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- L’ATTENZIONE SULLE PERSONE, LE COSE TENUTE IN MANO E GLI EVENTI
1. Altro genitore come terzo elemento esiste una tecnica clinica chiamata “triangolo
primario”, che permette di analizzare le relazioni tra il bambino ed i due genitori e
che ha portato alla scoperta di risultati interessanti, quali i seguenti: a) tre mesi il
piccolo sposta lo sguardo da un genitore all’altro, ma senza cambiare l’espressione
del viso; b) cinque mesi aumenta la velocità di diversione dello sguardo, così
come la capacità di condivisione degli affetti con la comparsa del social referencing
(è una strategia di controllo emotivo che il genitore esercita sul bambino, aiutandolo,
per ex., ad interpretare situazioni di ambiguità); c) nove mesi il bambino ricerca
l’attenzione di ambo gli interlocutori, rivolgendosi prima ad uno e poi all’altro.
2. Oggetto in mano come terzo elemento questa relazione triadica si sviluppa alla
fine del primo anno, con la formazione del triangolo P-P(O)-P, cioè Persona-
Persona(Oggetto)-Persona: l’attenzione del bambino, gradualmente, si sposta dalla
mano della persona con cui è in interazione al solo oggetto.
3. Eventi come terzo elemento vi fanno riferimento due fenomeni: a) social
referencing (studiato con il paradigma del precipizio visivo); b) condivisione degli
affetti, che non ha luogo solo nel caso di situazioni spiacevoli od ambigue, ma anche
a fronte di eventi che suscitano affettività positiva.
La distinzione tra attenzione ed interazione non è sempre immediata ed è sicuramente più semplice
da operare negli scambi triadici che in quelli diadici. Fin dalla nascita, i bambini sono dotati di
rilevatori dell’orientamento di diverse parti del corpo (occhi, testa, orecchie, mani, lingua) ed a tre
mesi si accorgono di diversioni orizzontali anche minime dello sguardo dell’Altro (mentre fanno
più fatica con i cambiamenti in senso verticale). Viene spontaneo chiedersi, a questo punto, perché
il bambino dovrebbe essere interessato a seguire l’attenzione dell’Altro per capire a che cosa si
rivolga: un ruolo importante di incentivazione sembra essere giocato dai genitori che, seppur
inconsciamente, agisco in quella che Vygotskij ha definito “zona di sviluppo prossimale”. In
particolare, quando a partire dai quattro mesi l’attenzione del bambino nei confronti delle figure
genitoriali inizia a venire meno, queste cercano di far fronte al cambiamento coinvolgendolo per
mezzo di azioni sempre più enfatizzate, anche attraverso la manipolazione delle sue diverse parti
del corpo: questo fa sì che il piccolo cominci a percepire queste ultime come degli oggetti e che si
senta target attentivo. E’ importante, quindi, che le prime esperienze consapevoli come oggetto di
attenzione siano positive, affinché il bambino possa crescere con la motivazione al coinvolgimento.
Nel caso dell’autismo, infine, il bambino non vive questa esperienza come partecipante interno, ma
solo come osservatore esterno.
Avere consapevolezza di sé significa avere dei pensieri su di sé: ciò non si sviluppa a partire da un
self-concept, bensì dal vivere esperienze in seconda persona che permettano di sentirsi oggetto
dell’attenzione altrui. La definizione di “Sé” non è univoca, così come quella dei suoi confini:
questi non sembrano esser dati dalla pelle, perché il Sé esiste e si afferma in quanto tale nelle sue
relazioni con gli oggetti del mondo esterno; in tal senso, è come se ci fossero tanti Sé quante sono le
sue interazioni. Secondo la Psicologia di inizio ‘900, il Sé si svilupperebbe tardivamente ed il
bambino vivrebbe in una condizione di adualismo, ovvero di incapacità nel distinguere se stesso
dall’ambiente esterno. Ci sono, però, diverse evidenze che si oppongono a questa visione:
- il bambino mette in atto una serie di azioni sul mondo esterno, che non sarebbero possibili
se non sapesse distinguersi da esso;
- anche i gemelli siamesi sembrano in grado di percepirsi in quanto entità autonome, come
dimostrato dalla modalità di suzione delle dita;
- nei movimenti di mani e piedi del feto, si può scorgere un’intenzionalità di base.
Pare esserci, quindi, una sorte di consapevolezza di sé già precocemente, anche se non è detto che
questa si manifesti in termini di dicotomie Sé/Altro o Sé/mondo esterno: quello che il neonato
conosce è, forse, il suo Sé-in-relazione-col-mondo. La percezione e la consapevolezza di Sé,
gradualmente, vanno incontro ad una maggiore complessità, grazie all’esperienza di essere oggetto
per gli altri: a questo processo, si accompagna quello di sviluppo della percezione dell’esperienza
psicologica altrui.
Si parla di “affettività autoconsapevole” per far riferimento a tutti i sentimenti e le reazioni che si
creano nella relazione con l’Altro e che riguardano il sentirsi oggetto della sua attenzione: si tratta,
fondamentalmente, di timidezza ed esibizione. Sullo sviluppo e la natura delle emozioni
autoconsapevoli, sono stati dati diversi contribuiti:
- Darwin i neonati non arrossiscono in situazioni potenzialmente imbarazzanti e questo
lascia presagire che non abbiano un self-concept. Secondo alcuni Autori, questo si sviluppa
intorno ai cinque anni dopo il Sé sociale, mentre altri ritengono che emerga con il
superamento del mirror test;
- Lewis il bambino può entrare in contatto con l’Altro in quanto entità psicologica solo
dopo aver sviluppata una propria “idea di me”, ovvero la possibilità di rivolgersi a se stesso
usando il pronome “io”. Da questa conquista scaturirebbero le emozioni secondarie, quali
l’imbarazzo, l’orgoglio, l’empatia e la gelosia. A tre anni, con la capacità di creare
rappresentazioni mentali di standard ed obiettivi, nascono le emozioni legate alla
valutazione di sé, come il senso di colpa. L’approccio di Lewis, quindi, è quello in terza
persona, ma risulta non esaustivo se si pensa che il bambino fa esperienza di sé come
oggetto anche prima di avere un’idea di sé.
a) TIMIDEZZA, RITROSIA, IMBARAZZO
E’ importante, in primo luogo, fare una distinzione:
- timidezza e ritiro reazioni biologiche derivanti dalla paura di uno stimolo, dal quale ci si
vuole sottrarre;
- imbarazzo, rossore e ritrosia emozioni auto consapevoli.
La vergogna e l’imbarazzo si manifestano con espressioni tipiche, quali il sorriso con
spostamento dello sguardo o del capo, i tentativi di repressione del sorriso ed il nascondere il
viso con le mani. Già a due mesi, i piccoli sono in grado di manifestare ritrosia e lo fanno
quando, salutati dall’adulto, divergono il capo sorridendo e lanciano sguardi fugaci: ciò
nonostante, ancora non si può parlare di autoconsapevolezza di sé come oggetto, pertanto non si
tratta di un’emozione autoconsapevole. Negli adulti e nei bambini più grandi, reazioni di
timidezza, vergogna, ritrosia ed imbarazzo possono esserci in diversi contesti, quali:
- in risposta all’attenzione altrui;
- in risposta ad una valutazione emessa dall’Altro.
Nei bambini piccoli (due mesi), al contrario, le emozioni di cui sopra sono elicitate solo dalla
percezione dell’attenzione dell’Altro, che viene vissuta come un fallimento nella regolazione
della privacy, un’attenzione inattesa. La ritrosia dei bambini piccoli ha elementi sia in comune
che divergenti con quella dei grandi ed in particolare:
- in comune sorriso, movimenti delle braccia e diversione di testa o sguardo;
- divergenti mancata repressione del sorriso (che, nell’adulto, è funzionale a riacquistare la
dignità) e movimenti degli arti grossolani.
A partire dalla metà del primo anno, fa la sua comparsa il rifiuto di mettere in atto un
comportamento richiesto dall’adulto, soprattutto di fronte a degli estranei.
Già dai quattro mesi, le manifestazioni di ritrosia sono finalizzate, sì a diminuire
l’esposizione del Sé, ma anche a stimolare il coinvolgimento dell’Altro: questa tendenza si
ritrova, ad ex., nel caso del corteggiamento in età adulta, ove la ritrosia si fa convenzionale.
b) AUMENTARE LA VISIBILITA’ DEL SE’: L’ESIBIRSI
I primi comportamenti di esibizione del Sé sono stati descritti dalla Amsterdam sotto forma di
pavoneggia menti davanti allo specchio poco dopo il compimento del primo anno. Si usa il
termine “prestance” per indicare i comportamenti di esibizione del Sé tipicamente infantili. A
sette mesi, il bambino mette in atto azioni sciocche o molto estreme e, quando sente l’attenzione
dell’Altro su di sé, esibisce un repertorio di giochini e cerca di ottenere apprezzamento portando
a termine qualcosa di difficile. A otto mesi, invece, inizia a ripetere le azioni che gli adulti
reputano “intelligenti” (ex. arrampicarsi), alla ricerca di gratificazione. Questa selezione delle
azioni mette in evidenza quanto i bambini siano dotati di intenzionalità e coscienza di quel che
fanno. Attraverso l’approvazione immediata dell’Altro, il bambino impara a perfezionare
l’esecuzione di azioni e sequenze comportamentali complesse.
Ricerche interessanti sono state condotte confrontando i bambini sani con quelli affetti da
patologia:
- test dello specchio a) i bambini con SD guardano se stessi e le altre persone riflesse, che
considerano partner di comunicazione o pubblico; b) i bambini autistici si concentrano sul
riflesso degli oggetti presenti nella stanza e trattano anche le persone riflesse come se fossero
degli oggetti interessanti. / I bambini con autismo sono in grado di riconoscersi in quanto
oggetti ma, al contrario di quelli con SD, non si reputano “oggetti in quanto percepiti da altri
soggetti psicologici”, bensì “oggetti in quanto esistenti di per sé”. Mentre la prospettiva in terza
persona è preservata, emergono deficit in quelli in seconda persona;
- studio in cui un ricercatore vestito da orsetto di peluche si avvicina al bambino parlandogli,
con tono confidenziale a) i bambini con DSA esibiscono una comune reazione di ritrosia con
sorriso; b) i bambini autistici sorridono e spostano lo sguardo ma, al contrario degli altri, non
cercano, dopo, un’interazione con l’orsetto.
L’esibizione del Sé è rara nell’autismo e, quando ha luogo, si manifesta come ripetizione di
azioni convenzionali, senza alcuna flessibilità a fronte di quelle che sono le variazioni
dell’attenzione altrui.
Le reazioni di ritrosia dei due mes