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QUESTE SONO:
1.RELAZIONE DI PRESUPPOSIZIONE: l’emanazione di un provvedimento amministrativo
trova il suo antecedente logico, l’antecedente procedimentale, in un altro atto della pubblica
amministrazione.
Distinguiamo tra ATTI PREPARATORI E ATTI PRESUPPOSTI. La portata degli atti preparatori è
quella di acquisire una determinata conoscenza (verifiche, accertamenti) necessari all’ulteriore
espletamento della fase istruttoria. L’atto presupposto, invece, è simile al sub procedimento. La
funzione dell’atto presupposto è quello di definire un assetto.
ESEMPIO: il nullaosta di una diversa amministrazione è il presupposto perché il procedimento
abbia ulteriore corso (avendo l’atto presupposto un’efficacia costitutiva all’interno del
procedimento). Pensiamo, inoltre, al parere della Autorità amministrativa preposta alla tutela
paesaggistica per quanto riguarda le trasformazioni edilizie, parere che è vincolante ai sensi della
normativa introdotta nel 2008: infatti, il comune trasmette gli atti alla sovrintendenza, e questa
esprime un parere che vincola le scelte dell’amministrazione. Vincolando le scelte
dell’amministrazione in materia edilizia, deriva la conseguenza che il parere è un atto presupposto:
l’amministrazione comunale non può fare niente senza di esso perche si verifica quello che in
dottrina prende il nome di ARRESTO DEL PROCEDIMENTO, che condiziona pesantemente le
scelte dell’ente territoriale (in questo caso il comune) che non potrà procedere se non in conformità
al parere. Questa è la portata degli atti presupposti(che ovviamente sono distinti dagli atti
preparatori).
2. RELAZIONE DI CONSECUZIONE: è la relazione che corre tra l’atto PRECEDENTE e l’atto
ULTERIORE della pubblica amministrazione. Se la fase procedimentale si assesta in un certo modo
la conseguenza è che le fasi successive si debbano atteggiare coerentemente con la prima. Infatti
all’interno dell’azione della pubblica amministrazione vige il PRINCIPIO DELLA NON
CONTRADDIZIONE. quindi la relazione di consecuzione è quel rapporto che corre tra atti
presupposti e atti ulteriori della p.a. Da questi rapporti deriva la conseguenza che il vizio di un atto
presupposto contagia l’atto successivo. Questo rapporto prende il nome di ILLEGITTIMITA'
DERIVATA e trova il suo fondamento proprio nelle 2 relazioni di presupposizione e di
consecuzione,che non sono compartimenti stagni, ma SONO FASI DI UNA FATTISPECIE A
FORMAZIONE PROGRESSIVA. (quindi ILLEGITTIMITA' DERIVATA = il vizio dell’atto a
monte determina l' invalidità derivata dell’atto successivo).
Esempio: un parere emanato da un organo incompetente, ovvero da un organo collegiale, senza il
rispetto del numero legale (quorum strutturale), è un atto viziato, e tale invalidità non può non
estendersi anche al di la della sua sfera d’azione perché è parte di una serie complessa. Quindi tale
parere contagia gli atti ulteriori, che in quel parere trovano il loro presupposto, il loro antecedente
logico.
1 FASE: L’INIZIATIVA :
- L’INIZIATIVA DI PARTE. Normalmente si qualifica sulla base di un’istanza, che è un atto
diretto all’instaurazione di un rapporto con la pubblica amministrazione. Ovviamente colui che
promuove l’istanza deve essere un soggetto che abbia la legittimazione alla presentazione
dell’istanza. L’istanza presentata dal soggetto non legittimato determina il DINIEGO
DELL’ACCOGLIMENTO oppure, se l’amministrazione accoglie questa richiesta, il provvedimento
è viziato perché c’è un vizio genetico, che invalida gli atti successivamente venuti in essere, proprio
in virtù del principio di illegittimità derivata.
L’amministrazione moderna ai sensi dell’articolo 2 della legge 241/1990 ha l’obbligo di procedere
e di provvedere. L’obbligo di procedere (come dice testualmente l’Art. 2) significa che
l’amministrazione su impulso di parte deve concludere il procedimento. L’obbligo di procedere
significa attivarsi, perché l’amministrazione moderna è retta dai principi di efficienza, efficacia ed
economicità. È proprio da questi principi che deriva l’obbligo di procedere. Accanto ad esso vi è
anche l’obbligo di concludere il procedimento entro il termine fissato dalla legge. Normalmente il
termine che la legge assegna all’amministrazione per concludere il procedimento è di 30 giorni. Ma
i ritardi dell’amministrazione sono un problema del Paese: i procedimenti amministrativi italiani
hanno durata pluriennale.
Ad esempio: se un determinato soggetto per ottenere un titolo che consenta l’esercizio di un’attività
deve attendere 3 anni, è chiaro che ,da una parte l’efficienza della p.a. è da mettere in discussione,
dall’atra parte ,sul piano della libertà della concorrenza e della competizione dei mercati, si creano
delle preclusioni assolutamente non coerenti con il contesto nel quale si va ad operare.
Allora si è fatta una determinata scelta che modifica il procedimento amministrativo:si tende a
parlare di DIA, di SCIA, di l’attività libera… questo perché si è intervenuti più volte dopo la
241/90, dapprima con la legge 80/2005, poi nel 2008 con le leggi di liberalizzazione, poi la
normativa del 2009 e del 2010, fino ad arrivare al 2011 con la Segnalazione Certificata Inizio
Attività (SCIA).
Mentre prima vi era la DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITà (DIA) (che vediamo come esempio di
atto d’impulso) che prevedeva che dovevano passare 30 giorni ,decorsi i quali se l’amministrazione
non si esprimeva l’attività poteva considerarsi legittima.
Quindi abbiamo l’istanza che è la fase iniziale del procedimento e che definisce in un certo senso
l’assetto degli interessi indirizzando l’azione ulteriore della p.a. ; il provvedimento è invece il
momento finale del procedimento. Tuttavia oggi c’è una spinta verso la deprovvedimentalizzazione:
quindi gli effetti, ad esempio, di quelli che sono gli atti della p.a. che ampliano la sfera soggettiva
del destinatario, del soggetto che presenta l’istanza, vengono sostituiti da dichiarazioni del privato e
dal decorso del termine ( nella DIA sono 30 giorni o 60 giorni; nella SCIA c’è invece l’inizio
immediato). Questi ovviamente non sono provvedimenti amministrativi ma sono atti del privato che
determinano quella portata ampliativa della sfera dei destinatari che normalmente si consegue con il
provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo.
- L’INIZIATIVA D’UFFICIO. E’ per quei procedimenti che iniziano d’ufficio (e non su istanza di
parte). In questo tipo di procedimento l’impulso viene dato dalla stessa p.a. In questa fase troviamo
proposte e anche richieste.
Mentre l’istanza è normalmente atto del privato, la richiesta invece è un atto di impulso, una
pubblica amministrazione chiede ad un’ altra p.a. di agire in un determinato settore.
Invece la proposta è un atto dell’amministrazione che interviene nel procedimento proponendo una
soluzione (dopo l’iniziativa e l’istruttoria). La proposta può essere vincolante, come il parere
vincolante, e condiziona in modo decisivo l’ulteriore corso del procedimento. Può trattarsi, inoltre
di altro genere di proposta, non vincolante, che si rivolge all’amministrazione attiva (quella che
gestisce pubblici interessi), che può tenere o meno conto del contenuto della proposta, ma avrà
l’obbligo di motivare l’eventuale dissenso.
Accanto all’art. 2, la legge 241/1990 consta di un altro articolo molto importante: l’art.3, che
sancisce l’obbligo di concludere il procedimento con un atto esplicito e motivato.
Perché è necessario un atto esplicito e motivato? L’obbligo di procedere e l’obbligo di concludere il
procedimento con atto esplicito e motivato deriva dal fatto che il provvedimento amministrativo,per
il legame che esiste tra procedimento e gestione degli interessi, non può concludersi con il silenzio,
ma avendo in sé un elemento di garanzia (alcuni parlano di finalità o di elemento teleologico sotteso
al procedimento amministrativo) , deve essere esplicito perché deve essere un provvedimento
testuale (non è tale il mero silenzio e nemmeno il silenzio-assenso che è quello più vicino al
provvedimento).
Esplicito inoltre perché è la conclusione dell’iter procedimentale. Il procedimento mira a una
selezione degli interessi, mira all’ individuazione non dell’identità dell’interesse pubblico (in virtù
del principio di legalità e della riserva di legge in materia di organizzazione) ma dell’entità
dell’interesse pubblico; la quale entità dell’interesse pubblico da gestire nella particolare situazione,
è data dall’esercizio del potere discrezionale connesso al procedimento amministrativo.
Attraverso l’esplicitazione e la motivazione dell’interesse pubblico c’è una garanzia di visibilità,
di trasparenza ( cioè si rende visibile il perché di una determinata scelta ) che non è fine a se stessa
perché, alla garanzia di trasparenza si accompagna il controllo da parte del giudice amministrativo
o di altro giudice che possono sindacare la legittimità, la razionalità della scelta della p.a. Poi vi è
( accanto alla trasparenza e al controllo) un terzo criterio che è quello dell’imparzialità: l’agire per
provvedimenti espliciti e motivati garantisce all’amministrazione e alla comunità di avere,
attraverso la motivazione e l’esplicitazione di un atto amministrativo, la verifica di imparzialità, di
adeguatezza della scelta che l’amministrazione dovrà fare; e tra l’altro, se l’amministrazione deve
motivare le ragioni della scelta, questo diventa un limite all’uso dispotico del potere amministrativo.
Tra i principi informatori vi è l’obbligo di procedere e di concludere il procedimento nei termini
fissati dalla legge. Ma che succede se l’amministrazione ritarda nella conclusione del
procedimento?
Le conseguenze possono essere molte.
1.In virtù della legge 64 del 2009 si legittima il privato all’azione di risarcimento danni per ritardo
della p.a. Se vi è l’obbligo di concludere, e l’amministrazione non rispetta quell’obbligo, questo
configurerà sul piano giuridico un inadempimento; e quindi si garantisce, a fronte di un
inadempimento della p.a. ,una adeguata tutela per il privato.
Questo prima non er