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1- INTRODUZIONE

AIDS Sindrome da immunodeficienza acquisita

o Sindrome che

Acquired

rappresenta lo stadio finale dell’infezione da virus HIV. Il nome è acronimo di

ImmunoDeficiency Syndrome , sindrome da immunodeficienza acquisita. Elemento

caratteristico dell’AIDS è il progressivo indebolimento del sistema immunitario: il virus colpisce

+

alcuni tipi di linfociti (i linfociti T-CD4 ), per cui l’individuo diventa particolarmente suscettibile a

infezioni altrimenti curabili. Il quadro clinico è aggravato dall’insorgenza di alcune forme di

cancro (frequente è il sarcoma di Kaposi) ed encefaliti.

I dati epidemiologici relativi all’AIDS indicano un quadro allarmante di costante espansione

dell’infezione, che attualmente è la prima causa di morte in Africa e una tra le principali a

livello mondiale.

2- SIEROPOSITIVITA’ E AIDS CONCLAMATA

Un individuo che sia stato infettato dal virus HIV non è definito “malato di AIDS” ma

“sieropositivo”. Questo termine indica che il paziente ha sviluppato anticorpi anti-HIV come

conseguenza del contatto con il virus, ma non implica che vi siano altri sintomi dell’AIDS. Il

soggetto può rimanere asintomatico e non sviluppare la sindrome; oppure, dopo un periodo più

o meno lungo, può manifestare i primi sintomi dell’AIDS (si parla allora di “AIDS conclamata”).

Quando questa compare, provoca un rapido deperimento fisico; l’esito dell’AIDS conclamata è

infausto. Anche se asintomatico, il soggetto sieropositivo può trasmettere il virus ad altri

individui.

3-VIE DI TRASMISSIONE

Il virus HIV può diffondersi per via sessuale, ematica e materna.

3.1-TRASMISSIONE PER VIA SESSUALE

Si tratta della via di trasmissione più diffusa. Il virus presente nello sperma (o nelle secrezioni

vaginali) dell’individuo sieropositivo si immette nella circolazione sanguigna del partner non

infetto, quando entra in contatto con le mucose (genitali o orali); il passaggio è favorito dalla

presenza di piccole abrasioni cutanee. Il contagio è possibile sia nei rapporti omosessuali sia in

quelli eterosessuali. L’AIDS è perciò compresa nel gruppo delle malattie a trasmissione

sessuale (MST).

L’uso di contraccettivi non protegge dall’infezione; solo l’uso del profilattico costituisce una

valida barriera.

3.2-TRASMISSIONE PER VIA EMATICA

Il contatto con il sangue di un sieropositivo può verificarsi mediante lo scambio di siringhe,

pratica comune tra i tossicodipendenti che fanno uso di droghe iniettabili come l’eroina. Piccole

quantità di sangue depositatesi sull’ago, o aspirate al momento dell’estrazione della siringa,

possono essere sufficienti a infettare un altro individuo.

Anche le trasfusioni possono costituire una via di contagio, se il sangue infetto o suoi derivati

vengono introdotti erroneamente in un paziente sano. Un individuo che non sia a conoscenza

della propria sieropositività, infatti, potrebbe donare il proprio sangue, diffondendo il virus in

modo inconsapevole. Casi di questo tipo si verificarono effettivamente nei primi anni dopo la

scoperta dell’HIV; come conseguenza, dal 1985 furono imposti nuovi protocolli per la selezione

dei donatori, l’esecuzione dei test di routine nelle emoteche e la conservazione degli

emoderivati, per cui questa via di trasmissione è oggi praticamente scomparsa.

3.3-TRASMISSIONE PER VIA MATERNA

Una donna sieropositiva può trasmettere il virus HIV al proprio figlio nel corso della gravidanza ,

al momento del parto o durante l’allattamento, con una frequenza del 20% circa. I test eseguiti

sui neonati possono però risultare “falsi positivi”, cioè indicare una condizione di sieropositività

anche in bambini sani: questo fenomeno è dovuto al fatto che gli anticorpi della madre durante

la gravidanza vengono trasmessi al nascituro, e permangono nel sangue di questo anche fino ai

18 mesi di vita. Un monitoraggio costante fino ai due anni di vita consente di individuare i

neonati effettivamente portatori del virus.

3.4-CASI IN CUI NON SI HA TRASMISSIONE DELL’HIV

Non vi è prova che l’HIV possa essere trasmesso attraverso l’aria, le punture di insetti, il

sudore, la saliva, o tramite semplice contatto con persone infette: dunque, il virus non si

diffonde con una stretta di mano, con l’uso degli attrezzi da lavoro o degli abiti di un

sieropositivo. Ciò è dovuto al fatto che l’HIV non sopravvive a lungo se esposto all’ambiente.

Invece, la condivisione di oggetti come rasoi, spazzolini da denti e bende non è immune dal

rischio di contagio.

4-INFEZIONE E CICLO VITALE DELL’HIV

Il virus HIV attacca specificamente alcuni tipi di cellule umane: i macrofagi; un sottogruppo di

linfociti T-helper caratterizzati dalla presenza, sulla superficie esterna della membrana

plasmatica, di recettori proteici indicati con le sigle CD4 e CCR5. Questi linfociti vengono perciò

+

chiamati linfociti T-CD4 .

Dal rivestimento esterno del virus sporgono due tipi di glicoproteine, le gp120 e le gp41. La

gp120 viene riconosciuta e legata dai recettori CD4; questo fenomeno induce una

modificazione della struttura della gp120, che si lega anche al recettore CCR5. La formazione di

tale complesso a sua volta determina uno scatto della glicoproteina gp41 verso la membrana

plasmatica della cellula ospite e, dunque, l’avvio dell’infezione da parte del virus. L’HIV inietta il

suo patrimonio genetico, ovvero i due filamenti di acido ribonucleico (RNA), e i suoi enzimi

(trascrittasi inversa, proteasi e integrasi), nel citoplasma della cellula ospite.

La trascrittasi inversa dà inizio alla sintesi di un filamento di acido desossiribonucleico (DNA)

complementare a ciascun filamento di RNA; si forma dunque un doppio filamento ibrido di DNA

e RNA. Infine, l’enzima degrada la porzione di RNA e completa la sintesi di una molecola di DNA

a doppio filamento.

L’enzima integrasi determina l’integrazione del DNA virale entro il DNA della cellula ospite

(formazione del cosiddetto provirus); questo patrimonio genetico ibrido, sfruttando gli organuli

della cellula ospite, dirige la sintesi di nuove proteine e componenti virali. Le proteine virali

neosintetizzate si trovano in una forma inattiva; per azione dell’enzima proteasi, vengono

tagliate in modo da convertirsi nella forma attiva. Quando i virus neoformati fuoriescono dalla

cellula ospite, rimangono avviluppati da una porzione della membrana plasmatica, che

costituisce il rivestimento esterno al capside proteico, tipico di questi retrovirus. La cellula

ospite, ormai degradata, muore.

5-DECORSO DELLA MALATTIA

La progressione dell’AIDS non è graduale, ma avviene secondo fasi di durata differente. Il

decorso può essere monitorato mediante il rilievo della viremia e attraverso la conta dei

+

linfociti T-CD4 , valori entrambi ricavabili da analisi del sangue.

5.1-VIREMIA E CONTA DEI LINFOCITI

La viremia è un parametro che indica il numero di copie di RNA presenti in un millilitro (ml) di

sangue; poiché ciascun HIV possiede due molecole di questo acido nucleico, il numero di virus

presenti corrisponde alla metà del valore di viremia. La conta dei linfociti rileva il numero di

+

linfociti T-CD4 in un microlitro (µl) di sangue e permette di stimare quanto le difese

immunitarie del paziente siano effettivamente compromesse.

5.2-FASE DELLA SINDROME RETROVIRALE ACUTA

Entro 1-3 settimane dall’infezione, compaiono sintomi aspecifici, che perdurano per circa 2-3

mesi e sono simili a quelli di un’influenza o di una mononucleosi (febbre, cefalea, eruzioni

cutanee, sudorazione notturna, dolore ai linfonodi posti ai lati del collo e malessere) e pertanto

difficilmente ascrivibili a HIV. In questa fase, denominata “sindrome retrovirale acuta”, l’HIV si

riproduce in grande quantità, circola nel sangue e si infiltra negli organi del sistema linfatico, in

particolare linfonodi, tonsille, milza, e nel tessuto linfoide localizzato a livello dell’apparato

digerente. In queste regioni, infatti, è presente la quasi totalità dei linfociti bersaglio del virus,

che solo in piccola parte circolano liberamente nel sangue.

Nella fase acuta la viremia aumenta drasticamente, passando da 0 a circa 1 milione di copie di

+

RNA/ml di sangue; si assiste invece a una notevole diminuzione del numero di linfociti T-CD4 ,

che da 1000-1100/µl di sangue scendono a 450-500.

5.3-FASE ASINTOMATICA

Dopo circa 4-6 mesi dall’infezione, la risposta immunitaria dell’organismo contro l’agente

(set point)

patogeno determina il raggiungimento di un equilibrio tra i virus di nuova

formazione e quelli che vengono distrutti. I sintomi scompaiono e l’individuo infetto, detto

sieropositivo, entra in una “fase asintomatica”, che in media si protrae per 6-7 anni.

+

Nella fase asintomatica la diminuzione dei linfociti T-CD4 sembra inizialmente arrestarsi; per 1-

2 anni il numero può risalire fino a 600-650 linfociti/µl di sangue. Negli anni successivi, si

verifica nuovamente un lento decremento che determina, dopo circa 6-7 anni dall’infezione,

+

una discesa fino al valore di 300 linfociti T-CD4 /µl di sangue. La viremia, dopo il picco

raggiunto nella fase acuta, scende fino a 3500 copie di RNA/ml di sangue; dopo circa 1-2 anni

dall’infezione, ricomincia a salire gradualmente e, dopo 6-7 anni dall’infezione, assume il valore

di circa 4500. La fase asintomatica rappresenta lo stadio della malattia più pericoloso da un

punto di vista epidemiologico, perché per un tempo piuttosto lungo permette il mantenimento

di condizioni di salute generalmente buone e, quindi, non induce nel sieropositivo la

consapevolezza della sua condizione e l’attuazione di comportamenti volti a evitare il contagio

di altri individui (ad esempio, l’uso del preservativo durante il rapporto sessuale).

Per questo motivo, è consigliabile che tutti gli individui che hanno comportamenti “a rischio”,

ad esempio frequenti rapporti con partner diversi, o che abbiano comunque il sospetto di avere

avuto uno scambio di sangue con un sieropositivo, si sottopongano a test diagnostici, come il

test ELISA (vedi oltre), per accertare se vi è stata trasmissione del virus.

5.4-FASE SINTOMATICA: AIDS CONCLAMATA E

MALATTIE OPPORTUNISTE

Non tutti i sieropositivi entrano nella fase sintomatica. La sindrome vera e propria, o AIDS

+

conclamata, viene diagnosticata quando la conta dei linfociti T-CD4 risulta inferiore a 200/µl di

sangue o, anche in presenza di valori più alti, quando compare una delle malattie opportuniste

dell’AIDS. La grave debilitazione delle difese immunitarie (condizione detta

immunodepressione) rende infatti il paziente facilmente soggetto ad ammalarsi; vi è perdita di

+

peso, deperimento fisico, estrema debolezza. Quando il numero dei linfociti T-CD4 diviene

inferiore a 50, i malati entrano nella fase di AIDS avanzata, che può durare da pochi mesi fino a

2-3 anni.

Il decesso per AIDS non è dovuto direttamente all’infezione da HIV ma alle malattie

opportuniste. Le patologie attualmente considerate come correlate all’AIDS sono circa 25.

Pneumocystis carinii,

L’infezione più comune è la polmonite da causata da un protozoo che

normalmente colonizza in modo innocuo le vie respiratorie. Anche la polmonite batterica da

Streptococcus pneumoniae Haemophilus influenzae

e da e la tubercolosi sono spesso associate

Mycobacterium avium

all’AIDS. Nell’ultimo stadio, infezioni diffuse da possono causare febbre,

perdita di peso, anemia e diarrea. Altre infezioni batteriche dell’apparato digerente (dovute a

Salmonella, Campylobacter, Shigella o altri batteri) provocano spesso diarrea, perdita di peso,

anoressia e febbre.

Nei pazienti con AIDS si osservano frequentemente micosi o infezioni da funghi. Il mughetto o

Candida albicans)

candidosi orale (infezione della bocca da si presenta precocemente nella

“fase sintomatica” in un alto numero di pazienti. Altre micosi sono le infezioni dovute a varie

Cryptococcus,

specie di importante causa di meningite che colpisce il 13% dei pazienti affetti

Histoplasma capsulatum,

da AIDS. Inoltre, può presentarsi l’istoplasmosi, dovuta al fungo che

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