Imma Ferzola
Autore
scrittura temi maturità

Da anni si sente ripetere che i ragazzi non sanno più scrivere, e a rinforzare la convinzione ci si mettono la comunicazione sbrigativa sui social e nelle chat, il graduale abbandono del corsivo e di carta e penna, gli inglesismi sempre più presenti nel linguaggio quotidiano.

Ma quando si passa dai pregiudizi ai numeri, lo scenario cambia completamente. Una nuova analisi sui temi di Maturità, che copre quasi mezzo secolo di storia degli esami, ribalta la narrativa dominante: “Davanti al tema di Maturità, la scrittura studentesca non si è impoverita. I ragazzi sono consapevoli del contesto in cui scrivono: non una chat ma un compito istituzionale. Certo, negli anni Sessanta e Settanta la scrittura era più ingessata, poi si è sciolta, è diventata più libera”, ha commentato Matteo Viale, docente del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna che ha guidato lo studio.

Indice

  1. Su cosa si basa la ricerca
  2. La produzione di un archivio meticoloso
  3. Quali cambiamenti sono stati osservati
  4. Le differenze lessicali
  5. I risultati da mezzo secolo di temi
  6. La scuola e la sfida della massificazione

Su cosa si basa la ricerca

A smentire gli allarmismi è uno studio guidato da Zanichelli e realizzato dallo stesso dipartimento di Filologia classica e italianistica dell’Università di Bologna. L’obiettivo, come spiegato dall’amministratore delegato della casa editrice, è ambizioso: “Come custodi della lingua italiana ci interessava conoscere in base a evidenze scientifiche cosa accade davvero in classe”.

Per arrivare a una risposta statisticamente solida sono stati analizzati più di 3.300 elaborati di Maturità, dal 1967 al 2012, raccolti grazie agli archivi di una ventina di scuole, distribuite su tutto il territorio nazionale.

La produzione di un archivio meticoloso

Il percorso è stato meticoloso: dopo la raccolta, gli elaborati sono stati digitalizzati all’ADLab dell’Università di Bologna, poi trascritti secondo criteri condivisi. Il risultato è un corpus enorme, composto da oltre 2.300.000 parole, che permette di osservare in modo rigoroso come siano evolute le scelte linguistiche e la struttura dei testi attraverso le generazioni.

Quali cambiamenti sono stati osservati

Secondo il docente che ha coordinato il progetto, il quadro è ben diverso da quel che ci si aspetta: “La scrittura diventa più comunicativa e meno scolastica. Ma non c’è quel crollo verticale delle competenze ventilato”.

In particolare, tra le trasformazioni osservate, si notano: 

  • frasi più brevi,
  • compiti meno estesi,
  • sintassi che privilegia la paratassi rispetto all’ipotassi.

Rispetto al passato, però, si è persa almeno una colonna di fogli protocollo. La lunghezza media dei periodi è passata da 30 parole a 22. Un dato, questo, che per il docente indica “una maggiore semplicità che però non è detto sia un male e misura un cambiamento stilistico, neppure così forte”.

Le differenze lessicali

Anche gli strumenti utilizzati per misurare la varietà lessicale, come il type/token e il Read-it, mostrano variazioni piccole, quasi irrilevanti. Le parole del vocabolario di base e quelle più ricercate mantengono proporzioni simili nel tempo, segno che il patrimonio linguistico degli studenti non si è assottigliato.

I risultati da mezzo secolo di temi

Grazie a questa ricerca è inoltre possibile, per la prima volta, confrontare in modo sistematico competenze e scelte linguistiche di epoche diverse. Il grande archivio consente di verificare se la convinzione secondo cui “si scriveva meglio una volta” trovi riscontro nei fatti o sia semplicemente un riflesso nostalgico. I primi risultati saranno presentati il 3 dicembre davanti a un pubblico di docenti.

La scuola e la sfida della massificazione

Dalle prime analisi, emerge un quadro più rassicurante del previsto. In un passaggio significativo, l’amministratore delegato di Zanichelli osserva: “Questi primi risultati sono una bella notizia. Se nel 1967 solo il 26,8% dei diciottenni sosteneva l’esame, nel 2012 era il 77%. Significa che la scuola ha retto l’urto della scolarizzazione di massa. Si può migliorare, insegnare a dar forma a un testo, ma la scuola ha fatto bene il suo mestiere”.

Un viaggio nella scrittura italiana degli ultimi cinquant’anni che, invece di certificare un declino, restituisce un panorama sfaccettato e lontano dai luoghi comuni.

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