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Il primo dei nostri antenati fu l’australopiteco. Questo nome descrive in realtà più specie e significa letteralmente "scimmia del sud" ed è dovuto al fatto che visse nell’Africa australe. Era alto circa un metro, fabbricò solo molto più tardi utensili in pietra piuttosto rozzi e il volume del suo cervello era pari a quello degli scimpanzé attuali: tra 450 e 600 centimetri cubici. Il cranio era piccolo, schiacciato e la faccia sporgeva fortemente in avanti. Si diffuse a partire da quattro milioni di anni fa e poteva camminare eretto.
Proprio il passaggio dall’andatura su quattro zampe a quella sulle sole zampe posteriori segnò il distacco tra l’australopiteco e il progenitore in comune con le scimmie antropomorfe, rappresentando anche un buon esempio dal lavoro compiuto dalla selezione naturale. Quando nella Rift Valley africana, a seguito di mutamenti climatici, larghi tratti di foresta lasciarono il posto alla bassa vegetazione e ai pochi alberi della savana, chi camminava in piedi si scoprì favorito. Poteva, infatti, guardare al di là delle erbe per avvistare i predatori e con le mani libere poteva procacciarsi il cibo: si trovava dunque in vantaggio nella competizione per la vita.
Col tempo s’impose poi un’altro elemento innovativo, strettamente legato al primo. Dalla necessità di utilizzare le mani, di cui non faceva uso nella deambulazione, venne sfruttato il pollice opponibile, ovvero un dito in grado di ruotare su se stesso, di poter toccare tutte le altre dita e di poter stringere con forza attorno agli oggetti. Questa innovazione permetteva alla mano di farsi strumento, ad esempio, per poter fabbricare utensili o trasportare oggetti.