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QUESTO GESTO SARà PER TUTTI I TEMPI IL MARCHIO DEL PADRE.
In questo gesto dell’elevazione del figlio al cielo s condensano molti significati.
La riscoperta del gesto del padre riapre in tempi recenti una possibilità di riflessione nuova sulla sua funzione
e sul suo ruolo.
Padri lo si diventa scegliendo d farsi tramite del processo di elevazione spirituale del figlio.
Da molto tempo si è interrotta la linea di continuità che legava idealmente la tradizione dei padri di ieri con
quelli di oggi, come evidenzia lo smarrimento della dimensione rituale, fondata sul dialogo anche corporeo
padre – figlio.
I rituai di iniziazione rappresentano un prolungamento dell’istintivo gesto elevatorio verso mete più mature.
Con l’iniziazione i giovano accedevano alla vita. In questo passaggio erano aiutati da uomini adulti nel
favorire la loro emancipazione.
Ancora oggi ogni papà ama giocare col proprio figlio sollevandolo, a volte addirittura lanciandolo in aria:
portandolo più in alto di se e guardandolo negli occhi.
Nei modi di sorreggere, di appoggiare a se, di tenere in braccio il piccolo, facendo leva sulla demarcazione
simbolica fra orizzontalità e verticalità del gesto numerose ricerche segnalano una netta distinzione fra le
gestualità di accadimento paterno e materno.
Il padre dei nostri gironi è un padre che pare aver dismesso la consapevolezza del suo dover essere
promotore di altre occasioni, riti: soggetto che educa grazie al suo saper assumere la responsabilità di una
serie di azioni simboliche che non si esauriscono con quel gesto iniziale.
La mancanza di riti porta all’assenza di vere e proprie prove d’iniziazione.
Oggi si percorre l’intero ciclo degli studi istituzionali, dalla scuola primaria alla laurea, senza incontrare
niente e nessuno che ti costringa a fare i conti con il senso profondo di ciò che si sta vivendo. Qualcuno che
ti porti a riflettere, a confrontarti, a farti “inciampare” se occorre, per poi “sollevarti”.
Al rimprovero crescente per la scarsa scolarizzazione delle nuove generazioni raramente si accompagna una
riflessione di uguale intensità circa le condizioni ch la potrebbero favorire.
È nella totale inconsapevolezza e nei momenti di passaggio che si gioca molto del valore iniziatico del lavoro
educativo.
All’autore l’ha sempre sorpreso la prevedibilità con la quale la maggior parte degli insegnanti entra in classe
e si accinge a iniziare una lezione.
Difficilmente gli è capitato di intravedere una particolare cura verso le azioni con cui si presenta.
Piccoli dettagli, particolari marginali, essi contengono la consapevolezza di quanto l’educazione sia 1
invenzione, artificio, conversione di attenzione.
La scuola deve fare ricorso a gesti, cura, spazi e tempi diversi. Una scuola diversa capace di togliere
qualcosa, di dare vita a un altro spazio tempo: capace di pensarsi e di legittimarsi indipendentemente dai
banchi.
Vi è poi la scarsa presenza di figure maschili nelle professioni educative e di cura viene ad assumere, sullo
sfondo di quanto fin qui detto, nuovi significati.
L’invito è quello di misurarsi in un corpo a corpo cn l’adulto e con i propri pari.
Se poi l’adulto – educatore è uomo, e quindi inevitabilmente padre, più che mai il confronto esige la
relazione a due, la fisicità propria della dimensione verticale.
GOFFMAN si è occupato di relazioni sociali utilizzando la metafora teatrale, confermano la tendenza a
ricorrere al gesto verticale ogni qual volta vi sia l’intenzione di comunicare uno status superiore, una
comprovata autorevolezza.
Il paradosso del padre è quello di venir valutato dal figlio soprattutto per come egli dimostra di saper
affrontare le difficoltà e gli imprevisti del mondo. Se oggi i giovano non sanno più come comportarsi è anche
per la povertà di occasioni di confronto sano con un adulto autorevole e la sua “legge”.
L’adulto educatore è padre ogni qualvolta assume volontariamente, e non per atto dovuto, la responsabilità di
un altro essere offrendosi come mediatore che promuove l’incontro simbolico con ciò che è fuori,
adoperandosi per far crescere la specificità e l’unicità del figlio – allievo.
Da dove (ri) cominciare? Nell’impossibilità di riproporre uno scenario che comprenda antiche prove
d’iniziazione, esiste una risorsa, la dimensione del GIOCO, alla quale non sempre si attinge adeguatamente.
Uno stereotipo consolidato continua a considerare il gioco come un’esperienza da aggiungere alle altre,
un’esperienza integrativa e complementare, ludica e infantilizzante, semplice pausa riposante destinata al
tempo libero.
FINK il gioco non va posto solo accanto agli altri fenomeni della vita, al lavoro, alla realtà: il gioco sta di
fronte a tutto questo per accoglierlo in se, rappresentandolo.
Ogni gioco consiste in un rapporto di comprensione della vita umana con se stessi.
Non possiamo dimenticare come in realtà i riti delle origini altro non siano stati che giochi quali l’uomo
prendeva contatto con il suo destino, rievocando gli eventi fondamentali della vita e dei suoi passaggi.
Oggi si tende a ricompensare con oggetti di consumo la sottrazione dello spazio e del tempo liberi per il
gioco dei bambini.
La contrazione delle opportunità di gioco spontaneo equivale a una restrizione dei gesti e dei significati che
gli stessi sottendono.
Il gioco dispiega uno spazio e un tempo sottratti alla prevedibilità quotidiana. Sancisce un ingresso e
un’uscita, la conoscenza e il rispetto delle regole, il superamento di prove, la gerarchia dei ruoli, il confronto
con chi lo pratica da più tempo, l’apprendimento delle mosse, il coinvolgimento fisico.
Inoltre nel gioco si sperimenta anche l’orizzontalità dei gesti fraterni. si alimentano del nostro essere stati
generati dal corpo di una stessa madre, l’aver avuto in comune un corpo di donna che si apre per far spazio a
un altro essere – corpo.
Siamo fratelli camminiamo sulla stessa terra per sottrarci al gesto che ci richiama della madre e per sfidare le
regole del pade.
Una sfida che comincia a dubito e che trova origine al cucciolo dell’uomo. Nessun altro animale sembra
esserne capace. È il gesto di indicare con il dito in una direzione e di seguire lo sguardo di un altro. Per
Piaget grazie a questo gesto il bambino opera quel decentramento necessario al superamento del suo
egocentrismo fin li dominante, per poter giungere a una capacità di attenzione condivisa.
I gesti fraterni decretano alleanze e al contempo segnano confini, marcano distanze, sperimentano
l’autonomia.
Fratellanza e sorellanza alludono al venir meno della gerarchia generazionale, ovveroo alla comunità dei
pari, il contesto sociale nel quale più si coltiva il valore dell’appartenenza, l’utopia di essere tutti allo stesso
livello.
Si appartiene in quanto si è consimili, si condividono con altri condizioni essenziali quali l’età, i riferimenti
culturali, emozioni e sensazioni.
Nella nostra società le mode giovanili ne costituiscono la sintesi più visibile.
Nella moda siamo immersi e tutto pro e contro la moda è già stato detto. La moda mette in scena il corpo;
l’abito si offre quale nascondimento del corpo per esortare l’altrui sguardo, dando forma al desiderio di
contatto e di relazione.
Fra le attuali modo del corpo prettamente adolescenziali un riferimento d’obbligo non può che andare alla 1
grande diffusione del tatuaggio e del piercing.
Un modo di manipolare il corpo che assume per l’adolescente psicosomatico di oggi il valore simbolico di
“gettare nel corpo il conflitto nella segreta speranza di poterlo finalmente risolvere”. Non vi è dubbio che il
senso del ricorso tutto moderno al tatuaggio e al piercing vada rintracciato nel loro essere gesti dalla
generazionale valenza comunicativa.
Ciò che i ragazzi chiedono è un’esperienza di tenerezza rispecchiante analoga a quella che chiedono i
bambini ai loro genitori. Nulla di aggressivo solo un timido cenno di presenza sociale, un cenno di assenso.
Improntati alla ricerca dell’orizzontalità dei pari sono pure i gesti che si riservano all’ospite, parole
ambivalente: ospite è sia colui che ospita sia colui che è ospitato.
Noi siamo portati a ritenere l’ospitalità riservata a chi è già conosciuto, parente o amico. Ma l’ospitalità era
all’origine per l’altro da se, il nemico, lo straniero.
Attraverso i gesti dell’orizzontalità è possibile trasformare il nemico in amico, andare oltre l’umano timore
per il diverso.
3.5 sull’ospitalità dei luoghi:
in università, in questo spazio, i movimenti del corpo dell’autore e di quelli di decine di migliaia di persone
che come me quotidianamente lo abitano, sono costretti per linee sempre e comunque rette. L’autore è
convinto che l’equipe di progettazione della sua uni avrebbe ideato un’altra cosa se l’avesse pensata
attraverso il corpo.
Pensare e progettare lo spazio attraverso il corpo implica riconoscere che la sua immagine profonda non è
ricostruibile unicamente attraverso linee rette.
Il corpo è colmo di rotondità, ridondanze, anfratti.
Il corpo vive e abbisogna di spazi che sappiano accogliere molteplici dimensioni geometriche di
sviluppo.un’edilizia insensibile a una simile declinazione complessa dei suoi prodotti rischia di
compromettere e condizionare gli usi, dunque i significati, delle azioni cui sono destinati.
“un rapporto profondo lefa fra loro le immagini contenute nei due termini educare ed edificare” (Mustacchi).
Lo spazio da costruire dovrebbe poter prevedere un tempo per un’esperienza corporea condivisa da aprte di
chi lo progetterà con chi ne usufruirà.
Non è pensabile un serio ripensamento pedagogico senza una ristrutturazione degli spazi, come non si può
progettare un’edilizia rinnovata senza progettare un uso pedagogicamente rinnovato degli spazi.
La questione dell’impo estetica in senso forte e della cura dei luoghi dell’educare e della cura si sia oggi
notevolmente affievolita. Anche per l’incapacità dimostrata di modificare gli scenari.
Un contributo forte si può rintracciare nell’esperienza della teoria e della pratica psicomotorie.
L’educazione psicomotoria rintraccia nell’organizzazione dello spazio una variabili fondamentale della
declinazione delle sue proposte.
La particolarità dell’intervento psicomotorio risiede nell’originalità dello spazio in cui si dispiega.
Uno spazio liberat