Versione originale in latino
Seneca Lucilio suo salutem
Fuisti here nobiscum. Potes queri, si here tantum; ideo adieci 'nobiscum'; mecum enim semper es. Intervenerant quidam amici propter quos maior fumus fieret, non hic qui erumpere ex lautorum culinis et terrere vigiles solet, sed hic modicus qui hospites venisse significet. Varius nobis fuit sermo, ut in convivio, nullam rem usque ad exitum adducens sed aliunde alio transiliens. Lectus est deinde liber Quinti Sextii patris, magni, si quid mihi credis, viri, et licet neget Stoici. Quantus in illo, di boni, vigor est, quantum animi! Hoc non in omnibus philosophis invenies: quorundam scripta clarum habentium nomen exanguia sunt. Instituunt, disputant, cavillantur, non faciunt animum quia non habent: cum legeris Sextium, dices, 'vivit, viget, liber es, supra hominem est, dimittit me plenum ingentis fiduciae'. In qua positione mentis sim cum hunc lego fatebor tibi: libet omnis casus provocare, libet exclamare, 'quid cessas, fortuna? Congredere: paratum vides'. Illius animum induo qui quaerit ubi se experiatur, ubi virtutem suam ostendat,
- spumantemque dari pecora inter inertia votis
optat aprum aut fulvum descendere monte leonem.
Libet aliquid habere quod vincam, cuius patientia exercear. Nam hoc quoque egregium Sextius habet, quod et ostendet tibi beatae vitae magnitudinem et desperationem eius non faciet: scies esse illam in excelso, sed volenti penetrabilem. Hoc idem virtus tibi ipsa praestabit, ut illam admireris et tamen speres. Mihi certe multum auferre temporis solet contemplatio ipsa sapientiae; non aliter illam intueor obstupefactus quam ipsum interim mundum, quem saepe tamquam spectator novus video. Veneror itaque inventa sapientiae inventoresque; adire tamquam multorum hereditatem iuvat. Mihi ista acquisita, mihi laborata sunt. Sed agamus bonum patrem familiae, faciamus ampliora quae accepimus; maior ista hereditas a me ad posteros transeat. Multum adhuc restat operis multumque restabit, nec ulli nato post mille saecula praecludetur occasio aliquid adhuc adiciendi. Sed etiam si omnia a veteribus inventa sunt, hoc semper novum erit, usus et inventorum ab aliis scientia ac dispositio. Puta relicta nobis medicamenta quibus sanarentur oculi: non opus est mihi alia quaerere, sed haec tamen morbis et temporibus aptanda sunt. Hoc asperitas oculorum collevatur; hoc palpebrarum crassitudo tenuatur; hoc vis subita et umor avertitur; hoc acuetur visus: teras ista oportet et eligas tempus, adhibeas singulis modum. Animi remedia inventa sunt ab antiquis; quomodo autem admoveantur aut quando nostri operis est quaerere. Multum egerunt qui ante nos fuerunt, sed non peregerunt. Suspiciendi tamen sunt et ritu deorum colendi. Quidni ego magnorum virorum et imagines habeam incitamenta animi et natales celebrem? Quidni ego illos honoris causa semper appellem? Quam venerationem praeceptoribus meis debeo, eandem illis praeceptoribus generis humani, a quibus tanti boni initia fluxerunt. Si consulem videro aut praetorem, omnia quibus honor haberi honori solet faciam: equo desiliam, caput adaperiam, semita cedam. Quid ergo? Marcum Catonem utrumque et Laelium Sapientem et Socraten cum Platone et Zenonem Cleanthenque in animum meum sine dignatione summa recipiam? Ego vero illos veneror et tantis nominibus semper assurgo. Vale.
Traduzione all'italiano
Seneca saluta il suo Lucilio.
Ieri sei stato insieme a noi. Potresti lamentarti, se si fosse trattato solo di ieri; perciò ho aggiunto "con noi": con me ci sei sempre. Sono venuti certi amici e per loro il fumo è aumentato; non quel fumo che erompe dalle cucine dei ricchi e mette in allarme i vigili, ma quello moderato che indica l'arrivo di ospiti. Abbiamo parlato di tanti argomenti, come si fa durante un banchetto, senza esaurirne nessuno, ma saltando dall'uno all'altro. Poi abbiamo letto il libro di Quinto Sestio padre, un grande uomo, parola mia, e uno stoico, anche se lui non si riconosce tale. Che vigore, buon dio, che temperamento! Non in tutti i filosofi lo troverai: certi, che pure sono famosi, hanno scritto pagine senza nerbo. Ammaestrano, discutono, cavillano, non infondono energia: non ne hanno; se leggi Sestio, dirai: "È vivo, è vigoroso, è libero, è superiore agli altri, mi lascia una notevole carica di fiducia." Ti confesserò qual è il mio stato d'animo quando lo leggo: ho voglia di sfidare tutti gli eventi, ho voglia di gridare: "Perché questo indugio, o sorte? Attacca, sono pronto." Mi rivesto dello spirito di uno che, cercando di dar prova del proprio valore e di sperimentare se stesso,
- desidera ardentemente di imbattersi tra imbelli armenti in un cinghiale con la bava alla bocca, o che scenda dai monti un fulvo leone.
Avere qualche ostacolo da vincere ed esercitarvi la mia fermezza: ecco quello che mi piace. Sestio ha quest'altra straordinaria dote: ti mostra la grandezza della felicità, ma non ti fa disperare di ottenerla: comprenderai che la felicità si trova molto in alto, ma è accessibile, se uno vuole. Ed è proprio quello che la virtù ti darà: un senso di ammirazione nei suoi confronti e la speranza di raggiungerla. A me la semplice contemplazione della saggezza porta via molto tempo; la guardo stupefatto, come guardo talvolta l'universo che spesso vedo con occhi nuovi. Nutro, perciò venerazione per le scoperte della saggezza e per chi le opera. Mi piace venirne in possesso come se fossero eredità di molti. Queste conquiste, questi sforzi sono stati fatti per me. Ma comportiamoci come un buon padre di famiglia, ampliamo il patrimonio ricevuto; quest'eredità passi accresciuta da me ai posteri. Da fare resta ancora molto e molto ne resterà, e a nessuno, sia pure fra mille secoli, sarà negata la possibilità di aggiungere qualche cosa ancora. Ma anche se gli antichi hanno scoperto tutto, l'applicazione, la conoscenza e l'organizzazione delle scoperte altrui sarà sempre nuova. Supponi che ci siano stati lasciati dei farmaci per sanare gli occhi: non ho bisogno di cercarne altri; ma quelli che ho devo adattarli alle malattie e alle circostanze. Uno allevia il bruciore agli occhi; un altro attenua il gonfiore delle palpebre; con questo si può stroncare uno spasmo improvviso e l'eccessiva lacrimazione, quest'altro acuisce la vista; bisogna poi triturare le erbe mediche, scegliere il momento giusto per la cura e dosarle secondo le necessità del paziente. Gli antichi hanno trovato farmaci per i mali dell'anima; come o quando vanno adoperati spetta a noi ricercarlo. I nostri predecessori hanno fatto molto, ma non hanno fatto tutto. Pure vanno rispettati e venerati come dèi. Perché non dovrei tenere i ritratti dei grandi uomini come sprone morale e non dovrei celebrarne l'anniversario della nascita? Perché non dovrei menzionarli sempre a titolo di onore? Devo un'identica venerazione ai miei maestri e a loro, maestri dell'umanità: sono stati loro la fonte di un bene così prezioso. Se incontro un console o un pretore, gli tributo l'onore dovuto alla sua carica: balzo giù da cavallo, mi scopro il capo, cedo il passo. Ma come? I due Catoni, Lelio il saggio, Socrate e Platone, Zenone e Cleante li accoglierò nel mio animo senza il massimo rispetto? Anzi, li venero e mi alzo sempre in piedi di fronte a nomi tanto importanti. Stammi bene.