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Sintesi

In questa tesina vengono abbracciate materie come:
1. Italiano
2. Storia
3. Pedagogia
4. Metodologia
5. Filosofia
6. Latino
7. Matematica
8. Inglese

Estratto del documento

come sogno o speranza,o solo passata come ricordo delle antiche

illusioni. Per il poeta, le illusioni sono proprie solo della

giovinezza ossia l’unico momento della vita in cui si guarda la

realtà in modo più semplice:

“La felicità non può che consistere nell’attesa e nel sogno, o nella

loro ricordanza”.

Silvia rappresenta la giovinezza e le illusioni che sono infrante

con la sua morte precoce e a questo proposito lei diviene il simbolo

della speranza e del suo cadere. Nel finale c’è l’amara

constatazione che la realtà diverge dagli ideali della giovinezza.

L’unica realtà è la non-felicità, il dolore, il male, o la spaventosa

sensazione fisica vale a dire la Noia. Per Leopardi “la Noia è

il peggiore dei mali” in quanto piena consapevolezza dell’uomo (il

più sofferente degli esseri) della sua infelicità.

La vita umana per il Leopardi oscilla tra il piacere ed il dolore, o c’è

l’uno o c’è l’altro. Il piacere è raro e quando c’è non è mai intenso

quanto il desiderio. Il dolore invece è sempre presente, è addirittura

abbondante. Tutto questo non vuol dire che se l’uno non c’è,allora c’è

l’altro. Esiste una condizione penosa, intermedia, rappresentata dalla

Noia, la quale caratterizza la maggior parte dell’esistenza umana

provocando un fortissimo malessere ed inquietudine. La Noia corre

sempre a riempire tutti i vuoti, in altre parole tutti quei momenti in cui

c’è una situazione di assenza di passioni che il dolore ed il piacere

lasciano nell’animo umano. La Noia è come l’aria che corre a

riempire lo spazio lasciato libero da un oggetto e non riempito da un

altro (similitudine).Per questo nell’animo umano non può esistere il

vuoto perché non appena l’uomo abbandona un dolore o una passione,

la Noia si intrufola e si stabilisce nel suo animo. É importante

sottolineare che la Noia è una passione in quanto tutto ciò che l’uomo

prova nel suo animo è tale.

“La Noia è la conseguenza diretta al fatto che l’uomo non può stare

senza felicità”.

La Noia non è qualcosa di ben definito e preciso ma semplicemente

una passione, uno stato d’animo penoso, né piacevole, né doloroso.

Nell’esistenza in generale predominano il dolore e la sofferenza che

spinge a credere impossibile che il fine dell’uomo sia la ricerca della

felicità. È evidente, per queste ragioni, una contraddizione spaventosa

ma vera: la Natura ha creato l’uomo con un impulso irrefrenabile alla

felicità, ma allo stesso tempo ha creato l’esistenza affinché non dia

possibilità agli uomini di essere felici. Una sorta di contraddizione

avviene anche in Leopardi, il quale, in un primo momento, considera la

natura come colei che dà felicità e vita, mentre la ragione come

qualcosa che dà infelicità. Ragionando, però, giunge ad una nuova

considerazione del rapporto uomo-natura e capovolge la valutazione

della ragione, non più facoltà limitatrice e negativa ma unico valore e

unica forza a cui l’uomo può appoggiarsi per essere veramente se

stesso, fuori dalla paura e dal compromesso. A questo punto la natura

diventa nemica e matrigna di tutti: tale concezione emerge anche dalla

lettura de “ Il dialogo della natura e di un islandese”, una delle

operette morali composta dal Leopardi e caratterizzata da vere e

proprie favole con personaggi inventati o, se sono reali, trasformati in

personaggi di fantasia, delle favole o dei dialoghi attraverso cui il poeta

espone le proprie riflessioni sul bene, sul male, sulla felicità e

sull’infelicità. In quest’operetta, composta alla fine di Maggio del

1824, Leopardi spiega che l’uomo non riesce ad essere felice e allo

stesso tempo non può sperare di evitare il dolore perché, essendo fatto di

materia, segue le leggi di natura: “ Creazione e Distruzione”. L’uomo

deve soffrire. In questo si spiega anche il pessimismo cosmico e

materialista secondo cui in tutto l’universo in cui esiste la materia, c’è

contemporaneamente la sofferenza. Non si può fuggire dai dolori

rinunciando al piacere:

“ Non è quindi possibile, in nessun modo, vivere quieti poiché la

Natura è nemica di tutto e per abitudine o scelta consapevole è

carnefice della propria famiglia”.

Per Leopardi la felicità non esiste, ogni parvenza di essa è un

inganno, un’utopia. Questo messaggio è svelato soprattutto nella sua

celebre opera “ La quiete dopo la tempesta”, nella quale il poeta,

rinato e come snebbiato dalla pioggia, descrive il senso di gioia che è

nel villaggio dopo la tempesta, quella serenità che subentra nell’animo

di tutti, quella maggiore nettezza di colori e di forme. Leopardi ricorda

l’entusiasmo e la voglia di vivere della povera gente di Recanati (il

paese dove il poeta ha trascorso la sua adolescenza e verso il quale ha

provato sentimenti di amore e di odio), che esce dalle strade dopo la

tempesta. Il poeta afferma che l’umanità (“umana prole”) deve

ritenersi assai felice se le è concesso di “respirare” dopo essere scampati

ad una disgrazia. Ogni essere umano è creato per cercare il piacere e

fuggire il dolore, dopo il rischio scampato tutti gli esseri viventi

esprimono, ognuno a proprio modo, la loro gioia e serenità interiore.

La vita è come un violento temporale che si abbatte sul paesino; in

questi momenti tragici va rilevata soprattutto la voglia di vivere del

popolo che, passata la tempesta, si accende nei cuori di tutti più

ardente che mai. Leopardi esprime poi il fondamentale concetto secondo

il quale l’uomo è condannato al dolore e che la felicità, o meglio il

“piacere”, è soltanto il sentimento che si prova, quando, per una

qualsiasi causa, il dolore spontaneamente cessa; questa condizione di

felicità gli appare fragile e provvisoria, confinata nel breve momento che

segue ala tempesta e ridotta per di più al solo e mediocre ritorno alle

abitudini. La quiete dopo la tempesta simboleggia la tranquillità, il

piacere dopo un dolore temporaneo. Non a caso Leopardi pensa che

per provare gioia o piacere bisogna necessariamente prima soffrire. Il

piacere è quindi frutto del dolore passato che riscuote anche chi prima

odiava la vita e voleva morire. Esso è dunque il provvisorio smettere di

soffrire. Quel piacere è solo figlio dell’affanno, del dolore, dell’angoscia;

esso nasce dalla fine di un timore, dalla cessazione della tempesta. “

Piacer figlio d’affanno” è il motto che si legge a metà della

composizione e che costituisce il suo motivo ispiratore. Quel poco di

piacere di cui gli uomini si servono non è altro che un piacere effimero.

Per Leopardi la morte rappresenta il momento in cui l’uomo smette di

soffrire e pone fine ad ogni male. Essa è dunque il bene più grande.

Nel settembre 1829, a distanza di pochi giorni dalla composizione de

“ La quiete dopo la tempesta”, il poeta scrive “ Il sabato del

villaggio”, in uno dei suoi momenti di più felice ispirazione. Anche in

questi versi, l’autore, coglie un momento della vita del borgo: le ultime

ore del sabato, l’animazione del villaggio alla vigilia della festa, la

distensione tranquilla degli animi. Come il precedente, anche

quest’idillio è seguito da un commento morale, da una riflessione di

natura filosofica. Il sabato è migliore della domenica, il piacere

consiste nel futuro. A dare quel tanto di felicità godibile agli uomini è

la loro speranza, vale a dire l’attesa del futuro che è sentita non

soltanto dai giovani ma da tutti gli uomini, indipendentemente dalla

loro età. Questa speranza così costruttiva della vita degli uomini è

inutile, in quanto il bambino deve godere della sua età e non desiderare

che presto arrivi la maturità, la quale attesa come momento essenziale

si risolve, come la domenica, in un’esperienza di noia e vuoto.

“Il piacere consiste o nella fine del dolore o nell’attesa di un bene mai

nel presente effettivo: è nell’attesa la gioia più vera ed intensa”.

Il carattere puramente negativo del piacere è mostrato dalla realtà che

perennemente delude riducendolo ad una “pausa tra due dolori” o ad

una “attesa che fatalmente andrà delusa…”.

Luigi Pirandello e la poetica dell’umorismo

La vita:

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867, in una famiglia di

tradizioni risorgimentali. Dopo aver compiuto i primi studi ad

Agrigento e a Palermo, nel 1891 si laurea in lettere a Bonn. Rientra

a Roma, dove, a partire dal 1897 e fino al 1922 si dedica

all’insegnamento di lingua e letteratura italiana alla facoltà del

Magistero. Nel 1894 si sposa con Antonietta Portulano, dalla quale

ha tre figli. La difficile situazione economica aggrava la salute mentale

della donna, che viene internata in un istituto psichiatrico. Nel 1934,

lo scrittore riceve il premio Nobel per la letteratura; muore di

polmonite a Roma nel 1936.

La poetica dell’umorismo:

Per Pirandello il compito dell’arte è scoprire i paradossi della vita, il

conflitto tra l’essere e il parere. Ciò avviene attraverso l’umorismo

dell’uomo cosciente che coglie la vanità di ogni illusione umana.

Pirandello espose le sue idee nel “Saggio sull’Umorismo” del 1908.

Per lui l’umorismo è il “sentimento del contrario”, cioè la compresenza

del poeta e del critico nello stesso uomo, il quale, mentre si abbandona

al sentimento, è spinto a vedere, allo stesso tempo, le strutture

disarmoniche e contrastanti di esso. Ad esso si aggiunge la pietà, che

interviene quando si riflette su questo comportamento in maniera critica.

Si legga questo passo:

“Vedo una vecchia signora,coi capelli ritinti,tutti unti non si sa di

quale orribile manteca, e poi tutta imbellettata e parata di abiti

giovanili .Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il

contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Il

comico è appunto avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in

me la riflessione e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova

forse nessun piacere a pararsi cosi come un pappagallo, ma che forse

ne soffre e lo fa perché pietosamente si inganna che, parata cosi,

nascondendo rughe e canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito

molto più giovane di lei, ecco che io non posso riderne come prima,

perché appunto la riflessione, lavorando in me mi ha fatto andare oltre

a quel primo avvertimento o piuttosto più addentro: da quel primo

avvertimento del contrario che mi ha fatto passare a questo sentimento

del contrario. Ed è qui la differenza tra il comico e l’umoristico”.

L’arte dunque, attraverso il sentimento del contrario, coglie gli inganni,

le simulazioni che gli uomini usano in quella lotta per la vita che

anima tutta la trama dei rapporti sociali e smaschera anche le vanità

con le quali l’uomo, nell’intimo della sua coscienza, mente a se stesso

quando vuole parere diverso da quello che è. Ciò avviene attraverso la

riflessione, di cui Pirandello afferma il primato:

La riflessione e non l’invenzione, il vero non la fantasia svelano la

realtà che si cela sotto gli inganni delle romantiche illusioni. La vita è

un inseparabile miscuglio di tragico e comico; l’arte deve aderire ad

essa, descrivere l’uomo qual è, con le sue contraddizioni, ridere e insieme

piangere di questo gioco beffardo di cui è protagonista. L’umorismo di

Pirandello non è, infatti, mai allegro, ma quasi sempre amaro,

paradossale, e spesso grottesco, nascendo dal contrasto tra le

costruzioni dell’uomo (miti e riti, filosofia e teologia, ruoli dignitosi e

maschere sociali)e la loro inconsistenza reale. Se la vita è una finzione

molto simile a quella che viene rappresentata sulla scena, lo sbocco

naturale di questa poetica non poteva essere che il teatro.

Latino

Lucio Anneo Seneca

La vita:

Lucio Anneo Seneca nasce a Cordova intorno al quarto secolo a. C.

Avviatosi verso un ideale ascetico di vita, distolto dal padre, abbracciò

il foro e la politica, prima sotto Caligola, poi sotto Claudio (che lo

condannò all’esilio per il sospetto di adulterio) e sotto Nerone.

Ricchissimo, fu oggetto di aspre critiche e venne anche citato in

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