Sintesi


La nuova concezione della realtà

Introduzione

Il filosofo francese Bergson fu tra i primi a mettere in crisi il paradigma positivista: egli non vede più la realtà sotto le leggi meccaniche e sotto le coordinate spazio-temporali della fisica, ma intende il reale come una proiezione del soggetto e della sua coscienza. La realtà è dunque inserita in una dimensione di vissuto poiché la coscienza e la “base del cono” sono costituiti dal ricordo di esperienze vissute: perde così il suo carattere di elemento oggettivo sottoponibile ad un’unica interpretazione ma diviene legata alla prospettiva del singolo.
Questa centralità del tema della realtà in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a definirsi, è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione sia per quanto riguarda le strutture narrative (Svevo introduce il monologo, dove la narrazione procede secondo analogie e schemi caratteristici della coscienza: Joyce e la Woolf introducono lo strema of consciousness) sia dal punto di vista tematico (vengono introdotte tematiche legate all’inconscio e a una dimensione più interiore del singolo). In generale la realtà di Zeno o dei Dubliners o di Mrs Dalloway non è altro che un quid determinato dalla loro stessa coscienza, dalla loro “malattia”, nevrosi e paralisi.
In ambito artistico la crisi del positivismo si traduce in una negazione delle coordinate cartesiane spazio-temporali con l’introduzione della “quarta dimensione” e di una rappresentazione dell’oggetto che non è più quello visto ma quello conosciuto e pensato (nel cubismo si attua infatti una scomposizione dell’immagine attraverso una simultaneità di rappresentazione di vari elementi strutturali dell’oggetto e prospettive diverse dello stesso).
In ambito scientifico la crisi del modello positivista introduce nuove ipotesi scientifiche difficilmente inquadrabili nel modello meccanicista dell’Ottocento e che ne determinano una prima crisi: infatti la nuova interpretazione elettromagnetica del reale, operata da Maxwell attraverso quattro leggi fondamentali, non riesce ad inserirsi nel precedente modello meccanicista.

Filosofia

Bergson e la concezione del tempo


Nel “Saggio sui dati immediati della coscienza” il filosofo francese Bergson mette a confronto la concezione spazializzata del tempo e della durata propria delle scienze positive con la durata reale.
Bergson individua due forme di molteplicità a cui sono riferite due forme di durata cha a loro volta fanno riferimento a due aspetti e due dimensioni di vita cosciente (“io superficiale” e “io fondamentale”).
Vi sono dunque una molteplicità intesa come molteplicità numerica determinata da una successione di elementi quantitativi e una molteplicità intesa come qualitativa. La molteplicità numerica fa riferimento al tempo e allo spazio delle scienze positive e deriva dal procedimento analitico operato dall’intelligenza; la molteplicità qualitativa fa riferimento al tempo del vissuto e deriva dal procedimento di sintesi della coscienza.
Da queste due differenti forme di molteplicità Bergson deduce due valutazioni profondamente diverse della durata: una durata, riferita alla molteplicità numerica, assume un carattere di omogeneità (durata omogenea) e di “simbolo estensivo della vera durata”. Tale tipo di durata è intesa come il ripetersi nel tempo di un “termine identico” e viene percepita da un “io di superficie” che appartiene a una dimensione in cui la “nostra vita psicologica superficiale si svolge in un mezzo omogeneo” mantenendo “qualcosa dell’esteriorità reciproca che caratterizza oggettivamente le…cause” di quelle che Bergson chiama “sensazioni” e che nella teoria del cono rovesciato saranno le immagini-mondo, mantenendo dunque l’esteriorità degli oggetti che le hanno create.
La seconda valutazione di durata riguarda una molteplicità qualitativa ed è determinata dalla compenetrazione e dalla fusione di “momenti eterogenei”. Essa è la durata pura percepita dalla coscienza e dall’intuizione e dunque dall’ ”io fondamentale” cioè da “una psicologia attenta” in cui sono totalmente superate tutte le coordinate spazio-temporali di matrice positiva.
Con la formulazione di queste due differenti forme di durata e dunque con la definizione di un io-interiore e di un io-esteriore, Bergson tenta di coniugare il momento quantitativo della successione degli eventi con quello qualitativo del tempo della durata, mostrando quale sia l’elemento di congiunzione che consenta il passaggio dalla durata reale al tempo spazializzato mediante un processo di esteriorizzazione. Questo passaggio teorico decisamente arduo ma fondamentale nella filosofia di Bergson, viene risolto con l’introduzione della teoria dell’immagine del cono rovesciato, presentata in “Materia e memoria”.
Il fluire dinamico della coscienza viene schematizzato attraverso il ricorso all’immagine di un cono rovesciato che giace su un piano. Il piano P rappresenta la percezione attuale del mondo (l’insieme delle immagini-oggetto); la base del cono AB rappresenta il carico di ricordi (il “passato”) che sono presenti in forma cosciente o incosciente nella memoria; il vertice S indica il punto in cui l’immagine-corpo si inserisce nella percezione presente delle immagini-mondo.
L’immagine-corpo seleziona le immagini-oggetto in base al loro significato pratico (alla loro utilità per l’azione) e in base al contenuto di ricordi presenti nella memoria. Questa è a sua volta costituita dall’insieme dei ricordi che si sono progressivamente depositati attraverso la selezione compiuta dell’immagine corpo. La memoria vive nella temporalità della durata, essa è “conservazione e accumulazione del passato nel presente” e conserva simultaneamente l’intera esperienza della coscienza. Tale esperienza è il risultato dell’interazione tra l’immagine-corpo e le immagini-oggetto che sono presenti nel mondo. Esiste perciò un rapporto biunivoco tra memoria e percezione; la memoria orienta la percezione in base all’affluire dei ricordi e la percezione permette alla memoria di attivare contenuti che altrimenti rimarrebbero per sempre obliati.
La realtà è dunque per Bergson una esteriorizzazione delle immagini che albergano nella memoria.

Italiano

Svevo e la “Coscienza di Zeno”


La centralità del tema della realtà in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a definirsi, è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione sia per quanto riguarda la struttura narrativa sia dal punto di vista tematico (vengono introdotte tematiche legate all’inconscio, alla follia, come in Pirandello, e a una dimensione più interiore del singolo). In generale la realtà presentata da Svevo in “La coscienza di Zeno” non è altro che un quid determinato dalla coscienza stessa del protagonista, dalla sua “malattia”, dalla sua nevrosi.

Per tale ragione la realtà del nevrotico Zeno non è attendibile nella sua descrizione; Zeno infatti non possiede nessuno strumento per poter giudicare oggettivamente il suo passato e il suo presente. Egli è tuttavia consapevole di questa sua condizione, anche quando ricaccia questa consapevolezza sotto il livello della coscienza proclamando, nelle ultime pagine del romanzo, che egli è finalmente arrivato alla “sanità”.

L’insicurezza che si crea così nell’”io” narrante produce una serie di dubbi e di interrogazioni nel lettore. Pertanto Zeno non può condurre ordinatamente la narrazione, seguendo il cosiddetto “tempo oggettivo” del romanzo ottocentesco. Il tempo della narrazione diviene quindi il tempo interiore della coscienza, un “tempo misto” poiché gli avvenimenti che in esso si svolgono, presentati secondo gli accostamenti analogici della coscienza, sono sempre alterati dal desiderio del narratore. Significativo di come Zeno percepisca la realtà in rapporto alla propria nevrosi è come la malattia abbia come sola cura possibile un’illusione.

Queste nuove tematiche permeate sulla nevrosi e sul rapporto realtà-coscienza vengono affrontate attraverso nuove strutture narrative.

La narrazione non segue più il modello ottocentesco, costruito sul resoconto di una vicenda dall’inizio alla fine, secondo un percorso rettilineo che si svolge in progressione cronologica, ma viene adottata la “struttura aperta”: la vicenda si sviluppa seguendo un percorso tematico, affrontando questioni diverse legate alla nevrosi del protagonista come la morte del padre, il motivo del fumo o il matrimonio. Eventi avvenuti in epoche diverse o contemporanei sono perciò narrati al di fuori della successione, all’interno di un “tempo misto”, proiezione sulla realtà della coscienza interiore di Zeno.

“La coscienza di Zeno” rappresenta il nuovo romanzo d’avanguardia del primo novecento in cui, per meglio esprimere il rapporto sempre più centrale realtà-coscienza dell’individuo, prevale largamente l’uso del monologo interiore: la distanza fra “io” narrante e “io” narrato diviene così sempre più sottile e ambigua. Indubbiamente non manca il giudizio del primo sul secondo, ma esso resta sempre precario, aperto e problematico.

La presenza del giudizio distingue comunque il monologo interiore di Svevo dal “flusso di coscienza” di Joyce: la scrittura di Svevo presuppone infatti un controllo

Inglese

Joyce e “Dubliners”; Woolf e “Mrs Dalloway”


Joyce, like the Italian writer Svevo, perceives reality in connection with individual consciousness, and especially in connection with human paralysis. Thus the accurate description of Dublin is not strictly derived from external reality, but from the characters’ mind floating.

Joyce’s style, technique and language develop from the realism and the disciplined prose of the “Dubliners”, through an exploration of the characters’ impressions and points of view, through the use of the free direct speech and epiphany, to interior monologue with two level of narration, a device used to give a realistic framework to the characters’ formless thoughts, up to extreme monologue. Thus language breaks down into a succession of words without puntaction or grammar connections, into infinite puns, and reality becomes the place of our psycological projections, our symbolical archetypes and cultural knowledge.

Therefore time, in Joyce like in Svevo, is not perceived as objective but as subjective, leading to psychological change. It becomes the time of soul and, in Virginia Woolf, a “creative time”.

She also describe a subjective reality through the “stream of consciousness”, but she never lets, unlike Joyce, her characters’ thoughts flow out of control, and maintains logical and grammatical organization. Her technique is based on the fusion of streams of thoght into a third-person, past tense narrative. Thus she gives the impression of simultaneous connection between the inner world (consciousness) and the outer world (society) producing a new vision of reality: life, in fact, express itself in moments of vision which are at the same time objctive (the clocks, the streets, the cars, the flowers) and yet subjectively creative, since they are recreated every moment by active consciousness.

Arte

Pablo Picasso e “Les demoiselles d’Avignon”


In ambito artistico la crisi del positivismo si traduce in una negazione delle coordinate cartesiane spazio-temporali con l’introduzione della “quarta dimensione” e di una rappresentazione dell’oggetto che non è più quello visto ma quello conosciuto e pensato (nel cubismo si attua infatti una scomposizione dell’immagine attraverso una simultaneità di rappresentazione di vari elementi strutturali dell’oggetto e prospettive diverse dello stesso).

L’opera che inaugura la stagione cubista di Picasso è il quadro “Les demoiselles d’Avignon”. Realizzato tra il 1906 e il 1907, ha come soggetto la visione di una casa d’appuntamento in cui figurano cinque donne.

L’analogia più evidente è con i quadri di Cézanne del ciclo “Le grandi bagnanti”, a cui Picasso si ispira per la figura in piedi a destra e per quella al centro, con le braccia ripiegate sulla testa.
In quest'opera Picasso, attraverso l'abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, abolisce lo spazio: si simboleggia perciò una presa di coscienza riguardo una quarta dimensione non visiva, ma mentale. Nella realizzazione delle figure centrali Picasso ricorda la scultura iberica, mentre nelle due figure di destra è evidente l'influsso delle maschere rituali dell'Africa. Soprattutto la figura in basso, con gli occhi ad altezza diversa, la torsione esagerata del naso e del corpo, evidenzia come Picasso sia giunto alla simultaneità delle immagini, cioè la presenza contemporanea di più punti di vista.

Le singole figure, costruite secondo il criterio della visione simultanea da più lati, si presentano con un aspetto decisamente inconsueto che sembra ignorare qualsiasi legge anatomica. Vediamo così apparire su un volto frontale un naso di profilo, oppure, come nella figura in basso a destra, la testa appare ruotata sulle spalle di un angolo innaturale. Sono infranti così i canoni della prospettiva lineare: pur essendo ripresa di tre quarti di schiena, sono contemporaneamente visibili il viso, un seno e la schiena. Tutto ciò è comunque la premessa di quella grande svolta, che Picasso compie con il cubismo, per cui la rappresentazione tiene conto non solo di ciò che si vede in un solo istante, ma di tutta la percezione e conoscenza che l’artista ha del soggetto che rappresenta.

Ciò che costituisce la grande novità dell’opera è l’annullamento di differenza tra pieni e vuoti. La struttura dell’opera è data da un incastro geometricamente architettato di piani taglienti, ribaltati sulla superficie della tela quasi a voler rovesciare gli oggetti verso lo spettatore, coinvolto direttamente dalla fissità dello sguardo delle figure femminili e dallo scivolamento della natura morta quasi fuori del quadro. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse ed ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.

Fisica

La crisi del meccanicismo e la teoria elettromagnetica di Maxwell


La crisi del paradigma positivista, operata in particolare dalla filosofia di Bergson, in ambito fisico diventa crisi del meccanicismo: alcune ipotesi scientifiche, infatti, non rientravano più nel quadro meccanicista della fisica dell’Ottocento.

Fra queste ipotesi, la prima per importanza è quella che prova l’esistenza del campo elettromagnetico, formulata da Maxwell. La teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell rappresenta infatti un passo di straordinaria importanza nel processo di descrizione fisica della realtà: essa è in grado di unificare i fenomeni elettrici, magnetici e ottici (interpretando la luce come un’onda elettromagnetica) per mezzo di quattro equazioni fondamentali. Tuttavia essa crea diversi problemi teorici quando si tenta di inglobarla nel precedente quadro meccanicistico. In particolare, risulta problematico “escogitare” un modello basato sulle proprietà meccaniche delle particelle in grado di spiegare la propagazione delle onde elettromagnetiche e, quindi, anche della luce.

Maxwell, pur essendo il padre di una teoria che si discostava profondamente dalla visione meccanicistica della realtà, tentò per lungo tempo di trovare per essa proprio un supporto meccanico, cioè un modello materiale che spiegasse come potessero avvenire queste interazioni fra campi.

Attraverso quattro equazioni fondamentali Maxwell ipotizza che una carica accelerata è in grado di creare un campo magnetico variabile, il quale a sua volta genera un campo elettrico variabile nel tempo. Questi due campi, elettrico e magnetico variabili si propagano nello spazio, producendo radiazioni elettromagnetiche (la cui verifica sperimentale venne fatta da Hertz).

Misurando la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica, Maxwell ottiene che tale velocità è prossima a quella di propagazione della luce nel vuoto. In tal modo anche la luce deve obbedire alle leggi elettromagnetiche: si può intendere dunque la luce come un’onda elettromagnetica che, a differenza delle onde meccaniche, non ha più bisogno di alcun mezzo per potersi propagare.
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