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Consiglio di sicurezza per tutta la durata delle sanzioni.
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M.D.A. Diritto internazionale 17.03.2015
Sia l’estinzione che l’invalidità hanno riguardo a quelle circostanze in presenza delle quali
un trattato che è stato applicato fino a quel momento cessa di essere applicato. In
principio l’estinzione produce la inefficacia del trattato ex nunc, cioè a partire dal momento
in cui si produce la causa di estinzione, mentre l’invalidità dovrebbe operare ex tunc, ossia
fin dal momento in cui è stato compiuto. In realtà, non c’è nel diritto internazionale questa
distinzione tra nullità e annullabilità dell’atto del diretto interno.
Cause di invalidità dei trattati
Le cause che producono l’estinzione del trattato sono riconducibili o alla volontà comune
delle parti espressa nel trattato (la condizione risolutiva e il termine finale) o alla volontà di
una delle parti del trattato a cui il trattato stesso riconduce queste conseguenze (la
clausola di denuncia — per i trattati bilaterali — o di recesso — per i trattati multilaterali —
inserita nei trattati). Laddove il trattato non dice niente sul recesso, ossia non contiene una
clausola di recesso ma nemmeno prevede esplicitamente la impossibilità di recedere, a
certe circostanze gli Stati potrebbero procedere ad un processo invocando un’altra causa
di estinzione dei trattati, ossia la clausola rebus sic stantibus. La clausola rebus sic
stantibus fa riferimento a un mutamento fondamentale delle circostanze esistenti nel
momento in cui il trattato è stato concluso che sono state fondamentali per la prestazione
del consenso dello Stato. Un’altra causa di estinzione dei trattati è l’impossibilità
sopravvenuta. La Convenzione di Vienna del 1969 non considera altre eventuali cause di
estinzione dei trattati rispetto alle quali la prassi, nel momento in cui si è proceduto alla
codificazione della materia dei trattati a Vienna, non era sufficientemente chiara. Quali
sono queste altre eventuali cause di estinzione dei trattati non considerate espressamente
dalla Convenzione di Vienna del 1969?
• Una delle eventuali clausole di estinzione dei trattati riguarda gli effetti della guerra sui
trattati.
• Un’altra causa di estinzione dei trattati non considerata espressamente dalla
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati consiste nella successione di Stati nei
trattati. L’Unione Sovietica è crollata nel 1989-90 e, su quello che era il territorio della ex
Unione Sovietica si sono formati tanti nuovi Stati, il più grande dei quali è la
Federazione russa, ma la stessa Ucraina, la Georgia e la Moldavia erano tutte
repubbliche federate nell’ambito dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il
problema che si è posto con il crollo dell’Unione Sovietica è che fine dovessero fare gli
accordi che l’Unione Sovietica aveva concluso, non soltanto grandi accordi multilaterali,
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ma anche alcuni fondamentali accordi bilaterali, per esempio gli accordi in materia di
progressivo disarmo nucleare che l’Unione Sovietica aveva concluso con gli Stati Uniti:
lo Start 1 e lo Start 2. Che fine hanno fatto questi accordi? Un altro problema posto
dalla dissoluzione della ex Unione Sovietica la partecipazione alle Nazioni Unite.
L’Unione Sovietica era membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, e quindi titolare del diritto di veto. Questo diritto di veto è passato alla
Federazione russa, ma in base a quali regole del diritto internazionale? La stessa cosa,
mutato quel che va mutato, si può dire per il collasso della Repubblica federativa
socialista iugoslava, che avviene in maniera drammaticamente sanguinosa all’inizio
degli anni 2000. Gli effetti di questi fenomeni sul vigore dei trattati non vengono presi in
considerazione dalla Convenzione di Vienna del 1969. Tra l’altro, in materia di
successione di Stati nei trattati c’è un’idonea convenzione, la Convenzione di Vienna
del 1978 e che è entrata in vigore alla metà degli anni ’90.
• Un altro aspetto che la Convenzione di Vienna del 1969 non considera sono gli effetti
sul trattato delle decisioni del Consiglio di sicurezza in tema di aggressione o di
violazione della pace. Le decisioni del Consiglio di sicurezza implicanti sanzioni nei
confronti di uno Stato potrebbero comportare la sospensione degli accordi in vigore con
lo Stato colpito dalle sanzioni del Consiglio di sicurezza.
• Un altro aspetto che non viene considerato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati sono gli effetti sulla vigenza dei trattati delle regole sulla responsabilità, perché
una conseguenza del fatto illecito di uno Stato potrebbe essere la decisione di altri Stati
di sospendere o anche di dichiarare estinti, a titolo di contromisura, i trattati in vigore
con questo Stato che ha commesso l’illecito. Tra le cause di estinzione dei trattati vi è,
infatti, anche la violazione, da parte di uno Stato parte di un trattato, sostanziale delle
disposizioni di un trattato. La violazione sostanziale di un trattato comporta, in capo a
tutti gli altri Stati parti del trattato la possibilità di decidere di comune accordo di
sospendere o di dichiarare estinto il trattato nei rapporti con lo Stato inadempiente e
legittima la parte del trattato direttamente colpita dall’inadempimento a dichiarare la
sospensione. Quindi, relativamente alla decisione del singolo Stato si parla di
sospensione del trattato nei rapporti con lo Stato inadempiente. Quando la decisione è
presa di concerto da tutti gli altri Stati parti si può arrivare fino a dichiarare la estinzione
del trattato nei confronti dello Stato inadempiente. Questa regola — sintetizzata dalla
massima latina inadimplenti non est adimplendum, ossia non si è tenuti a mantenere
un impegno nei confronti di chi lo ha violato per primo a sua volta — non si applica
nell’ambito dei trattati di diritto umanitario o relativi alla tutela dei diritti umani, perché
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siccome bisogna salvaguardare l’oggetto e lo scopo del trattato e l’oggetto e lo scopo
del trattato in questi accordi è la tutela della persona umana, se si applicasse la regola
inadimplenti non est adimplendum l’inadempimento di una parte comporterebbe la
violazione da parte di tutti gli altri Stati del trattato medesimo, e quindi
comprometterebbe inevitabilmente il raggiungimento dello scopo e dell’oggetto del
trattato. Nell’ambito di alcuni accordi, per esempio gli accordi in materia di disarmo, la
violazione da parte di uno Stato potrebbe anche far sorgere il diritto in capo a
qualunque altra parte di tirarsi fuori dal trattato perché ritiene che ormai, a motivo di
inadempimento di uno Stato parte, la sua posizione nell’ambito del trattato sia
radicalmente cambiata. Ad esempio, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari
(Tnp), sottoscritto nel 1968 da una cinquantina di Stati è un trattato di disarmo e di non
proliferazione, nel senso che gli obiettivi del trattato sono due: da un lato, evitare che la
dotazione dell’arma nucleare si espanda, cioè che più Stati si dotino dell’arma nucleare;
dall’altro, favorire un progressivo disarmo da parte delle potenze nucleari. Il Trattato di
non proliferazione delle armi nucleari distingue gli Stati parti tra Stati nucleari e Stati non
nucleari. Gli Stati nucleari sono quegli Stati che prima della sottoscrizione del Trattato di
non proliferazione delle armi nucleari avevano fatto esplodere un ordigno nucleare,
ossia quegli Stati che, prima del 1° gennaio 1968 avevano fatto esplodere un’arma
nucleare, e che quindi erano già potenze nucleari nel momento in cui si è sottoscritto il
trattato. Tutti gli altri Stati formalmente (formalmente perché, per esempio, si sa che il
Pakistan e l’India hanno l’arma nucleare, ma formalmente non sono potenze nucleari)
non sono potenze nucleari. Israele, che ha l’arma nucleare, non fa nemmeno parte del
Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Il Trattato di non proliferazione delle
armi nucleari vieta agli Stati che non sono parti nucleari la possibilità di dotarsi dell’arma
nucleare, ma non proibisce tutti gli altri usi pacifici dell’uranio arricchito. Naturalmente, il
Trattato di non proliferazione delle armi nucleari mira ad evitare che questi Stati non
nucleari possano dotarsi dell’arma nucleare e lo fa effettuando una serie di controlli,
affidati all’Aiea — l’Agenzia internazionale per l’energia atomica —, che opera di
concerto con le Nazioni Unite, per verificare che nei vari siti in cui si trovano le
centrifughe nucleari l’uranio non venga arricchito oltre una certa soglia, perché al di là di
una certa soglia l’uranio arricchito può essere impiegato a scopi militari, mentre, se
l’arricchimento dell’uranio si mantiene al di sotto di una certa soglia, consente gli usi
pacifici dell’energia nucleare, ma non può essere impiegato in un’arma nucleare. Le
parti non nucleari sono tenute, alla stregua del Trattato di non proliferazione delle armi
nucleari, a concludere degli accordi con l’Aiea per consentire agli ispettori dell’Aiea di
effettuare ispezioni periodiche nel loro territorio e in siti che lo stesso Stato indica. È, sì,
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un sistema di controllo, ma non sovrasta la volontà dello Stato: è lo Stato che deve — è
obbligato — stipulare questi accordi con l’Aiea, ma stipula l’accordo e nell’ambito
dell’accordo indica anche quali sono i siti e dove si trovano questi siti che sono aperti
alle ispezioni dell’Aiea. Può darsi anche che gli ispettori dell’Aiea, una volta in loco,
possano avere la necessità di effettuare ispezioni un po’ più approfondite e libere e
allora l’Aiea chiede allo Stato interessato di sottoscrivere un ulteriore protocollo che
consenta all’Aiea di svolgere in modo più libero i propri controlli. Normalmente l’Aiea
può svolgere i propri controlli solo dopo aver avvisato lo Stato che in una determinata
data i suoi ispettori saranno nel territorio e visiteranno questo o quel sito, ma l’Aiea
potrebbe ritenere indispensabile effettuare dei controlli a tappeto senza preavvisare lo
Stato. Può farlo, purché però lo Stato accetti, sottoscrivendo un ulteriore accordo.
Quello che si rimprovera all’Iran, e la circostanza per la quale a partire dal 2006 il
Consiglio di sicurezza delle Nazi