vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Robert Redfield è sicuramente uno degli studiosi più influenzati, soprattutto nei suoi scritti
degli anni Trenta e Quaranta, dalle idee astoriche di R.B. A Redfield va anche dato il merito di avere
dato avvio allo studio delle società cosiddette contadine, ovvero quelle comunità in qualche misura
intermedie tra uno stato di primitività e di modernità.
Altro importante seguace di R.B., fu William Lloyd Warner. Ricordare Warner e la sua scuola è
importante perché, a partire da questo studioso e dai suoi allievi, si iniziò a manifestare in modo
maggiore nell’antropologia americana una pressoché totale indifferenza non solo nei confronti della
«storia congetturale degli etnografi» ma anche della storia in generale. Questo filone è inoltre
testimonianza dell’esistenza in USA di scuole di antropologia sociale che si contrapponevano alla
ancora dominante matrice di studi influenzati da Franz Boas.
3. Gli storici
Quando si parla di allontanamento della storia dall’antropologia nel periodo tra le due guerre, si
pensa immediatamente alla storia antica, dal momento che è in questo settore storiografico che il
distacco fu più netto e repentino. —> N.B.: tra seconda metà del XIX sec. e primi anni del XX sec.
i rapporti tra antropologia e studi classici furono molto stretti (Rohde, Meyer, Bücher in Germania;
Ridgeway, Harrison in UK; Bonfante e De Sanctis in Italia).
È sul finire del secolo, quando gli studi etnografici aumentano notevolmente di numero, è
l’antropologia che inizia a dettare gli schemi anche per lo studio classico fino a che questo non
portò ad una più netta divisione di ruoli: Marett, antropologo di formazione classica, nel 1908 già
osservava che era ormai convenzione riconosciuta che l’antropologia si occupasse della cultura
nelle sue forme più semplici e basse, mentre gli studi classici e umanistici si concentravano sulle
forme più complesse ed elevate. Marett curò in prima persona un volume dove antropologi e
classicisti illustri davano vita a uno studio unitario di alcuni problemi: antropologia e interesse per il
mondo classico potevano essere «the joint concerne of one and the same man».
Dopo la Grande Guerra, però, così come sottolinea anche Arnaldo Momigliano, il rapporto che
fino a quel momento pareva «pressoché ordinario si dissolse così rapidamente che quasi se ne
dimenticò l’esistenza». —> Cause molteplici: secondo Moses Finley si tratta di una reazione agli
eccessi di Jane Harrison e della Scuola di Cambridge; secondo Momigliano, semplicemente il
mutare dei conflitti sociali e delle istituzioni politiche aveva portato anche gli storici classicisti a
orientare i propri interessi in direzioni diverse rispetto a quelle dell’anteguerra.
Soprattutto in GB e in USA, gli antropologi consideravano l’applicazione del metodo
comparativo allo studio del mondo antico come un rimasuglio dell’evoluzionismo, un metodo
perciò lontano dal nuovo stile di ricerca intensiva; gli studiosi del mondo antico, invece, iniziavano
a mostrare i primi segnali di insofferenza nei confronti di un metodo che attenuava, fin quasi a farlo
scomparire, il confine tra le società dei selvaggi e l’eccezionalità delle civiltà classiche.
Nel campo degli studi medievali e moderni il distacco fu meno evidente, ma solo perché già
prima della guerra i rapporti con l’antropologia erano stati tenui e infrequenti. —> disinteresse da
parte di medievalisti e modernisti per l’antropologia e i suoi metodi: forza e elevata disponibilità di
fonti archivistiche. Eppure alcuni storici di questi periodi si interessarono all’antropologia e i nomi
di questi sono illustri: Marc Bloch, Lucien Febvre e Richard Tawney. Lévi-Strauss dirà che «già
nel 1924 il libro di Marc Bloch, Le Rois Thaumaturges, aveva di che sedurre un etnologo». N.B.:
Bloch era convinto che per comprendere appieno le monarchie del passato non era sufficiente
studiarne i meccanismi dell’organizzazione amministrativa, giudiziaria e finanziaria, ma era
necessario «penetrare le credenze e le favole fiorite intorno alle case principesche», quali appunto le
credenze nei poteri curativi da parte dei re francesi e inglesi. Lo storico francese affermava infatti:
«il metodo comparativo è estremamente fecondo, a condizione di non uscire dal generico». Nel
suo tentativo di ricostruzione del «meraviglioso» monarchico da lui studiato, Bloch cercava di
dimostrare come tutto quel folklore (termine usato con accezione negativa da Langlois e Seignobos
per indicare credenze e tradizioni) potesse talvolta dire molto di più rispetto a un qualsiasi trattato
dottrinale. Ecco dunque che Bloch si concentrò, in contrapposizione forte nei confronti di autorevoli
storici quali Langlois e Seignobos, nella trattazione di come fosse stato possibile credere alla
capacità curativa di un sovrano per secoli, argomento certamente di maggiore interesse per
l’antropologo che per uno storico.
Le Rois Thaumaturges è considerato uno dei testi cardine dell’antropologia storica anche se, è
bene ricordarlo, la pubblicazione del volume di Bloch precede di cinque anni la fondazione (da
parte dello stesso Bloch e di Febvre) degli Annales d’histoire économique et sociale (poi Annales.
Economie, Sociétés, Civilisations dopo la seconda guerra mondiale) nel 1929. In ogni caso, l’eco di
Bloch e Febvre, che operavano a Strasburgo, città culturalmente periferica, rimase a lungo
inascoltato.
Richard Tawney fu uno storico inglese che mostrò un grande interesse per l’antropologia,
ch'egli definì la «scienza dei selvaggi». Per Tawney, l’antropologia doveva fungere da «antidoto» a
quel fondamentalismo economico che portava storici ed economisti a vedere le istituzioni come
fossero naturali. L’unica storia possibile è l’histoire intégrale, l’unica in grado di superare i limiti
degli specialisti e che renda giustizia allo stesso tempo alle fondamenta economiche, alla
sovrastruttura politica e alla dinamica delle idee. —> N.B.: non è necessario applicare questa
“scienza” solamente alle popolazioni primitive ma anche a qualsiasi altro periodo moderno.
Nel frattempo negli USA si stava affermando la cosiddetta New History, i cui intenti erano già
indicati in una lettera del 1910 che Frederick Jackson Turner inviava a Franklin Jameson. In
questa lettera Turner spiegava che, al fine di trovare un punto di contatto tra studio storico e
interesse attuale, era necessario cercare le aree di intersezione tra le arie discipline storiche,
antropologiche, economiche e sociologiche. —> N.B.: in questo contesto però i contatti con
etnografia e antropologia furono pressoché inesistenti.
Fu Caroline Ware la prima critica della New History di cui mise in evidenza i limiti: era
fondamentale, secondo la Ware, stabilire una prima e importante differenza tra approccio culturale e
l’approccio della nuova storia nell’adozione del concetto di cultura elaborato dall’antropologia. —>
il relativismo degli esponenti della New History era infatti rimasto lontano rispetto al relativismo
culturale proprio della antropologia e spesso veniva professata la superiorità della civiltà
occidentale. La Ware proponeva, invece, di slegarsi dai preconcetti provenienti dal «quadro di
riferimento culturale» dato dall’Occidente e vedeva l’unica possibilità di allontanamento proprio nei
metodi dell’antropologia.
N.B.: La Ware anticipava alcuni punti focali dell’antropologia storica: importanza di una più
raffinata storia locale emancipata dalla tirannia degli archivi centrali; prestare attenzione alla
«possibilità che all’interno di una società ci fossero stati gruppi i cui valori, atteggiamenti ed
esperienze divergano da quelli del gruppo dominante più istruito».
Anche Geoffrey Gorer è considerato da sempre uno dei precursori dell’antropologia storica. Di
origine britannico ed estraneo alla formazione boasiana, egli dimostrò apprezzamento sia per
Radcliffe-Brown che per Malinowski ma attribuì a G. P. Murdock (che applicava la statistica alla
antropologia; cosa estremamente avversata da Boas) la maggiore influenza intellettuale sul proprio
pensiero. Gore inoltre indicava come «modello per la storia» gli studi che Warner stava applicando
alla società urbana americana e i libri che Margaret Murray aveva pubblicato negli anni Venti,
The Witch Cult in Western Europe e The God of Witches.
Però, sebbene le intuizioni di Gorer e Ware fossero estremamente avanti rispetto ai tempi attuali,
questi due studiosi godettero di un’eco purtroppo rimasta inascoltata dai più e, di conseguenza, per
tutta la prima metà del XX secolo il rapporto tra storia e antropologia rimase quello di due
discipline l’una estranea rispetto all’altra.
Cap. 3 - Antropologia e storia: gli anni del riavvicinamento (1950-1968)
Negli anni tra le due guerre mondiali gli antropologi britannici dimostrarono verso la storia un
disinteresse per 3 ragioni:
1) reazione vs scuola "speculativa" di evoluzionisti e diffusionisti
2) sforzo di sottolineare la centralità della ricerca sul terreno
3) presunta mancanza di documentazione storica per le società studiate dagli antropologi
1950 -> insoddisfazione degli antropologi sociali per la definizione di struttura sociale (Radcliffe-
Brown, Evans-Pritchard e Meyer Fortes) -> "relazioni tra gruppi dotati di un elevato grado di
coerenza di coerenza e costanza" -» definizione statica, inutile per studiare i processi di mutamento
-» nuove definizioni di Firth: "struttura sociale" designa le permanenze, "organizzazione sociale" il
mutamento.
1947 -> Gluckman critica Malinowski per la sua ossessione "antistorica" -> importanza della
storia per lo studio antropologico del mutamento sociale.
1 - Antropologia e storia tra arte e scienza: la Marett Lecture di Evans-Pritchard
1950 -> discorso commemorativo "Social anthropology: past and present" -> identità della
disciplina e sue direzioni -» relazioni tra storia e antropologia, 2 tesi:
1) importanza della storia: una società non può essere studiata e compresa pienamente senza
studiarne e comprenderne la storia -» critica a Malinowski
2) identità dell'antropologia sociale. Critica gli evoluzionisti e Radcliffe-Brown che avevano
indicato come scopo ultimo dell'antropologia il ridurre tutta la vita sociale a leggi sulla natura
della società in grado di consentirne la predizione; l'