Versione originale in latino
Seneca Lucilio suo salutem
Ad epistulam quam mihi ex itinere misisti, tam longam quam ipsum iter fuit, postea rescribam; seducere me debeo et quid suadeam circumspicere. Nam tu quoque, qui consulis, diu an consuleres cogitasti: quanto magis hoc mihi faciendum est, cum longiore mora opus sit ut solvas quaestionem quam ut proponas? Utique cum aliud tibi expediat, aliud mihi. Iterum ego tamquam Epicureus loquor? Mihi vero idem expedit quod tibi: aut non sum amicus, nisi quidquid agitur ad te pertinens meum est. Consortium rerum omnium inter nos facit amicitia; nec secundi quicquam singulis est nec adversi; in commune vivitur. Nec potest quisquam beate degere qui se tantum intuetur, qui omnia ad utilitates suas convertit: alteri vivas oportet, si vis tibi vivere. Haec societas diligenter et sancte observata, quae nos homines hominibus miscet et iudicat aliquod esse commune ius generis humani, plurimum ad illam quoque de qua loquebar interiorem societatem amicitiae colendam proficit; omnia enim cum amico communia habebit qui multa cum homine.
Hoc, Lucili virorum optime, mihi ab istis subtilibus praecipi malo, quid amico praestare debeam, quid homini, quam quot modis 'amicus' dicatur, et 'homo' quam multa significet. In diversum ecce sapientia et stultitia discedunt! Cui accedo? In utram ire partem iubes? Illi homo pro amico est, huic amicus non est pro homine; ille amicum sibi parat, hic se amico: tu mihi verba distorques et syllabas digeris. Scilicet nisi interrogationes vaferrimas struxero et conclusione falsa a vero nascens mendacium adstrinxero, non potero a fugiendis petenda secernere. Pudet me: in re tam seria senes ludimus.
'Mus syllaba est; mus autem caseum rodit; syllaba ergo caseum rodit.' Puta nunc me istuc non posse solvere: quod mihi ex ista inscientia periculum imminet? Quod incommodum? Sine dubio verendum est ne quando in muscipulo syllabas capiam, aut ne quando, si neglegentior fuero, caseum liber comedat. Nisi forte illa acutior est collectio: 'mus syllaba est; syllaba autem caseum non rodit; mus ergo caseum non rodit'. O pueriles ineptias! In hoc supercilia subduximus? In hoc barbam demisimus? Hoc est quod tristes docemus et pallidi? Vis scire quid philosophia promittat generi humano? Consilium. Alium mors vocat, alium paupertas urit, alium divitiae vel alienae torquent vel suae; ille malam fortunam horret, hic se felicitati suae subducere cupit; hunc homines male habent, illum dii. Quid mihi lusoria ista componis? Non est iocandi locus: ad miseros advocatus es. Opem laturum te naufragis, captis, aegris, egentibus, intentae securi subiectum praestantibus caput pollicitus es: quo diverteris? Quid agis? Hic cum quo ludis timet: succurre, quidquid laqueti respondentium poenis. Omnes undique ad te manus tendunt, perditae vitae perituraeque auxilium aliquod implorant, in te spes opesque sunt; rogant ut ex tanta illos volutatione extrahas, ut disiectis et errantibus clarum veritatis lumen ostendas. Dic quid natura necessarium fecerit, quid supervacuum, quam faciles <leges> posuerit, quam iucunda sit vita, quam expedita illas sequentibus, quam acerba et implicita eorum qui opinioni plus quam naturae crediderunt [...] si prius docueris quam partem eorum levatura sint. Quid istorum cupiditates demit? Quid temperat? Utinam tantum non prodessent! Nocent. Hoc tibi cum voles manifestissimum faciam, comminui et debilitari generosam indolem in istas argutias coniectam. Pudet dicere contra fortunam militaturis quae porrigant tela, quemadmodum illos subornent. Hac ad summum bonum itur? Per istud philosophiae 'sive nive' et turpes infamesque etiam ad album sedentibus exceptiones? Quid enim aliud agitis, cum eum quem interrogatis scientes in fraudem inducitis, quam ut formula cecidisse videatur? Sed quemadmodum illos praetor, sic hos philosophia in integrum restituit. Quid disceditis ab ingentibus promissis et grandia locuti, effecturos vos ut non magis auri fulgor quam gladii praestringat oculos meos, ut ingenti constantia et quod omnes optant et quod omnes timent calcem, ad grammaticorum elementa descenditis? Quid dicitis?
- sic itur ad astra
Hoc enim est quod mihi philosophia promittit, ut parem deo faciat; ad hoc invitatus sum, ad hoc veni: fidem praesta.
Quantum potes ergo, mi Lucili, reduc te ab istis exceptionibus et praescriptionibus philosophorum: aperta decent et simplicia bonitatem. Etiam si multum superesset aetatis, parce dispensandum erat ut sufficeret necessariis: nunc quae dementia est supervacua discere in tanta temporis egestate! Vale.
Traduzione all'italiano
Seneca saluta il suo Lucilio.
Durante il tuo viaggio mi hai mandato una lettera lunga quanto il viaggio stesso: a questa risponderò in seguito; debbo starmene in disparte e meditare sui consigli da darti. Tu stesso che chiedi il mio parere, hai pensato a lungo se farlo: tanto più devo riflettere io: per risolvere i problemi è necessario un tempo maggiore che per proporli, specialmente se a te preme una cosa e a me un'altra. Parlo di nuovo come un epicureo? In realtà a me preme la stessa cosa che a te: oppure non sarei un amico se tutto ciò che riguarda te non riguardasse pure me. L'amicizia mette tutto in comune tra noi; non c'è circostanza propizia o avversa che tocchi uno solo di noi; viviamo dividendo ogni cosa. Nessuno può vivere felice se bada solo a se stesso, se volge tutto al proprio utile: devi vivere per il prossimo, se vuoi vivere per te. Questo vincolo, scrupolosamente e coscienziosamente rispettato, che unisce gli uomini tra loro e dimostra che esiste una legge comune per il genere umano, serve moltissimo anche per coltivare quella società interiore di cui parlavo: l'amicizia; se uno ha molto in comune con il prossimo, avrà tutto in comune con l'amico.
Preferirei, mio ottimo Lucilio, che questi sottili argomentatori mi insegnassero che doveri ho verso un amico e verso gli uomini, piuttosto che in quanti modi si possa dire "amico" e quanti significati abbia la parola "uomo". Ecco, la saggezza e la stoltezza vanno in direzioni opposte! A quale devo accostarmi? Da quale parte mi consigli di andare? Per il saggio, uomo significa amico, per lo stolto, amico non significa neppure uomo; l'uno si procura un amico, l'altro si offre all'amico: loro mi storpiano le parole e le dividono in sillabe. Naturalmente se non avrò preparato argomentazioni sottilissime e non avrò fatto nascere, con una falsa conclusione, una menzogna dalla verità, non potrò distinguere le cose da ricercare da quelle da fuggire! Mi vergogno: siamo vecchi e scherziamo su una questione tanto seria.
"Mus è una sillaba; mus rode il formaggio, dunque una sillaba rode il formaggio." Mettiamo che io non sia in grado di sciogliere questo nodo: quale pericolo incombe su di me per questa ignoranza? Quale danno? Senza dubbio c'è da temere che io un giorno o l'altro prenda in trappola le sillabe, oppure che, se sarò troppo distratto, un libro mangi il formaggio. Ma c'è un sillogismo ancora più sottile: "Mus è una sillaba; la sillaba non mangia il formaggio; mus, dunque, non mangia il formaggio." Che sciocchezze puerili! Per questo abbiamo corrugato le sopracciglia? Per questo abbiamo fatto crescere la barba? È questo che insegniamo tutti seri e pallidi? Vuoi sapere che cosa promette la filosofia al genere umano? Avvedutezza. Uno lo chiama la morte, un altro lo angustia la povertà, un terzo lo tormenta la ricchezza sua o di altri; quello ha orrore della mala sorte, questo desidera sottrarsi alla sua prosperità; a Tizio fanno del male gli uomini, a Caio gli dèi. Perché architetti questi giochi? Non è il momento di scherzare: tu sei chiamato ad aiutare degli infelici. Hai promesso di soccorrere naufraghi, prigionieri, malati, bisognosi, gente che deve sottoporre il capo alla scure del carnefice. Dove ti volgi? Che fai? Quest'uomo, con cui scherzi, ha paura: aiutalo, [...]. Tutti da ogni parte ti tendono le mani, implorano un aiuto per la loro vita fallita o destinata al fallimento, ripongono in te ogni speranza di soccorso; chiedono che tu li liberi da una tale inquietudine, che mostri loro, reietti e smarriti, il fulgido lume della verità. Insegna loro che cosa la natura ha generato di necessario, che cosa di superfluo, che norme semplici ha dato, quanto è bella la vita e quanto è facile per chi vi obbedisce, quanto è dura e complicata per quegli uomini che hanno creduto più ai pregiudizi che alla natura [...]; ma prima dovrai insegnare quale parte dei loro mali potrà essere alleviata. Quale di questi cavilli può estinguere le passioni? Quale moderarle? Magari si limitassero a non giovare! Nuocciono addirittura. Quando vorrai, ti dimostrerò molto chiaramente che anche uno spirito magnanimo diventa debole e fiacco se si perde in codeste sottigliezze. Mi vergogno di dire che armi costoro porgano a chi si prepara a combattere contro la sorte e come lo preparino. È questa la via che porta al sommo bene? Attraverso questi "sia che, sia che non" della filosofia e attraverso obiezioni vergognose e infamanti anche per dei legulei? Che altro fate, quando di proposito traete in inganno l'interrogato, se non fargli credere che ha perso la causa per una formula? Ma come il pretore reintegra nel proprio diritto la parte lesa, così fa la filosofia. Perché non mantenete le vostre straordinarie promesse? Avete fatto solenni affermazioni, che per merito vostro lo splendore dell'oro non mi avrebbe abbagliato gli occhi più di quello della spada, che avrei calpestato con grande fermezza tutto quello che gli uomini desiderano o temono; e ora vi abbassate ai princìpî elementari dei grammatici? Che dite?
- così si sale alle stelle?
La filosofia promette di rendermi simile alla divinità; sono stato chiamato per questo, per questo sono venuto: mantieni le tue promesse.
Stai lontano, Lucilio mio, più che puoi, da queste obiezioni e sottigliezze dei filosofi: all'onestà si addice un linguaggio chiaro e semplice. Anche se avessimo ancòra molto tempo da vivere, bisognerebbe amministrarlo con parsimonia, perché basti per ciò che è necessario: e allora, non è da pazzi imparare nozioni superflue quando abbiamo così poco tempo? Stammi bene.