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SCIENZA GIURIDICA
1. I giuristi e il diritto privato
Sappiamo come il fondamento del romano sia da identificarsi nei e nella legge delleius civile moresXII Tavole. Ma si è anche già sottolineato come, nella concreta applicazione di questo corpovetusto di regole, fosse stato a lungo determinante il ruolo assolto dal collegio pontificale.Assai più tardi, in età imperiale, i giuristi teorizzeranno la complessa fisionomia di quel diritto daessi studiato e straordinariamente sviluppato. Così, un giurista del II secolo d.C., affermeràGaioche il "diritto del popolo Romano consiste nelle leggi, nei plebisciti, nei senatoconsulti, nellecostituzioni imperiali, negli editti di coloro che hanno il ius e, infine, nei pareri degliedicendi,esperti". Alla sua epoca, in effetti, il substrato consuetudinario del dirittoi responsa prudentiumromano, gli antichi mores, era ormai da secoli totalmente assorbito all’interno del valore.
fondantedelle XII Tavole, per eccellenza lepubblici: pubblici i consigli e le spiegazioni. Così intorno ai più brillanti e autorevoli tra questi specialisti, da cui si andava per un parere, ma anche per istruirsi, si costituì un pubblico di E traauditores. Costoro, nascevano interessi e vocazioni, si formavano allievi che imparavano il modo di ragionare del giurista già affermato, comprendevano il procedimento utilizzato per giungere a certi risultati, acquisivano la conoscenza di tradizioni legali consolidate e di leggi. Diventavano insomma, essistessi, nuovi giuristi.
Nel tramonto della scienza pontificale dovette giocare un ruolo non marginale la progressiva diffusione della scrittura. Certo, essa risale già alla Roma del VI secolo a.C., com'è pacifica la redazione scritta delle XII tavole. Tuttavia la stessa formulazione delle norme in esse contenute, funzionale allamemorizzazione (e Cicerono ci informa che, ancora ai suoi tempi i ragazzi dovevano imparare a memoria le
Intere XII Tavole), insieme all'accentuato ritualismo di tutte le più antiche formegiuridiche romane e all'insistita presenza di testimoni fa pensare più a una durevole rilevanza dell'oralità che non all'uso di documenti scritti. È almeno verosimile che anche molti dei procedimenti e delle soluzioni perseguite dal pontefice, seppure schematicamente registrate in testi scritti, si fondassero, almeno in parte, sulla memoria del gruppo. Già nel III secolo a.C., e più ancora nel successivo, intervenne tuttavia un notevole ampliamento delle forme scrittorie: basti pensare all'inizio di una letteratura latina che queste presupponeva. È allora, in tale mutato contesto, che la nobilitas laica si impadronì di questa sfera del sapere pratico, iniziando a produrre testi scritti in cui si conservava memoria dei casi e delle soluzioni già discusse e delle proposte avanzate dall'uno o dall'altro giurista.
La raccolta di questi testi iniziò così a circolare, contribuendo all'accumulazione di un sapere trasmesso nel corso delle generazioni, con le inevitabili selezioni, consolidamenti, e ulteriori innovazioni. D'altra parte lo scritto, invece della sola memoria, favoriva anche una nuova articolazione del pensiero, la stesura di ragionamenti più complessi.
Al carattere oracolare e apodittico del parere pontificale si sostituì così la discussione e il ragionamento di cui restava ricordo scritto. Si aprì allora la lunga strada della costruzione intellettuale e di un sistema di governo dei rapporti sociali che ha impastato di sé la storia della civiltà europea. Questo lavoro di riflessione sul diritto romano da parte dei pontefici prima, della scienza giuridica laica in seguito significa che: fintanto che i primi erano stati i depositari anche della conoscenza delle norme, totale era stata la loro autorità.
Nell'interpretarne il contenuto e la portata. Anche alla luce delle pratiche più tarde, pur presenti ancora nei giuristi tardo repubblicani, è verosimile che il punto di partenza del loro lavoro consistesse nella determinazione precisa della portata delle antiche formule legislative e negoziali.
Anzitutto la comprensione e spiegazione del significato letterale delle parole in esse impiegate: interpretazione non facile, per l'oscurità della lingua arcaica di molte delle antiche norme, ma, soprattutto, non neutrale perché, in molti casi, attraverso nuovi e modificati valori attribuiti al singolo vocabolo o alla frase, si poteva innovare e modificare il valore immediato e l'originaria portata delle norme.
Da questo punto di partenza il controllo pontificale si spinse più in là di quest'ambito allorché, molto liberamente e con intelligenza creativa, innovò il contenuto ed estese o mutò l'ambito di.
Applicazione dei singoli negozi e dei vari istituti giuridici. Non vi è praticamente norma nelle XII Tavole che non richiedesse e non rendesse possibile un insieme di interpretazioni sempre più complesse e innovative man mano che le arcaiche forme del diritto antico si rivelavano di per sé insufficienti a disciplinare una realtà sociale ed economica in rapido sviluppo.
Strumenti essenziali di questa prima fase dell'esperienza giuridica romana furono anzitutto l'utilizzazione su vasta scala delle finzioni giuridiche e dell'analogia. Nuovi risultati si realizzavano appunto modificando consapevolmente il significato e la portata di un istituto per giungere a conseguenze del tutto diverse da quelle ordinarie. Nella stratificazione del sistema giuridico romano incontriamo così, in modo pressoché sistematico, la distorsione consapevole dell'originaria finalità di antichi istituti per giungere a risultati affatto nuovi.
esempio utilizzando il divieto di abusare del potere di vendita del figlio sancito dalle XII Tavole (che stabilivano un limite al numero di vendite effettuate da parte del pater, superato il quale costui perdeva la sua potestas sul figlio), per creare il nuovo istituto dell'emancipazione: una serie di vendite fittizie con cui il padre liberava volontariamente il figlio dalla sua potestà. Ma si pensi ancora alla molteplice applicazione, sicuramente gestita dai pontefici, di falsi processi, concordati tra le parti, per giungere a conseguire una pluralità di risultati: dal trasferimento della proprietà, all'adozione di un figlio o alla liberazione di uno schiavo. E il collegio pontificale egualmente deve anche essere intervenuto a progettare la norma decemvirale che ammetteva la temporanea assenza della moglie dalla casa coniugale, in modo da scindere un legittimo matrimonio, valido secondo il diritto civile, dal pesante potere patriarcale del marito, in.Origine indissolubile dal matrimonio stesso. Egualmente si finse di< vendere > un patrimonio, quando in verità si voleva lasciare il medesimo, dopo la propria morte,ovviamente a titolo gratuito, a un successore : l’erede. In altri casi invece si trattava di utilizzare unoschema già esistente nell’esperienza giuridica romana per estendere l’efficacia rispetto a situazionisimilari, anche se non originariamente previste.Con la < laicizzazione > della scienza giuridica venne meno l’originaria forza cogente del saperepontificale che scioglieva difficoltà e dubbi, esprimendosi con soluzioni univoche e in formadefinitiva. Proprio perché i pareri non provenivano più da un’autorità unica ma da una molteplicitàdi individui appartenenti al ceto dei giuristi, prese forma una nuova fisionomia del diritto ,concepito come Un diritto in cui l’effettiva portata e significato stesso delleius controversum.regole,
in volta diverse teorie e interpretazioni, rendendo il quadro complesso e in continua evoluzione. Tuttavia, alcuni concetti fondamentali erano generalmente accettati: - La teoria X sosteneva che i lavoratori fossero pigri e avessero bisogno di essere controllati e motivati esternamente per svolgere il proprio lavoro in modo efficiente. Questa teoria era basata su un approccio autoritario e gerarchico. - La teoria Y, al contrario, sosteneva che i lavoratori fossero intrinsecamente motivati e desiderosi di assumersi responsabilità e di contribuire al successo dell'organizzazione. Questa teoria promuoveva un approccio partecipativo e incentrato sulle persone. - La teoria dei bisogni di Maslow affermava che i lavoratori hanno una serie di bisogni gerarchicamente organizzati, che vanno dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici di base fino alla realizzazione personale. Secondo questa teoria, i manager dovrebbero cercare di soddisfare i bisogni dei propri dipendenti per motivarli. - La teoria dell'equità sosteneva che i lavoratori valutino la loro remunerazione e il trattamento ricevuto in base al confronto con gli altri. Se ritengono che il loro trattamento sia ingiusto rispetto ai colleghi, potrebbero sentirsi demotivati e insoddisfatti. - La teoria del rinforzo affermava che il comportamento dei lavoratori è influenzato dalle conseguenze che ne derivano. Se un comportamento viene premiato, è probabile che venga ripetuto, mentre se viene punito, è probabile che venga evitato. Queste teorie, sebbene abbiano contribuito a comprendere meglio il modo in cui i lavoratori sono motivati, non sono state in grado di fornire una risposta definitiva e universale. La motivazione sul luogo di lavoro è un argomento complesso e multidimensionale, che dipende da una serie di fattori individuali e situazionali.