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V
m dθ m dθ n dθ n dθ
V t V t
=cos =cos
Per le sostanze omogenee e pure, esiste anche un'altra classe di trasformazioni per le quali il calore
scambiato dipende solo dallo stato iniziale e finale e non dalla particolare trasformazione, in altri
(*) Questo è il motivo per cui nel dare la definizione della caloria abbiamo specificato che la variazione
di temperatura deve avvenire alla pressione costante di 1 atmosfera. 24
G.P. Maggi - Lezioni di Fisica Generale per Ingegneria Edile AA 2002/2003
termini il calore scambiato è una funzione di stato. Queste trasformazioni sono quelle a pressione
costante.
Se la trasformazione è reversibile in modo che in ogni tratto infinitesimo della trasformazione la
pressione sia sempre la stessa, si può scrivere:
dU PdV
= δQ − δW = δQ −
da cui possiamo ricavare il calore scambiato: ( ) ( )
dU PdV dU d PV d U PV
δQ = + = + = +
1
2
3
perché P è costante
La quantità U + PV, dato che è la somma di una funzione di stato, U, e della quantità PV ottenuta
moltiplicando due variabili di stato, è una funzione di stato. Essa si chiama “entalpia” e si indica con
H. Ne segue che per trasformazioni a pressione costante, anche il calore scambiato Q è una funzione di
stato (Q=ΔH) e pertanto dQ è un differenziale esatto (dQ=dH).
Se viceversa la trasformazione è irreversibile, noi possiamo solo controllare che la pressione finale è
uguale a quella iniziale perché la pressione negli stati intermedi non è definita. Poiché gli stati iniziali e
finali sono comunque stati di equilibrio, è lecito supporre che la pressione esterna sia uguale alla
pressione del sistema nello stato iniziale e in quello finale, P =P .
est sist,if
Essendo per ipotesi la trasformazione irreversibile, il lavoro andrà calcolato utilizzando le coordinate
termodinamiche dell’ambiente esterno W =P (V -V )= P (V -V ). Il I principio della termodinamica
if est f i sist,if f i
applicato alla trasformazione ci dà: ( )
Q W Q P V V
ΔU = − = − −
sist,if f i
Risolvendo per il calore scambiato si ottiene: ( ) ( )
( )
Q P V V U U P V P V U P V U P V H H
= ΔU + − = − + − = + − + = − = ΔH
sist, if f i f i sist,f f sist,i i f sist,f f i sist,i i f i
Da cui possiamo dedurre che il calore scambiato è lo stesso sia nella trasformazione reversibile che in
quella irreversibile purché entrambe avvengano a pressione costante.
Per le trasformazioni a pressione costante il calore specifico a pressione costante e il calore molare a
pressione costante diventano:
Calore specifico a pressione costante Calore molare a pressione costante
1 1 dH 1 1 dH
δQ δQ
c C
= = = =
P
m dθ m dθ n dθ n dθ
P=cos t P= cost
Nel caso di corpi solidi o liquidi è molto facile eseguire trasformazioni a pressione costante, per
esempio alla pressione atmosferica, e quindi è relativamente semplice determinare il calore molare a
pressione costante. E’ invece molto difficile determinare quello a volume costante, perché come
abbiamo già osservato in precedenza, quando la temperatura dei corpi aumenta essi subiscono una
dilatazione, quindi un aumento di volume che non è possibile impedire. Il calore molare a volume
costante deve essere derivato da quello a pressione costante e dalla conoscenza del coefficiente di
dilatazione volumetrica. Nel caso di sistemi gassosi invece, è facile sia eseguire delle trasformazioni a
volume costante che a pressione costante e pertanto entrambi i calori molari possono essere determinati
sperimentalmente.
Nel 1819 Dulong e Petit misero in evidenza il fatto che, alla temperatura ambiente, quasi tutte le
sostanze solide hanno un calore molare molto vicino a 6 cal/mole °C: questo significa che per elevare la
temperatura di tutto il sistema di una data quantità bisogna fornire a ciascuna molecola una quantità di
calore che è approssimativamente la stessa per quasi tutte le sostanze ed è quindi indipendente dal tipo
di molecola.
I calori molari variano con la temperatura: tendono a zero quando la temperatura tende a zero
(assoluto) e al valore di Dulong e Petit, quando la temperatura tende all'infinito. 25
G.P. Maggi - Lezioni di Fisica Generale per Ingegneria Edile AA 2002/2003
Se si riportano gli andamenti dei calori molari in funzione della temperatura per diverse sostanze si
vede che gli andamenti sono molto diversi tra loro.
Sulla base dell’osservazione precedente e cioè che i calori molari dipendono dal numero di molecole e
non dal tipo di molecola, sarebbe stato più logico attendersi andamenti simili per tutte le sostanze.
In effetti si vede che è proprio così: se si riportano i calori molari anziché in funzione della temperatura,
in funzione della variabile adimensionale dove è una temperatura caratteristica della
Θ/Θ Θ
D D
sostanza, si osserva che tutte le sostanze seguono lo stesso andamento. è detta temperatura di
Θ D
Debye che formulò questo modello.
Equivalente meccanico del calore.
Fu Joule a dimostrare sperimentalmente l'equivalenza tra calore e lavoro e ad effettuare le prime
verifiche sperimentali del primo principio della termodinamica. Egli determinò infatti la corrispondenza
tra le unità di misura del lavoro meccanico e le unità di misura del calore: l'equivalente meccanico del
calore.
Egli utilizzò come sistema termodinamico esattamente lo stesso sistema che noi abbiamo utilizzato per
introdurre il primo principio della termodinamica: una certa quantità di acqua mantenuta alla pressione
atmosferica. Egli osservò che è possibile realizzare una trasformazione, cioè il passaggio da uno stato
caratterizzato da una temperatura ad uno stato caratterizzato da una temperatura , maggiore di
Θ Θ
1 2
,a pressione atmosferica o eseguendo dall'esterno soltanto lavoro adiabatico oppure scambiando
Θ 1
soltanto del calore.
Il lavoro adiabatico sul sistema veniva effettuato mettendo in rotazione, mediante pesi che cadevano, un
mulinello, oppure facendo strisciare, sempre mediante pesi che cadevano, dei corpi in contatto tra di
loro: il lavoro fatto sul sistema veniva ricondotto così al lavoro fatto dalla forza peso durante la caduta
dei corpi. Joule osservò che il lavoro adiabatico necessario per portare il sistema dallo stato 1 allo stato
2 era sempre lo stesso, indipendentemente dalla maniera in cui il lavoro veniva effettuato sul sistema.
La stessa variazione di stato poteva comunque essere ottenuta mettendo a contatto l'acqua con un corpo
a temperatura più elevata, come per esempio la fiamma di un becco Bunsen. In questo secondo caso
non si ha esecuzione di alcun lavoro, ma solo passaggio di calore dal corpo a temperatura più elevata
all'acqua.
Segue da tutto questo che lo scambio di lavoro o di calore tra il sistema e l'ambiente circostante sono
equivalenti per quanto concerne i cambiamenti di stato del sistema.
L'equivalenza tra lavoro e calore consente di utilizzare le stesse unità di misura del lavoro anche per
misurare il calore. Prima però che Joule determinasse sperimentalmente l'equivalenza tra lavoro e
calore, a questo era assegnata una unità di misura, la caloria, e un metodo per la determinazione della
(!)
quantità di calore scambiata . Ricordiamo che la caloria era definita come la quantità di calore che
deve essere scambiata tra l'ambiente circostante e un sistema costituito da una massa unitaria (1 g) di
(*)
acqua per innalzare di un grado la temperatura del sistema . Con il suo esperimento Joule determinò
il coefficiente di conversione tra l'unità di misura del calore, la caloria, C, e l'unità di misura del lavoro,
ciò che noi attualmente indichiamo con joule. In definitiva egli determinò l'equivalente meccanico del
calore. Egli trovò che: 1 caloria = 4.155 J
Misure più precise effettuate nel 1939 dal National Bureau of Standards (Usa) hanno portato alla
seguente equivalenza: 1 caloria = 4.1858 J
Attualmente non è più necessario misurare il calore in calorie, nel S.I. esso infatti si misura in joule. Se
però si ha a che fare con un sistema costituito da una certa quantità di acqua, l'uso della caloria, come
unità di misura del calore, consente alcune semplificazioni. Per esempio la quantità di calore
(!) I metodi di misura del calore saranno discussi più avanti.
(*) Una definizione successiva più precisa fissò che la variazione di un grado doveva avvenire tra 14.5 e
15.5 °C: si osservò infatti che la quantità di calore necessaria per elevare un grammo di acqua di un
grado non era indipendente dalla temperatura di partenza (vedi l'andamento del calore specifico
dell'acqua in funzione della temperatura). 26
G.P. Maggi - Lezioni di Fisica Generale per Ingegneria Edile AA 2002/2003
necessaria per portare 100 g di acqua dalla temperatura di 20 °C alla temperatura di 40 °C espressa in
calorie è data da: 100.1.20
Q = mc = = 2000 Calorie
ΔΘ 27
G.P. Maggi - Lezioni di Fisica Generale per Ingegneria Edile AA 2002/2003
Serbatoio di calore o termostato.
Abbiamo introdotto i termostati dicendo che sono dispositivi la cui temperatura rimane costante in
qualsiasi situazione.
Dopo l'introduzione della capacità termica possiamo identificare meglio un termostato. Consideriamo
un corpo di massa molto grande, meglio se infinita, alla temperatura Se cediamo una quantità finita
Θ.
di calore a tale corpo, la variazione della sua temperatura sarà trascurabile. La stessa cosa succederà se
invece di essere ceduto, del calore viene assorbito dal corpo di massa molto grande. Un corpo siffatto
rappresenta quindi un termostato o serbatoio di calore.
Si definisce "serbatoio di calore" un corpo di massa talmente grande da poter assorbire o fornire
quantità di calore illimitate senza che la sua temperatura o le altre coordinate termodinamiche
varino apprezzabilmente.
Se un sistema compie una trasformazione quasi statica mentre si trova a contatto con un serbatoio di
calore, la trasformazione sarà isoterma.
Allora per descrivere un flusso di calore quasi statico che implichi una variazione di temperatura, si
deve pensare di porre il sistema a contatto con una serie di serbatoi di calore in successione. Un
meccanismo di questo tipo è sottinteso quando noi valutiamo la quantità di calore scambiata nella
trasformazione mediante la relazione:
Θ
2
∫
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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