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SCIENZE E LETTERE NELLA SCUOLA
Se è inevitabile una forte differenziazione tra umanisti e scienziati nel mondo della
ricerca, appartiene al semplice buon senso affermare che nella formazione di un
adolescente le due componenti devono essere entrambe presenti.
Così come è centrale lo sviluppo della lingua materna: non solo nel parlato, ma anche
nello scritto(sia come competenza attiva, cioè capacità di redigere un testo e di
riformularlo gerarchizzando le informazioni, sia come competenza passiva, ovvero
capacità di comprendere un testo ascoltato o scritto)
È ben noto che nel liceo italiano la aprte del leone è stata da sempre attribuita alle
materie umanistiche:
- la legge Casati (1859) consacra il ruolo essenziale del latino e del greco come asse
portante del percorso obbligatorio di preparazione liceale per quasi tutta la classe
dirigente dell’epoca.
- solo nel 1913 Luigi Credaro istituisce il “Liceo moderno”.
- la riforma Gentile (1923) assorbe il “Liceo moderno” nel “Liceo scientifico”:
questa scuola nasceva come una costola del liceo classico, rispetto al quale si
collocava a un rango inferiore: chi si diplomava non poteva accedere alle facoltà più
tipicamente umanistiche(Lettere, Magistero, Giurisprudenza).
A parte alcuni aggiustamenti introdotti in seguito, bisognerà aspettare il 1969 per
avere una generale liberalizzazione, tale da garantire l’accesso a qualsiasi corso
universitario per i maturati di un corso quinquennale.
- la riforma dei licei varata nel 2010 dal governo Berlusconi va indubbiamente verso
un riequilibrio tra discipline umanistiche e scientifico-tecnologiche.
Invitabile anche il potenziamento della lingua straniera, ossia dell’inglese.
Entriamo un po’più all’interno della riforma, prescindendo da alcune possibili riserve
generali e soffermandoci sulla distribuzione delle materie.
Il Liceo classico mantiene sostanzialmente il suo profilo: il latino è la disciplina
egemone 5 ore al biennio e 4 ore al triennio, superando le ore di italiano; si estende la
lingua straniera all’interno del corso di studi, e lo stesso vale per le scienze naturali.
Al Liceo scientifico le trasformazioni sono ben più radicali: abbiamo un “liceo
scientifico tradizionale” che mantiene il latino (ridotto a 3 ore), ma rafforza le
discipline scientifiche; una sezione di “Scienze applicate” in cui le ore un tempo
riservate al latino sono distribuite tra l’informatica e le scienze naturali.
Classico e Scientifico restano tuttora i canali privilegiati per l’accesso all’università;
almeno sono le scuole che non offrono una formazione immediatamente spendibile
sul mercato del lavoro e in cui è più alta la quota dei licenziati che si iscrive ad un
corso universitario.
Ma il prestigio sociale delle due scuole è cambiato nel corso del tempo: non è
eccessivo parlare di una sopravvenuta marginalizzazione del liceo classico rispetto al
liceo scientifico(che rappresenta ormai la scelta non marcata per uno studente
licenziato dalla scuola media orientato a una preparazione generalista per poi
continuare gli studi universitari).
I fattori che indeboliscono il latino sono:
a) la riduzione i prestigio presso le famiglie.
b) il confronto con la scuola europea in cui il latino è da tempo materia opzionale e
interessa una minoranza di studenti.
c) la freddezza o ostilità per le ragioni che militano in favore del mantenimento della
cultura classica a scuola. Il latino da fattore formativo tendenzialmente universale si
ritrova confinato nel ridotto spazio degli “addetti ai lavori”.
3
IL LATINO SUL BANCO DEGLI IMPUTATI.
Nel 2008 un fortunato pamphlet promosso dall’Associazione TreLLLe pone in modo
drastico la questione dello studio del latino ascuola, individuandone anche i pro e i
contro.
I “pro”:
- il latino serve a imparare l’italiano.
- il latino serve ad imparare le lingue straniere.
- il latino aiuta a capire le parole tecniche.
- il latino serve ad educare la mente(a ragionare)
- il latino serve a formare il carattere.
- il latino serve a formare l’uomo.
- il latino èparte insostituibile dell’identità italiana ed europea.
- il latino rappresenta i valori fondamentali dell’umanità.
I “contro”:
- le giustificazioni a favore del latino sono prive di evidenza empirica.
- l’apprendimento del latino aveva un senso quando serviva all’esercizio di alcune
professioni, compresa quella del sacerdote.
- il latino è uno strumento con cui i ceti dominanti si sono distinti da quelli inferiori.
- il primato del latino non si concilia con una società globalizzata e multiculturale e
in una società evoluta nessuna disciplina può pretendere il primato nella formazione
dell’uomo.
- l’apprendimento delle lingue moderne è più utile e altrettanto formativo
- il latino è una disciplina specialistica e come tale va insegnata soprattutto sopratutto
all’università.
- lascio da ultimo l’unico “contro” che a mio avviso pone un problema reale: la
continuità tra il mondo classico e il mondo moderno è un mito privo di fondamento.
È vero che il nostro rapporto con il mondo classico è duplice: siamo simili e diversi, e
sarebbe arbitrario, e didatticamente sbagliato, puntare soltanto su una faccia della
medaglia.
Si deve insegnare che siamo figli dell’antico, con un processo sostanzialmente
unitario, oppure si deve puntare soprattutto su quanto ci separa, per radicali
cambiamenti storici dall’antichità?
Ci sarà piuttosto da riflettere sull’efficacia e sul significato stesso dell’insegnamento
del latino nelle scuole tradizionali.
Nell’insegnamento del latino continua a essere centrale la versione scritta.
La centralità della versione così come viene ancora prevalentemente proposta, oltre a
riaffermare il prestigio della disciplina attraverso il doppio canale di valutazione,
scritta e orale, è la conseguenza di un’idea di fondo: quella di condurre il discente alla
produzione attiva in latino.
Ma proprio il compito scritto è responsabile dell’elevata percentuale di insuccessi.
Depotenziare il peso terroristico della versione avrebbe, a mio giudizio, il vantaggio
di indirizzare l’attenzione degli studenti verso altri aspetti della latinità, oggi
sacrificati sull’altare del compito scritto: la latinità cristiana, per esempio, così
importante non solo dal punto di vista culturale, ma anche in chiave specificamente
linguistica(pensiamo alla riformulazione semantiche di tante parole del latino classico
come caritas, virus, sacer..; o all’indebolimento dell’impalcatura morfo-sintatica
attraverso l’accoglimento di toponimi non adatti).
Il brano scritto dovrebbe servire invece, debitamente introdotto e fornito di sobrie
annotazioni, a garantire un contatto con gli autori; e anche per allargare la visuale,
senza limitarsi ai sempiterni resoconti di battaglie spostamenti di truppe, stragi.
Molti dei testi latini parlano di guerre e di battaglie e questo non perché le opere in
prosa pervenuteci sono per la maggior parte opere storiche, che raccontano quindi le
vicende del popolo romano e, in particolare, le guerre che accanto alle prose esiste
anche la poesia, declinata in molti generi.
Perché, per esempio, un liceale non dovrebbe essere in grado di tradurre, con pochi
ausili e un cappello che introduce l’argomento, i versi in cui il poeta rimprovera un
giovane scioperato che dorme fino al mattino inoltrato?
Il brano di versione, a mio parere, dovrebbe avvicinarsi al brano antologico previsto
come lettura orale; e, oltre alla traduzione vera e propria, dovrebbe saggiare la
capacità di riconoscere in filigrana le future filiazioni romanze: o attraverso le forma
più sviluppatesi come parole ereditarie e perlopiù facilmente riconoscibili, o
valorizzando le relazioni che si ritrovano in corradicali dotti.
Rispetto a quello del canonico “compito in classe”, si potrebbe andare anche oltre,
analizzando le parole e i verbi.
Tuttavia, lo studio del latino non si giustifica solo con la lingua e nemmeno con la
riflessione metalinguistica che coinvolge l’Italiano e ne esalta i rapporti genetici e
culturali.
Accostarsi al mondo classico significa anche prendere coscienza delle affinità e delle
divergenze che ci separano da esso per quanto riguarda il modo di vivere e i valori
comunemente condivisi.
Vorrei una scuola che desse più importanza al rapporto tra lingua e cultura.
4
L’ORA D’ITALIANO: DI TUTTO, DI PIÙ.
Il docente d’italiano nella scuola secondaria inferiore e nella superiore riunisce in sé
profili diversi: deve insegnare la lingua, prima di tutto(curando l’armonico sviluppo
di quella orale e quella scritta); poi stimolare negli alunni l’interesse per la lettura e
avviarli, nel triennio delle superiori, alla conoscenza dei classici italiani; deve
alimentare discussioni e fissare i termini del problema per una serie di argomenti
cosiddetti di attualità, dal disagio giovanile all’inquinamento, dall’immigrazione al
rapporto scienze-fede.
Ma qual è la preparazione che un insegnante può vantare su temi del genere?
Quella si suppone di una qualsiasi persona còlta che legga abitualmente i giornali.
Forse però non basta per intervenire sui danni dell’ambiente e sul surriscaldamento
del clima. Quanto sono gli insegnanti di lettere che, di fronte ad affermazioni
para-scientifiche scritte in un tema, sarebbero in grado di intervenire, o avrebbero la
pazienza di documentarsi o magari di chiedere al collega di scienze?
Il docente di lettere non è, e non dovrebbe neanche apparire, un tuttologo.
Dovrebbe mettere in primo piano ciò che gli compete culturalmente, in primo luogo
la tecnica dell’espressione corretta ed efficace.
I professori d’italiano, invece di sollecitare opinioni che il discente non ha la maturità
o la possibilità di formarsi su base scientifica, sarebbe meglio sviluppare i
meccanismi dell’argomentazione: col vantaggio di restare in un settore, quello
dell’uso della retorica, che l’insegnante domina bene, perché rientra negli elementi
costitutivi della sua formazione.
Dare l’abitudine riassumere combatte la tendenza degli studenti ad allungare il brodo,
nell’erronea persuasione che quanto più l’elaborato è lungo, tanto più è degno di lode.
Dunque: lingua, in particolare quando si tratta di gettare le fondamenta, nella scuola
media e nel biennio delle superiori. Ma non ci sono soltanto gli a