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Cap.3 IDENTITà DISCIPLINARE DELLA FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE
La nascita della filosofia dell’educazione avviene nel contesto della trasformazione del tradizionale
corso di laurea in pedagogia in quello di scienze dell’educazione. La filosofia dell’educazione non
può essere concepita come una disciplina interamente filosofica, né come un sapere interamente
pedagogico. La filosofia dell’educazione esiste perché ci sono problemi reali di natura insieme
filosofica e pedagogica. Per determinare questa identità è necessario chiarire alcuni aspetti: oggetto
di indagine: un reciproco andare dal come al perché, l’oggetto d’indagine della filosofia
dell’educazione, è dato sia da quelle problematiche che mostrano di avere in sé una dimensione
anche filosofica, sia da quelle problematiche che mostrano di avere al loro interno delle
implicazioni di carattere educativo. Dal versante pedagogico emerge un desiderio di conoscenza
teoretica, prende il via un cammino che va dal come si educa al perché dell’educazione. Dal
versante filosofico, invece emerge la consapevolezza della presenza di un appello sulla realtà
dell’essere anche sul tema del come fare. Il fine della filosofia dell’educazione è tanto pedagogico
quanto filosofico; si può dire che esso sia di natura conoscitiva pur nella consapevolezza di essere
utile sia al pensiero pedagogico, sia al pensiero filosofico. Il fine della filosofia dell’educazione è
senza dubbio un fine che ha un valore educativo e quindi una valenza anche pedagogica. Si può
pensare che la filosofia possa essere utile perché abitua a ragionare in modo critico e perché fa
conoscere a chi lavora nel campo dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, concetti e
teorie più o meno interessanti e meno utili. La filosofia dell’educazione serve a mantenere aperta la
ricerca verso l’intero, quindi a non chiudersi nella conoscenza delle parti, a sviluppare un
atteggiamento conoscitivo aperto e critico nei confronti di tutte le prospettive di conoscenza, invita
a superare una visione riduttivistica o rivoluzionistica dell’educazione.
Cap.4 LA PERSONA
L’educazione è incontro e relazione tra persone, per chiunque svolga un lavoro di natura educativa.
Cosa significa che i soggetti che ho davanti e con i quali lavoro sono persone? Può essere utile
distinguere tre livelli: livello operativo, più immediato della relazione che passa attraverso
l’esercizio dei due ruoli educativi principali, il livello esistenziale, che si riferisce alla realtà
individuale dei due protagonisti, il livello valoriale o di significato: l’essere persone e precisamente
un io di fronte ad un tu. La filosofia indaga l’essere umano come persona, la psicologia studia la
personalità dell’individuo. La filosofia si concentra prevalentemente sulla sua dimensione unitaria,
la psicologia privilegia la conoscenza delle sue molteplici espressioni. La filosofia tende a riportare
la molteplicità delle manifestazioni dell’essere umano all’unitarietà della sua realtà, la psicologia
ricerca per certi aspetti l’unità ma la considera come orizzonte di riferimento al servizio del vero
oggetto di indagine. La personalità dal punto di vista psicologico può essere definita come l’insieme
dei modi attraverso i quali l’essere umano si esprime nella molteplicità delle sue caratteristiche
individuali, delle sue relazioni interpersonali e delle situazioni in cui si trova a vivere e ad operare.
-A. Maslow: una personalità sana non confonde la realtà con la visione di essa, ha una maggiore
disponibilità all’esperienza, ha una maggiore capacità ad integrare i diversi aspetti della propria
vita, ha una maggiore spontaneità, ha un’identità di se, non ha paura di prendere le distanze, ha una
struttura democratica di carattere, è capace di amare, un amore che nasce dal donare se, è una
persona capace di cogliere i problemi, cioè mette al centro i suoi problemi, ha una capacità di
sorridere dell’uomo in generale.
-C. Allport: definisce la sua concezione di personalità come un’organizzazione dinamica in seno ad
un individuo, di quei sistemi psicofisici che determinano il pensiero e il comportamento che gli
sono caratteristici. La personalità è dentro l’individuo, è un insieme di sistemi organizzati tra loro.
Tutto ciò che noi siamo si concentra nel pensiero, nel nostro agire. La consapevolezza dell’io va al
pari passo con l’unità. L’unità si costituisce perseguendo uno scopo, nello scopo si uniscono tutte le
energie della personalità. La concentrazione dell’essere umano è data dal sapere chi sono, cosa
voglio essere e cosa dovrei essere. La personalità umana si riunisce attorno a questi concetti. Sia la
tensione verso uno scopo, sia la costituzione dell’immagine di sé sono aspetti della personalità che
riguardano il proprium individuale che Allpport definisce come ciò attorno alle cui funzioni
essenziali si costituisce l’unità nella personalità. Egli presenta i tratti della personalità matura,
estensione graduale del senso dell’io, cordiale rapporto con gli altri, sicurezza emotiva (accettazione
di se), concezione unificatrice della vita.
-C. G. Jung: distingue nell’individuo tra persona e anima e usa il termine persona per indicare
l’aspetto delle relazioni sociali e del rapporto con il mondo, mentre con il termine anima intende il
rapporto tra l’io e il proprio mondo interiore. La struttura della personalità è data dalla sintesi di
tutto ciò (persona e anima): la capacità di guardar dentro se stessi, ma anche fuori.
-Scuola pragmatico-relazionale: considera la personalità come un sistema, ovvero un ordine
dinamico di parti e di processi mutuamente interagenti dove vigono le leggi della totalità della
retroazione o circolarità, di equifinità. La personalità umana è contrassegnata dalla comunicazione.
-L. Binswanger: elabora una visione della personalità legata alla dimensione temporale
dell’esistenza. Distingue i tipi di personalità in base alla modalità di aprirsi al tempo o privilegiando
il futuro e quindi la progettualità, oppure il presente, senza relazione con il passato e con il futuro,
-oppure il passato in un mondo di assoluto rimpianto.
-Significato etimologico: il termine italiano persona deriva direttamente dal medesimo termine
latino persona-ae che significa letteralmente maschera ed è presente nel suo uso più antico nel
linguaggio teatrale. Con il termine persona, si indicava, oltre cha la maschera anche il personaggio,
quindi l’identità precisa. Il vocabolo latino a sua volta deriva quasi certamente dal termine etrusco,
il quale a sua volta deriva probabilmente dal termine greco prosopon che significava volto, sguardo,
faccia. La maschera era mezzo di comunicazione ed elemento di relazione. Nella cultura greca e poi
anche latina il termine persona estende gradualmente il suo significato, ma da termine teatrale arriva
solo ad indicare il fatto di avere un ruolo o di comunicare attraverso un personaggio. Nella cultura
greco-latina il termine persona assume gradualmente il significato di elemento individuale che ha a
che fare con l’identità e insieme con la relazione in rapporto all’esercizio di un ruolo. Con l’avvento
del cristianesimo vi sono due elementi decisivi che possono spiegare il profondo mutamento di
significato del termine persona. La relazione tra Dio e uomo e la visione dell’uomo come immagine
di Dio e la concezione uni-trinitaria di Dio e il mistero della incarnazione di Dio in Gesù di Nazaret.
Si pose con forza il problema cruciale di quali termini o concetti usare per tentare di dire la realtà
divina espresse dalle due verità di fede. La parola latina persona sembrava essere la più adatta
perché nel contempo poteva esprimere sia l’identità, sia l’unità di Dio, sia la sua dimensione
relazionale che è propria della concezione cristiana della divinità. L’uso del termine persona
culmina nel Concilio di Costantinopoli del 381, quando viene utilizzato per la definizione della
Trinità, definita come una sola ousia (sostanza) quella divina e tre hypostaseis (ipostasi o
sussistenze) chiamate anche prosopa (persone): Padre, Figlio e Spirito.
-S. Boezio: vuole riaffermare in primo luogo che la persona è una sostanza, ossia una realtà che
sussiste per se stessa e non in virtù o in funzione di altro da se, è una sostanza individuale, ossia una
realtà originariamente indivisa e dunque integrale, dotata di una sua specificità non separa
nettamente anima-corpo, ma assume entrambe le componenti. La persona non può mai essere un
oggetto a sempre e solo un soggetto.
-T. d’Aquino: persona è un tutto, in virtù della sua natura sussistente e relazionale; dall’altro è parte
della società, perché non è totalmente autosufficiente, quindi ha bisogno della società per realizzarsi
completamente. La persona rimane fine a se stessa e la società deve servire alla sua realizzazione.
-J. Locke: ogni nostra esperienza deriva dai sensi. L’identità dell’uomo è data dal suo essere
persona, la persona è data dall’essere, un soggetto pensante intelligente. L’identità personale risiede
nell’identità della conoscenza.
-D. Hume: secondo Hume l’unica forma di conoscenza parte dall’esperienza, non ci sono idee
innate, tutto ciò che si apprende viene dalla conoscenza. Hume usa la parola impressioni per
sottolineare che tanto più queste sono forti, tanto più lasciano un segno. Le impressioni poi si
trasformano in idee. Tutti gli esseri umani secondo Hume associano le idee per abitudine; si
abituano a pensare che ci sia una reale connessione tra queste idee. Crediamo di essere convinti a
priori. Da qui nascono anche le nostre certezze. Di tutto abbiamo impressioni ed idee, ma non della
sostanza in quanto tale. Hume ci porta a scontrarci con la nostra visione do un tutt’uno. Nessuno ha
esperienza del proprio io, di sensazioni, idee, delle memorie si, ma del nostro io non abbiamo idee.
Siamo noi che supponiamo che ci sia qualcosa che unisce tutte queste sensazioni, Hume dice che
l’io non esiste, è solo una costruzione mentale è un’opera che supponiamo.
-R. Spaeman: ora l’essere persona non è più carattere intrinseco, l’essere umano ora deve
dimostrare di avere le caratteristiche della persona per essere riconosciuto come persona.
D. Parfit: gli uomini devono a