Versione originale in latino
Seneca Lucilio suo salutem
Quod quaeris a me liquebat mihi - sic rem edidiceram - per se; sed diu non retemptavi memoriam meam, itaque non facile me sequitur. Quod evenit libris situ cohaerentibus, hoc evenisse mihi sentio: explicandus est animus et quaecumque apud illum deposita sunt subinde excuti debent, ut parata sint quotiens usus exegerit. Ergo hoc in praesentia differamus; multum enim operae, multum diligentiae poscit. Cum primum longiorem eodem loco speravero moram, tunc istud in manus sumam. Quaedam enim sunt quae possis et in cisio scribere, quaedam lectum et otium et secretum desiderant. Nihilominus his quoque occupatis diebus agatur aliquid et quidem totis. Numquam enim non succedent occupationes novae: serimus illas, itaque ex una exeunt plures. Deinde ipsi nobis dilationem damus: 'cum hoc peregero, toto animo incumbam' et 'si hanc rem molestam composuero, studio me dabo'. Non cum vacaveris philosophandum est, sed ut philosopheris vacandum est; omnia alia neglegenda ut huic assideamus, cui nullum tempus satis magnum est, etiam si a pueritia usque ad longissimos humani aevi terminos vita producitur. Non multum refert utrum omittas philosophiam an intermittas; non enim ubi interrupta est manet, sed eorum more quae intenta dissiliunt usque ad initia sua recurrit, quod a continuatione discessit. Resistendum est occupationibus, nec explicandae sed summovendae sunt. Tempus quidem nullum est parum idoneum studio salutari; atqui multi inter illa non student propter quae studendum est. 'Incidet aliquid quod impediat.' Non quidem eum cuius animus in omni negotio laetus atque alacer est: imperfectis adhuc interscinditur laetitia, sapientis vero contexitur gaudium, nulla causa rumpitur, nulla fortuna; semper et ubique tranquillus est. Non enim ex alieno pendet nec favorem fortunae aut hominis exspectat. Domestica illi felicitas est; exiret ex animo si intraret: ibi nascitur. Aliquando extrinsecus quo admoneatur mortalitatis intervenit, sed id leve et quod summam cutem stringat. Aliquo, inquam, incommodo afflatur; maximum autem illud bonum fixum est. Ita dico, extrinsecus aliqua sunt incommoda, velut in corpore interdum robusto solidoque eruptiones quaedam pustularum et ulcuscula, nullum in alto malum est. Hoc, inquam, interest inter consummatae sapientiae virum et alium procedentis quod inter sanum et ex morbo gravi ac diutino emergentem, cui sanitatis loco est levior accessio: hic nisi attendit, subinde gravatur et in eadem revolvitur, sapiens recidere non potest, ne incidere quidem amplius. Corpori enim ad tempus bona valetudo est, quam medicus, etiam si reddidit, non praestat - saepe ad eundem qui advocaverat excitatur: <animus> semel in totum sanatur. Dicam quomodo intellegas sanum: si se ipse contentus est, si confidit sibi, si scit omnia vota mortalium, omnia beneficia quae dantur petunturque, nullum in beata vita habere momentum. Nam cui aliquid accedere potest, id imperfectum est; cui aliquid abscedere potest, id imperpetuum est: cuius perpetua futura laetitia est, is suo gaudeat. Omnia autem quibus vulgus inhiat ultro citroque fluunt: nihil dat fortuna mancipio. Sed haec quoque fortuita tunc delectant cum illa ratio temperavit ac miscuit haec est quae etiam externa commendet, quorum avidis usus ingratus est. Solebat Attalus hac imagine uti: 'vidisti aliquando canem missa a domino frusta panis aut carnis aperto ore captantem? Quidquid excepit protinus integrum devorat et semper ad spem venturi hiat. Idem evenit nobis: quidquid exspectantibus fortuna proiecit, id sine ulla voluptate demittimus statim, ad rapinam alterius erecti et attoniti.' Hoc sapienti non evenit: plenus est; etiam si quid obvenit, secure excipit ac reponit; laetitia fruitur maxima, continua, sua. Habet aliquis bonam voluntatem, habet profectum, sed cui multum desit a summo: hic deprimitur alternis et extollitur ac modo in caelum allevatur, modo defertur ad terram. Imperitis ac rudibus nullus praecipitationis finis est; in Epicureum illud chaos decidunt, inane sine termino. Est adhuc genus tertium eorum qui sapientiae alludunt, quam non quidem contigerunt, in conspectu tamen et, ut ita dicam, sub ictu habent: hi non concutiuntur, ne defluunt quidem; nondum in sicco, iam in portu sunt. Ergo cum tam magna sint inter summos imosque discrimina, cum medios quoque sequatur fluctus suus, sequatur ingens periculum ad deteriora redeundi, non debemus occupationibus indulgere. Excludendae sunt: si semel intraverint, in locum suum alias substituent. Principiis illarum obstemus: melius non incipient quam desinent. Vale.
Traduzione all'italiano
Seneca saluta il suo Lucilio.
Mi interroghi su un problema che mi era di per sé chiaro, perché lo conoscevo a fondo; ma è tanto che non ci ritorno sopra, perciò non mi è facile ricordarlo. Capita che le pagine dei libri si attacchino tra loro per un prolungato disuso: mi accorgo che a me è capitata la stessa cosa: la mente va messa a punto e tutte le cognizioni che vi si sono depositate vanno ripetutamente passate in rassegna per essere pronte ogni volta che occorre usarle. Dunque, tralasciamo per ora l'argomento: richiede molto lavoro e molta attenzione. Lo riprenderò in mano non appena potrò fermarmi per un certo tempo nello stesso posto. Di talune questioni si può scrivere anche in carrozza, altre richiedono un divano, tranquillità e solitudine. E tuttavia, anche in queste giornate in cui sono totalmente assorbito da mille impegni, devo fare qualcosa. Si susseguono sempre nuove occupazioni: noi le seminiamo e perciò da una ne nascono molte. Poi ci concediamo una proroga: "Quando avrò concluso questa faccenda, mi applicherò con tutto me stesso", oppure: "Se avrò sistemato questa faccenda fastidiosa, mi dedicherò allo studio". Alla filosofia non devi dedicarti quando hai tempo libero, ma aver tempo libero per dedicarti alla filosofia; dobbiamo tralasciare tutto il resto e applicarci ad essa: anche se la vita va dalla fanciullezza alla vecchiaia più avanzata, il tempo che le dedichiamo non è mai abbastanza. Non cambia molto se la filosofia la trascuri del tutto o ne interrompi lo studio; non rimane al punto in cui hai interrotto, ma, come una corda che tesa si rompe, ritorna al punto di partenza poiché è venuta a mancare la continuità. Non bisogna cedere agli impegni; non sbrigarli, liberatene. Non c'è un periodo poco adatto a uno studio proficuo; eppure c'è gente che non vi si applica, mentre lo richiederebbero proprio le cose in cui è immersa. "Ma qualche ostacolo salta sempre fuori." Certamente non per un individuo costantemente contento e pronto in ogni sua attività: la contentezza viene meno se uno non ha raggiunto la perfezione, ma la gioia del saggio è costante, non c'è causa, non c'è rovescio di fortuna che la interrompa; egli è sereno sempre e dovunque. Non dipende da altri, non aspetta il favore della sorte o degli uomini. La sua felicità è interiore; potrebbe venir meno se provenisse dal di fuori: e invece gli nasce dentro. A volte interviene qualche fattore esterno che gli ricorda la sua mortalità, ma ha scarso peso e lo tocca solo superficialmente; è sfiorato, insomma, da qualche fastidio, ma il sommo bene è radicato in lui. Allo stesso modo certe malattie sono superficiali, come un'eruzione cutanea o una piccola ulcera su un fisico sano e robusto: il male non ha radici profonde. Tra il saggio e il neofita c'è la stessa differenza che tra un uomo sano e uno che esca da una lunga e grave malattia: a costui un attacco più leggero sembra già salute. Ma quest'ultimo, se non fa attenzione, subito si aggrava e ha una ricaduta, il saggio, invece, non può avere ricadute e neppure ammalarsi ancora. La salute del corpo è momentanea: il medico, anche se la restituisce, non può garantirla e spesso viene chiamato al capezzale di quella stessa persona che lo aveva fatto venire in precedenza: lo spirito, invece, guarisce una volta per tutte. Ecco come puoi capire se è sano: se basta a se stesso, se confida in se stesso, se si rende conto che tutti i desideri degli uomini, tutti i benefici concessi e richiesti non contano per avere la felicità. Quello a cui può aggiungersi qualcosa è imperfetto; quello a cui può venire a mancare qualcosa non è eterno: chi vuole godere di una gioia perpetua gioisca del suo. Tutti i beni su cui la gente getta avidamente l'occhio vanno e vengono: la fortuna non concede il diritto di proprietà su niente. Ma quando li regola e li contempera la ragione, anche questi beni fortuiti possono dare gioia; è la ragione a conferire valore anche ai beni che provengono dall'esterno: un uso smodato finisce per essere spiacevole. Attalo usava di solito questo paragone: "Hai mai visto un cane azzannare con le fauci spalancate i pezzi di pane o di carne gettati dal padrone? Divora sùbito tutto intero quello che riesce ad afferrare e se ne sta sempre a bocca aperta sperando in un successivo boccone. A noi capita lo stesso: stiamo lì in attesa, e ogni bene che ci getta la fortuna lo buttiamo giù subito senza gustarlo, attenti e ansiosi di afferrarne un altro." Al saggio questo non capita: è sazio; anche se dalla fortuna gli viene qualche dono, lo prende e lo mette da parte con calma; gode di una gioia grandissima, continua, tutta sua. C'è qualcuno che ha buona volontà, fa progressi, ma è ancòra molto lontano dalla cima: costui attraversa alternativamente momenti di depressione e di esaltazione, e ora si innalza fino al cielo, ora precipita a terra. Per gli uomini ignoranti e rozzi non c'è fine alla loro caduta: precipitano nel famoso caos epicureo, un vuoto senza confini. C'è poi una terza categoria: quelli che si accostano alla saggezza; non l'hanno ancora raggiunta, ci sono però davanti e la tengono, per così dire, sotto tiro: costoro non si turbano, e neppure si lasciano andare; non sono ancora approdati, ma sono ormai in porto. C'è, dunque, una grande differenza tra gli uomini che sono arrivati alla vetta della saggezza e quelli che stanno in basso; anche chi è a mezza strada è trascinato dalla corrente e corre un serio pericolo di ritornare a una situazione peggiore; è per questo che non dobbiamo dar spazio alle nostre occupazioni. Chiudiamole fuori: una volta dentro, altre ne verranno al loro posto. Stronchiamole sul nascere: meglio non farle cominciare, che doverle eliminare. Stammi bene.