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Argentina, la repubblica presidenziale di Charles De Gaulle in Francia, i regimi a partito

unico del Terzo Mondo, la dittatura dei colonnelli in Grecia, la presidenza di Nixon negli

Stati Uniti, i regimi militari in America Latina, ma anche le democrazie borghesi e gli

stessi regimi comunisti, parlando di fascismo rosso e di involuzione fascista del regime

comunista cinese in occasione della strage di Piazza Tienanmen a Pechino, il 3-4

giugno 1989.

Ultimamente si è parlato pure di fascismo medio-orientale, per identificare regimi

come quello di Saddam Hussein in Iraq.

Inizialmente, negli anni Venti, il fascismo fu considerato prevalentemente

un’espressione tipica della politica italiana. La stessa cultura fascista sottolineava

l’italianità del fascismo e anche in campo antifascista l’idea era che fosse un

fenomeno italiano. Anche per gli stranieri la convinzione era la stessa.

Negli anni Trenta, con la proliferazione di vari movimenti simil-fascisti e soprattutto

dopo l’avvento del nazismo, si iniziò a guardare al fascismo come a un fenomeno

internazionale. La stessa propaganda fascista iniziò a esaltare l’universalità del

fascismo, profetizzando un prossimo avvento dell’Europa fascista o fascistizzata.

L’idea che il fascismo fosse un fenomeno internazionale fu il denominatore comune

delle interpretazioni elaborate dai movimenti antifascisti fra gli anni Trenta e

Cinquanta.

La cultura marxista e il movimento comunista furono i primi ad attribuire

internazionalità al movimento fascista. La Terza Internazionale sancì la codificazione

dell’interpretazione del fascismo come dittatura terroristica del grande capitale.

Per i marxisti ogni società capitalista era per natura predisposta al fascismo, mentre

per i comunisti ogni movimento anticomunista era da definirsi fascista, anche in certi

momenti i movimenti socialisti e socialdemocratici secondo la teoria del

socialfascismo.

Una parziale revisione di questa visione fu fatta da alcuni studiosi marxisti che

esclusero un nesso di causalità necessaria fra capitalismo e fascismo. Altri studiosi

dello stesso orientamento hanno modificato la definizione del fascismo come agente

del capitalismo, riconsiderando il rapporto fra regime fascista e capitalismo come

un’alleanza.

L’interpretazione marxista è stata contestata dalla cultura liberale che ha attribuito

la genesi e l’affermazione del fascismo a una malattia morale esplosa dopo la Prima

Guerra Mondiale, ma iniziata già negli ultimi decenni dell’800 con un progressivo

decadimento della coscienza europea, l’imbarbarimento della società e l’irrazionalismo

della cultura.

Anche per l’interpretazione di orientamento radicale democratico considera il

fascismo un fenomeno patologico, proiettato però su una dimensione plurisecolare e

metapolitica. Nazismo e fascismo erano visti come il prodotto di processi storici e

politici di paesi, come Italia e Germania, giunti tardi all’unificazione nazionale,

conservando nelle loro strutture politiche, sociali e culturali, un tradizionale

autoritarismo che aveva radici profonde nel carattere dei due popoli, che non avevano

ancora assimilato le istituzioni e i valori della civiltà e della coscienza liberale. Anche

questa interpretazione prendeva il fascismo come un fenomeno universale.

Tutte queste interpretazioni concordavano nel risolvere sostanzialmente il problema

del fascismo con l’individuazione delle cause e delle condizioni che lo avevano

generato, giudicando il fascismo il sé come un’aberrazione della storia verso la

modernità. L’irrazionalismo, aspetto fondamentale del fascismo, finiva per diventare la

scusante per considerare il fascismo attraverso una visione del tutto negativa.

L’insistenza sulla natura patologica del fascismo è presente soprattutto nei tentativi di

interpretazione psicologica: esso è stato letto come manifestazione della

personalità autoritaria, come reazione aggressiva di masse sessualmente represse,

come fuga dalla libertà dei ceti piccolo-borghesi.

Una diversa prospettiva di analisi è stata adottata dagli studiosi che hanno inquadrato

il problema del fascismo nel fenomeno moderno della società di massa,

considerandolo una nuova forma di radicalismo nazionalista, sostanzialmente diverso

dalle destre tradizionali e con un proprio autonomo dinamismo.

Altri studiosi hanno associato il fascismo al comunismo, unendoli sotto la bandiera del

concetto di totalitarismo, cioè di un nuovo sistema di dominio politico, fondato sul

partito unico, su un’ideologia integralista, sul terrorismo, sulla mobilitazione

demagogica delle masse, sul culto idolatrico del capo e la volontà di un controllo

totale, materiale e spirituale, della società.

Alcuni studiosi sono invece favorevoli ad una defascistizzazione retroattiva, la

quale consiste nel togliere al fascismo gli attributi che gli furono propri e che ne

caratterizzarono l’individualità storica. La defascistizzazione del fascismo si presente

in varie forme: negando che vi sia stata un’ideologia fascista, una classe dirigente

fascista, un’adesione di massa fascista, un totalitarismo fascista e persino un regime

fascista. Una forma frequente di defascistizzazione è la riduzione del fascismo al

fenomeno del mussolinismo, cioè alla vicenda politica del duce.

Questa visione delle cose ovviamente è da considerarsi una falsificazione della realtà

storica.

Nelle scienze sociali il concetto di fascismo è stato utilizzato per definire ideologie,

movimenti e regimi politici connessi con determinati stadi della industrializzazione,

della modernizzazione, della mobilitazione sociale, mentre altri studiosi, pur

condividendo la visione del fascismo come fenomeno internazionale, sottolineano

l’unicità di situazioni e fattori che consentirono al fascismo di assumere un ruolo di

protagonista.

Attraverso queste interpretazioni, le scienze sociali hanno contribuito a collocare il

problema del fascismo in una prospettiva propriamente scientifica.

Il problema della definizione del fascismo come fenomeno italiano e internazionale, in

campo storiografico, è stato formulato chiaramente nel 1938 da Angelo Tosca, un

intellettuale di formazione marxista, divenuto socialista, che sosteneva che per

definire il fascismo era necessario scriverne la storia.

Una nuova storiografia sul fascismo sorse negli anni Sessanta, che iniziò ad affrontare

lo studio del fenomeno sulla base della ricerca storica concreta, rifiutando le

interpretazioni generalizzanti, le visione demonologiche e le spiegazioni monocasuali.

Risalgono a questo periodo i migliori contributi alla definizione del fenomeno fascista.

Gli studi seguirono due vie:

1. L’una, mirante a individuare e definire gli elementi concettuali costitutivi del

fascismo generico, inteso come tipo ideale di fascismo;

2. L’altra, più propriamente storiografica, impegnata ad approfondire la

conoscenza dei singoli movimenti e regimi, dando maggiore risalto alle loro

peculiarità nazionali, ideologiche, sociali, culturali, oltre che alle diversità di

metodi, fini, risultati conseguiti.

Il fenomeno fascista si configura come una costellazione di movimenti e regimi, al

centro die quali si configurano i fascismi paradigmatici, fascismo italiano e nazismo,

contornati da vari fascismi minori. Le differenze sono sostanziali e ciò non permette di

fare delle buone comparazioni.

L’analisi comparativa può essere fatta solo fra fascismo e nazismo, perché essi furono

gli unici due fascismi che si concretizzarono e che quindi possono essere analizzati nel

loro manifestarsi  forme concrete di movimenti-regimi. Quasi tutti gli altri fascismi

furono movimenti-senza regime, nel senso che rimasero nello stadio della

mobilitazione e di cui quindi è impossibile ipotizzare una evoluzione. Qualcuno dei

movimenti fascisti partecipò al potere con altre forze, ma per poco tempo. Le

aspirazioni rivoluzionarie di altri vennero stroncate dai governi autoritari; altri ancora

rimasero in posizione marginale.

I fascismi inoltre si differenziano per diversità tradizionali storiche, di contesti

nazionali, di vicende politiche e per i differenti livelli di sviluppo economico, di

modernizzazione e di mobilitazione sociale. Ciò ha portato alla necessità di attribuire

delle specificazioni ai tipi di fascismi che si stanno analizzando.

La natura stessa di questi movimenti e diversi così come la composizione che emerge

dall’analisi sociologica: i fascismi occidentali e centrali reclutarono soprattutto persone

del ceto medio, nell’Europa orientale vennero reclutati soprattutto elementi dalla

componente popolare contadina e operaia.

Anche a livello ideologico si differenziano, ad esempio l’antisemitismo era proprio del

nazismo ma non del fascismo mussoliniano. Diversa era anche la concezione della

comunità nazionale: biologico. Razziale nel nazismo, idealistico- volontaristica nel

fascismo.

Le forti diversità non hanno mai portato a un movimento omogeneo fascista anche se

alcuni tentativi di dar vita a un’internazionale fascista negli anni Trenta furono fatti e

soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale, ci furono delle forti collaborazioni fra

i vari fascismi.

La classificazione è complicata anche a livello di regime: molti fascismi furono regimi

senza movimento; alcuni furono regimi di collaborazione dovuti all’occupazione

nazista ad esempio; tra nazismo e fascismo stessi molte sono le differenze, tanto che

è discutibile sia l’identificazione del nazismo con il fascismo sia la denominazione del

nazismo come “fascismo tedesco”.

In modo analogo, da più parti, sono state avanzati dubbi sulla validità storiografica del

concetto di totalitarismo ed è stata anche messa in discussione la natura totalitaria del

fascismo italiano.

Il dibattito italiano sul fascismo

nella storiografia italiana è prevalsa a lungo, dopo il 1945, e non è stata ancora del

tutto superata, la tendenza a interpretare in termini generali il fascismo, sulla base di

prospettive ideologiche e politiche, piuttosto che indagando approfonditamente i fatti

attraverso le fonti.

Fino agli anni Sessanta, gli studi sul fascismo si limitarono al periodo delle origini e

furono svolti nell’ambito delle interpretazioni tradizionali. Una nuova prospettiva di

analisi si è affermata intorno agli anni Settanta, con le numerose ricerche sul fascismo

italiano condotte da studiosi di diverso orientamento culturale e ideologico, ma

concordanti nel rifiutare le interpretazioni generalizzanti e conclusive.

Il contributo più importante della nuova storiografia è rappresentato dagli studi di

Renzo De Felice. Alcune sue p

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A.A. 2012-2013
20 pagine
17 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher DeliaLeggio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Formigoni Guido.