Mika
di Mika
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Versione originale in latino


Ad ea Caesar respondit: nulli omnium has partes vel querimoniae vel miserationis minus convenisse. Reliquos enim omnes officium suum praestitisse: se, qui etiam bona condicione, et loco et tempore aequo, confligere noluerit, ut quam integerrima essent ad pacem omnia; exercitum suum, qui iniuria etiam accepta suisque interfectis, quos in sua potestate habuerit, conservarit et texerit; illius denique exercitus milites, qui per se de concilianda pace egerint; qua in re omnium suorum vitae consulendum putarint.
Sic omnium ordinum partes in misericordia constitisse: ipsos duces a pace abhorruisse; eos neque colloquii neque indutiarum iura servasse et homines imperitos et per colloquium deceptos crudelissime interfecisse. Accidisse igitur his, quod plerumque hominum nimia pertinacia atque arrogantia accidere soleat, uti eo recurrant et id cupidissime petant, quod paulo ante contempserint. Neque nunc se illorum humilitate neque aliqua temporis opportunitate postulare, quibus rebus opes augeantur suae; sed eos exercitus, quos contra se multos iam annos aluerint, velle dimitti. Neque enim sex legiones alia de causa missas in Hispaniam septimamque ibi conscriptam neque tot tantasque classes paratas neque submissos duces rei militaris peritos. Nihil horum ad pacandas Hispanias, nihil ad usum provinciae provisum, quae propter diuturnitatem pacis nullum auxilium desiderarit. Omnia haec iam pridem contra se parari; in se novi generis imperia constitui, ut idem ad portas urbanis praesideat rebus et duas bellicosissimas provincias absens tot annis obtineat; in se iura magistratuum commutari, ne ex praetura et consulatu, ut semper, sed per paucos probati et electi in provincias mittantur; in se etiam aetatis excusationem nihil valere, cum superioribus bellis probati ad obtinendos exercitus evocentur; in se uno non servari, quod sit omnibus datum semper imperatoribus, ut rebus feliciter gestis aut cum honore aliquo aut certe sine ignominia domum revertantur exercitumque dimittant. Quae tamen omnia et se tulisse patienter et esse laturum; neque nunc id agere, ut ab illis abductum exercitum teneat ipse, quod tamen sibi difficile non sit, sed ne illi habeant, quo contra se uti possint. Proinde, ut esset dictum, provinciis excederent exercitumque dimitterent; si id sit factum, se nociturum nemini. Hanc unam atque extremam esse pacis condicionem.

Traduzione all'italiano


A tali parole Cesare risponde: a nessuno meno che ad Afranio conviene il ruolo di chi si lamenta e cerca compassione. Tutti gli altri infatti avevano fatto il loro dovere: lui, Cesare, che non aveva voluto venire alle armi anche in condizioni favorevoli, in un luogo e in un momento conveniente, affinché persistessero al massimo tutte le opportunità di pace; il suo esercito, che nonostante le ingiurie ricevute e le uccisioni dei compagni, aveva salvato e protetto i soldati nemici in propria mano; e infine i soldati dell'esercito nemico, che di propria iniziativa avevano agito per trattative di pace e in tal modo avevano pensato di provvedere alla salvezza di tutti i loro compagni. Così ognuno, coerentemente, secondo il grado, aveva agito in base a un sentimento di pietà. Sono stati i capi a essere contrari alla pace: essi non hanno mantenuto fede al diritto di colloquio e di tregua e hanno ucciso con grande crudeltà uomini senza difese e tratti in inganno col pretesto del colloquio. Era pertanto accaduto a loro ciò che suole accadere per lo più a uomini troppo ostinati ed arroganti, cioè di ricorrere, desiderandolo ardentemente, a ciò che poco prima avevano disprezzato. Ora egli non chiede, approfittando della loro sottomissione e del favore della circostanza, di che accrescere le sue forze; ma pretende che siano congedati quegli eserciti mantenuti ormai per troppi anni contro di lui. Né infatti per altro motivo sono state mandate in Spagna sei legioni e qui ne è stata arruolata una settima, e tante e così grandi flotte sono state apprestate e sono stati di nascosto mandati comandanti esperti di guerra. Nessuno di tali provvedimenti era stato preso per la pacificazione delle Spagne e per l'utilità della provincia che durante il periodo di pace non aveva avuto bisogno di nessun aiuto. Già da tempo tutti i provvedimenti erano rivolti contro di lui, contro di lui si istituivano comandi di nuovo genere così che una medesima persona, standosene alle porte di Roma, presiedeva le questioni della città e, pure assente, teneva per tanti anni due bellicosissime province; contro di lui venivano mutate le leggi sul conferimento delle magistrature per essere mandati nelle province non dopo la pretura e il consolato, come nel passato, ma attraverso l'elezione e l'approvazione di pochi; contro di lui non valeva più la giustificazione dell'età poiché venivano chiamate al comando degli eserciti persone segnalatesi in precedenti guerre; contro di lui solo non si manteneva ciò che era sempre stato concesso a tutti i generali, di tornare in patria, dopo avere compiuto campagne fortunate, o con qualche onore o certamente senza ignominia e di congedare l'esercito. Tuttavia egli ha sopportato con pazienza e sopporterà ancora tutto ciò; e ora vuole non tenersi l'esercito a loro sottratto, cosa che tuttavia non sarebbe per lui difficile, ma che non rimanga a loro per potersene servire contro di lui. Dunque, come è stato detto, ordina di uscire dalle province e di congedare l'esercito; se ciò viene fatto, egli non ha intenzione di nuocere a nessuno. Questa è l'unica e l'ultima condizione di pace.

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