
Non è più tempo di chiedersi se l’innovazione farà parte della nostra vita quotidiana: la vera questione è come. E gli italiani, da quanto emerge dalla nuova ricerca dell’Osservatorio Ri-Generazione – Progetto Sprint, sembrano avere le idee piuttosto chiare.
La tecnologia viene promossa quando dimostra utilità concreta, specialmente in due settori sensibili come la salute e l’ambiente, ma suscita diffidenze quando entra nei meccanismi della pubblica amministrazione o della burocrazia digitale. Nel mezzo, una fiducia “condizionata”, che non cede alle narrazioni allarmistiche ma chiede regole, trasparenza e responsabilità condivisa.
È questo il filo rosso emerso dal convegno “Sprint Room – L’innovazione amica delle persone”, ospitato alla Camera dei Deputati durante la Rome Future Week, dove istituzioni, big tech e società civile si sono confrontati su un nuovo paradigma di sviluppo tecnologico.
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I numeri che ribaltano la narrazione
La ricerca presentata da Business Intelligence Group ridisegna il rapporto tra italiani e innovazione. Il 63% degli intervistati ritiene che la tecnologia possa rendere la società più equa e inclusiva, con un entusiasmo ancora maggiore tra i giovani e i residenti al Sud.
Il 74% si dichiara favorevole all’uso dell’intelligenza artificiale in ambiti ad alto impatto, come la diagnosi medica (30%) e la tutela ambientale (26%).
Nonostante le paure diffuse sul lavoro che scompare, solo il 26% teme realmente di perdere l’impiego a causa dell’automazione: le ansie maggiori riguardano piuttosto l’uso improprio dei dati personali (44%), la disinformazione (38%) e la mancanza di regole trasparenti (37%).
Fiducia pragmatica, non cieca
Gli italiani mostrano un approccio che potremmo definire “pragmatico”: l’innovazione è benvenuta quando porta benefici tangibili, meno quando si traduce in complicazioni burocratiche o si insinua in settori poco regolati come l’e-commerce.
Un quarto del campione ammette di non fidarsi dell’IA “in nessun caso”: soprattutto over 65, persone con basso livello di istruzione o che vivono sole. È un segnale che evidenzia un gap generazionale e culturale, e che conferma la necessità di una cornice normativa solida. Non a caso, l’entrata in vigore dell’AI Act europeo è percepita come un passaggio decisivo per rafforzare la fiducia e dare certezza.
Inclusione e coesione sociale come bussola
A emergere in controluce è una richiesta di innovazione inclusiva, capace di non lasciare indietro nessuno.
I dati confermano che i giovani e i cittadini del Mezzogiorno intravedono nella tecnologia un possibile strumento di emancipazione e riduzione delle disuguaglianze. Per le imprese e le istituzioni, la sfida non è più convincere della bontà della tecnologia in sé, ma costruire fiducia, lavorare su trasparenza, benefici concreti e accessibilità.
In questo senso, “Sprint Room” si profila come un vero e proprio banco di prova: il tentativo di mettere a sistema esperienze diverse, avviare un dialogo strutturato e disegnare un futuro tecnologico che abbia come primo parametro non il profitto, ma il benessere collettivo.
Un dialogo tra istituzioni e big tech
L’incontro, patrocinato dall’Unione Nazionale Consumatori e introdotto dal presidente Massimiliano Dona, ha visto la partecipazione della vicepresidente della Camera Anna Ascani e di un parterre di esperti e divulgatori, da Gianni Bientinesi (Business Intelligence Group) a Fjona Cakalli, da Jacopo Ierussi (Assoinfluencer) a Stefano Rossi, fino agli interventi di psichiatri e comunicatori come Valerio Rosso.
A seguire, la parola è passata alle aziende: Samsung, Coca Cola, L’Oréal Italia, TikTok, iliad, Meta, Google hanno portato esempi concreti di innovazione “responsabile”, rivendicando l’impegno a tradurre la tecnologia in strumenti di inclusione e impatto sociale.
Le conclusioni sono state affidate alle Onorevoli Giulia Pastorella (Camera dei Deputati) e Dolores Bevilacqua (Senato della Repubblica), che hanno richiamato il ruolo cruciale del legislatore nel dettare regole chiare.