui stesso proietta la propria
angoscia: questo risulta evidente nei v.v. 9-10 in cui l’autore chiama la sua vita
“travagliosa”. La luna è descritta attraverso i suoi occhi ed è una luna sfocata,
deformata a causa del pianto. Guarda questa sfera luminosa come la guardava
un anno prima (“or volge l’anno” v.2), il tempo è passato, ma lui e la sua
disposizione d’animo non sono cambiati. L’autore mostra di provare dei
sentimenti verso la luna e lo si può notare dagli aggettivi con cui la
“umanizza”: “graziosa” (v.1), “diletta luna” (v.10).
Nella seconda parte dell’idillio, che va dal v.10 al v.16 Leopardi presenta uno
dei suoi più cari temi, l’importanza del ricordo. “Oh come grato occorre…il
rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l’affanno duri!” (v.v. 12-
15-16), per l’autore il ricordo rende meno acuto il dolore e provoca sentimenti
di pacatezza dell’animo, anche se, il ricordare delle cose tristi e passate lo
tormenta. Il ricordo, quindi, assume uno valore consolatorio perché consente di
ridare vita a ciò che è finito per sempre. In generale, per Leopardi, i ricordi
dell’infanzia sono particolarmente positivi e sono quelli che portano maggior
conforto; infatti egli vede l’età della fanciullezza in modo positivo in quanto
risulta essere la migliore di tutta l’esistenza di ogni individuo (i bambini sono
sempre felici perché capaci di immaginare).
La “ricordanza”, inizialmente titolo dell’idillio, è essenziale e principale nel
sentimento poetico proprio perché il presente non può esser poetico: il poetico
consiste infatti, nel lontano, nell’indefinito e nel vago.
Alla luna presenta punti di contatto con l’infinito per quanto riguarda la brevità
della poesia (16 e 15 endecasillabi) e per quanto riguarda il contenuto e quindi
il significato.
Entrambi gli idilli sono stati scritti da leopardi nel 1819-1820, un periodo
abbastanza difficile per l’autore a causa delle sue condizioni di salute e del
problema alla vista.
Nella fase del pessimismo individuale Leopardi, partendo da una concezione
meccanicistica e materialistica della realtà e dal suo sensismo, ha portato la
riflessione sull’infelicità dell’uomo uguagliandola con la teoria del piacere. Sia
nell’ infinito sia in alla luna l’autore ha cercato di trovare dei rimedi a questa
infelicità: nel primo idillio la sofferenza ha come rimedio l’immaginazione, nel
secondo idillio il dolore ha come rimedio il “rimembrar”.
Quindi la teoria del piacere è un tema presente in entrambi gli idilli ed è proprio
quel desiderio raggiungibile al momento ma irraggiungibile nella realtà poiché
una volta soddisfatto un piacere se ne creerà un altro e così via all’infinito.
Entrambe le poesie sono introdotte da aggettivi intimi e affettivi nei confronti
della natura perché la natura per leopardi, nella prima fase del pessimismo, è
madre benigna: nell’infinito al verso 1 “caro” riferito al colle, in alla luna
sempre al verso 1 “graziosa” riferito alla luna.
Gli uomini del tempo cercano di dimenticare il travagliato e triste passato,
mentre Leopardi afferma, nell’idillio in questione, che ricordare il passato,